Il 17 maggio 1990 l'Organizzazione Mondiale della Sanità cancellò per sempre l'omosessualità dalle malattie mentali e la definì "una variante naturale del comportamento umano". Da allora, il 17 maggio, in oltre 130 Paesi si celebra la Giornata internazionale contro l'omofobia, la transfobia e la bifobia: «l'occasione per ribadire il rifiuto assoluto di ogni forma di discriminazione e di intolleranza - ha dichiarato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - e, dunque, per riaffermare la centralità del principio di uguaglianza sancito dalla nostra Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea».
Per non dimenticare come nei secoli l'omofobia sia stata imperante e le persecuzioni contro gli omosessuali incredibilmente crudeli, proponiamo l'articolo "A morte i diversi" di Claudia Giammatteo, tratto da Focus Storia 159 (gennaio 2020).
A morte i diversi
"Colui che è comprovato sodomita deve perdere i testicoli. Chi lo fa una seconda volta, deve perdere il membro. E se lo fa una terza volta, deve essere arso". E se la comprovata è una donna "a ciascun atto deve perdere un arto, e la terza volta dev'essere arsa. E tutti i loro beni li confisca il re".
Così sentenziava, nel 1260 circa, un raccapricciante manuale giuridico francese (Li Livres de Jostice e de Plet) conservato alla Biblioteca nazionale di Parigi. E quella macabra condanna non fu un fatto eccezionale, ma solo la punta dell'iceberg di una delle pagine più rimosse della Storia dell'Occidente: la persecuzione legale dell'omosessualità maschile e femminile. Il calvario di masse di anonimi condannati alla pena capitale dal XII secolo alla fine dell'800, esposti sulla gogna, castrati, impiccati, arsi vivi sulle piazze a causa del loro comportamento abominevole, "peccato contro natura", "vizio diabolico", "malattia morale contagiosa". Uno stigma millenario che ha messo sullo stesso piano l'omoerotismo con stupri e abusi su minori, i cui echi sopravvivono nei tabù omofobici di oggi.
contro le usanze pagane. Ma per capire come tutto sia cominciato bisogna mettere le lancette all'indietro. «Nella tradizione giudaico cristiana la pena di morte per omosessualità è di origine ebraica», spiega il sociologo canadese Louis Crompton, «l'esplicita proibizione è contenuta nella legge di Mosè ("Se uno ha con un uomo relazioni carnali come si hanno con una donna, ambedue hanno commesso cosa abominevole; dovranno esser messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro", Levitico 20:13).
E aveva lo scopo di evitare che il popolo eletto assimilasse usanze straniere pagane.
«Attraverso il cristianesimo, la condanna giudaica della pederastia è giunta in Occidente, non più come "abominio" (to' ebah) ma "atto contro natura" (pará fúsin), di derivazione filosofica platonica», prosegue lo storico Giovanni Dall'Orto nel saggio Tutta un'altra storia. L'omosessualità dall'antichità al secondo dopoguerra (Feltrinelli).
Al rogo! Il momento cruciale fu quando, con l'elevazione del cristianesimo a religione ufficiale dell'Impero romano, nel IV sec. d.C., la condanna religiosa divenne legge dello Stato. Nacquero così le roccaforti della persecuzione millenaria: l'editto Cum vir nubit in foeminam di Costanzo II e Costante, che nel 342 d.C. condannò i sodomiti passivi a essere puniti con "spada vendicatrice", cioè a morte, e il Non Patimur urbem Romam, promulgato nel 390 d.C. dagli imperatori cristiani Teodosio I, Valentiniano II e Arcadio, che introdusse la pena del rogo, in conformità con il supplizio biblico di Sodoma.
Ambedue le leggi furono perfezionate dall'imperatore bizantino Giustiniano che nel rinomato Corpus iuris civilis decise di ricorrere all'estremo supplizio contro i colpevoli di "diabolica atque illicita luxuria", autori di "scostumatezze che nemmeno gli animali compiono" per evitare la vendetta di Dio che scatena "carestie, terremoti e pestilenze"
Cotti e abbruscati. La caduta dell'Impero romano e di quello bizantino cristiano lasciarono in eredità una legislazione fortemente repressiva. Il Codice barbarico del ribelle Chindasvindo, re dei Visigoti, nel 650 d.C. sancì la castrazione e il bando per i masculorum concubitores. In buona parte del Sacro romano impero, a partire dal XII secolo, la pena di default fu un'altra: il rogo."Cotti e abbruscati", chioserà Dante Alighieri nel XV Canto dell'Inferno, riferendosi a "letterati di gran fama d'un peccato medesmo al mondo lerci".
E non era tanto per dire. Il primo caso attestato di punizione con il rogo fu comminato nel 1277 a Basilea dall'imperatore Rodolfo I d'Asburgo che fece bruciare tale signor Haspisperch per "vizioso domitico". Ancora più crudele il supplizio ordinato da Carlo II d'Angiò per liberarsi del rivale Adenolfo D'Aquino, conte di Acerra,descritto in una Cronica Fiorentina del 1293: "L'accusò d'essere sodomita, gli fece ficcare un palo nell'ano facendolo uscire dalla bocca e come un pollo lo fece arrostire".
donne legate nude al palo. Ma il più feroce fu lo Statuto di Treviso del1313: ordinò che i rei fossero, se maschi "appesi ad un palo con il membro virile trafitto con ago o un chiodo e il giorno dopo bruciati fuori città" e, se donne, "legate nude ad un palo e, il giorno dopo, bruciate".
