Uno studio realizzato da un team di scienziati del California Institute of Technology (Caltec) ha dimostrato che già all'inizio del Cinquecento, Leonardo da Vinci (1452-1519), grazie agli studi sulla meccanica dei solidi, avesse intuito il legame tra gravità e accelerazione, che verrà poi descritto con precisione da Isaac Newton (1642-1727) con la formula F = m·a, ovvero la forza totale che agisce su un oggetto è uguale alla massa dell'oggetto moltiplicata per la sua accelerazione.
Il pallino della scienza. Considerato dai suoi contemporanei un "omo senza lettere", per via della sua dichiarata scarsa conoscenza del latino (all'epoca lingua indispensabile per lo studio), Leonardo si definiva un "discepolo dell'esperienza": il visionario scienziato rinascimentale sosteneva, infatti, che ogni teoria dovesse passare dall'esperienza per portare utilità all'uomo e al progresso.
Per questo lui stesso non si fidava dei suoi ragionamenti, finché l'esperienza dei fenomeni non gli mostrava che le sue ipotesi erano corrette. In questo senso può essere definito il precursore di quel metodo scientifico che sarebbe stato messo a punto un secolo dopo da Cartesio e Galileo.
Tutto documentato nei Codici. Tutti i suoi studi, che fossero di fisica, d'ingegneria civile o militare, di anatomia, di botanica venivano minuziosamente raccolti dallo scienziato in numerosi manoscritti, ossia fogli e taccuini con disegni, schizzi e appunti sugli argomenti più disparati, si tratta dei cosiddetti Codici di Leonardo, oltre 3.500 fogli, scritti tra il 1478 e il 1519, giunti dopo varie peripezie fino a noi. Questi Codici sono considerati ancora oggi dagli studiosi una miniera d'oro, non solo per la vastità di argomenti che trattano e la perfezione dei disegni, ma sorprendono ogni volta gli scienziati perché contengono intuizioni futuristiche, basate sull'osservazione della realtà, su discipline come geografia, geologia, geometria, idraulica, matematica, meccanica, ottica e, come in questo caso, fisica.
Un tesoretto. L'esperimento analizzato dai ricercatori del Caltech, infatti, è stato rintracciato tra le pagine del Codice Arundel 263. Una preziosa raccolta di documenti, oggi custodita presso la British Library di Londra, nei secoli passata di mano in mano come tutti i manoscritti, accumulati da Leonardo nel corso di un'intera vita, lasciati in eredità al pittore Francesco Melzi (1491-1568).
Il Codice, infatti, dopo essere stato acquistato intorno al 1630 dal collezionista Thomas Howard, conte di Arundel da cui prende il nome, è passato alla Royal Society di Londra e infine al British Museum nel 1831.
Metodo sperimentale. Il team di scienziati del Caltech, guidato da Mory Gharib, analizzando le pagine di questo Codice ha individuato tra gli schizzi di Leonardo il disegno di un esperimento realizzato con una brocca d'acqua che veniva fatta muovere a un'altezza fissa lungo una linea retta, parallela al suolo, facendo cadere gocce del liquido.
Esaminando gli appunti a margine dell'esperimento, scritti con la tipica scrittura speculare di Leonardo, che va da destra a sinistra e inizia dall'ultimo foglio per poi giungere al primo, Flavio Noca, docente di aerodinamica all'Università di Ginevra, è riuscito a capire che quello che voleva dimostrare Leonardo era un legame tra gravità e accelerazione.
Dalle note i ricercatori hanno dedotto che Leonardo avesse capito che l'acqua non cadeva a una velocità constante, ma accelerava (solo verticalmente a causa della gravità e non orizzontalmente, poiché non più sotto l'influenza della brocca). Se la brocca si muove accelerando in maniera costante, infatti, la caduta dell'acqua traccia una linea inclinata, formando un triangolo. «Quello che mi ha colpito», ha spiegato Gharib, «è stata proprio la scritta "Equatione di Moti" sull'ipotenusa di un triangolo isoscele abbozzato sul taccuino».
Intuizione quasi corretta. Così il team del Caltech ha provato a simulare l'esperimento rappresentato sul Codice Arundel usando calcoli moderni, verificando che il modello proposto da Leonardo produceva un valore per la costante gravitazionale G con una precisione del 97% circa.