La paura della fine del mondo e la peste del 1348 moltiplicarono la galleria di orrori. A decretare la condanna al rogo per coito in orifizio indebito furono, tra i tanti, gli Statuti di Bologna del 1389, di Genova del 1414, di Firenze del 1494, di Milano del 1541, di Urbino del 1501, di Ferrara del1566. L'effettiva applicazione della pena è confermata da lettere private, diari e atti processuali, molti dei quali secretati o mai pubblicati.
Nel resto d'Europa le cose però non andarono meglio. Nel 1479 Ferdinando D'Aragona e Isabella di Castiglia sostituirono la castrazione e la lapidazione prevista per i sodomiti con la pena del rogo. La Costituzione Criminale di Carlo V d'Asburgo del 1532 equiparò omosessualità e bestialità, condannando ogni condotta lasciva "sia uomo con uomo, sia donna con donna, o essere umano con animale". Quanto alle colonie spagnole, così lo storico Pietro-Martire d'Anghiera (1457-1526) dipinse il modo in cui il conquistador Vasco Núñez de Balboa trattò gli indios del villaggio Esquaragua che, in abiti femminili, si amavano tra maschi: "Subito li fece pigliare [...] e dopo averli legati li fece straziare da alcuni cani grandi che aveva portato con sé".
Punizione divina. Ma anche nei Paesi protestanti la persecuzione durò a lungo: nel 1533 Edoardo VIII varò il Buggery Act (abolito nel 1861) che puniva la sodomia, ritenuta peccato prevalentemente cattolico, con la forca. Col tempo retate poliziesche presero di mira i bordelli maschili, come Molly House (la cosiddetta "casa delle checche"): durante un raid nel 1725 decine di clienti furono arrestati ela proprietaria Margareth Clap finì sulla gogna e condannata a due anni di carcere.
In Olanda, poi, la più sanguinosa caccia al gay della storia fu istigata nel 1730 da un'accusa irreale: «Si sospettò che l'alluvione e il crollo di alcune dighe a causa della teredine, un mollusco che si nutre di legno, fossero una punizione divina provocata dalla sodomia», chiarisce Dall'Orto. «Partita da una denuncia del sagrestano della cattedrale di Utrecht, la reazione a catena portò alla scoperta di una rete di sodomiti ad Amsterdam, L'Aia, Rotterdam, Haarlem, Leida e altre 14 città. Si tradusse in 250 processi e si concluse con la condanna a morte di decine di giovani, impiccati e poi bruciati, strozzati e gettati nel mare o annegati dentro a un barile».
Il codice napoleonico. Con l'Illuminismo sia la legge sia la società cambiarono atteggiamento verso quelle pene barbare.
"La sodomia, quando non comporti violenza, non può essere di competenza delle leggi criminali", tuonò il filosofo rivoluzionario Nicholas de Condorcet, nel 1777. "È un vizio basso, disgustoso, la cui vera punizione è il disprezzo. La pena del fuoco è atroce. La legge d'Inghilterra [...] è al tempo stesso crudele e ridicola". Nel 1791 l'Assemblea Costituente francese abolì, finalmente, la pena capitale per i "delitti senza vittime", cioè eresia, stregoneria, sodomia. Una riforma rivoluzionaria incorporata nel Codice Napoleonico esteso a tutti gli Stati conquistati, Italia inclusa.
In compenso, il fiorire di studi medici ottocenteschi ribaltò la nozione di persone "omosessuali" (neologismo dello scrittore ungherese Karl-Maria Kertbeny nel 1869): non più peccatori contro natura, ma malati affetti da "istinto sessuale patologico", "inversione sessuale", "degenerazione" o "involuzione genetica dell'organismo". Le conseguenze si fecero sentire. Nel 1847 il Codice penale prussiano giustificò con le seguenti parole l'aggravio delle pene per il reato di omosessualità, da 6 mesi a 4 anni di reclusione: "perché tale comportamento dimostra una speciale degenerazione della persona ed è pericoloso per la moralità". Lo stesso concetto che venne tragicamente ripreso dal nazismo quasi un secolo dopo.
Su una cosa l'Europa di fine '800 concordava. «Il comportamento omosessuale era così ributtante che il solo fatto di sentirne parlare creava disgusto in qualsiasi persona civile», continua Dall'Orto. «Basti pensare che nel 1889, al momento di sopprimere il reato di "atti contro natura" dal Codice penale del Regno d'Italia, il Guardasigilli Zanardelli ritenne "più utile al pubblico l'ignoranza del vizio di quello che non sia la cognizione delle pene che lo reprimono".
Italia, repressione silenziosa. Questo modo di pensare si ripeté quando il fascismo scelse di non introdurre nel nuovo Codice penale Rocco del 1930 leggi contro gli atti omosessuali, preferendo il loro "contenimento" attraverso misure di polizia». "Il vizio abominevole che ne darebbe vita non è così diffuso tra noi da giustificare l'intervento del legislatore", dichiarò la Commissione Appiani, chiamata a esprimersi sul nuovo Codice.
Nonostante l'Italia non fosse un Paese per gay, almeno in apparenza, stando ai verbali dal 1936 al 1939 furono inflitte a omosessuali "solo" 80 condanne al confino "in difesa della razza", di cui ben 46 opera del fanatismo maniaco d'un solo questore, Alfonso Molina di Catania. Caso esemplare, quello di tale Barbaro M., condannato a cinque anni di confino. «Nessun atto preciso poté essergli contestato», spiega Dall'Orto, «le prove di colpevolezza furono solo "vox populi" e un discutibile esame dell'ano compiuto da un medico, che sentenziò: "dedito alla pederastia passiva"».