Storia

“Facciamo pace?”: l’antica arte della diplomazia

Il pasticcio diplomatico tra Italia e Francia ha aperto una crisi tra due Paesi amici. Per "fare pace" si apre il canale della diplomazia internazionale, che riveste un ruolo fondamentale nei rapporti tra Stati dall'antichità a oggi.

Dopo il pasticcio diplomatico tra il governo italiano e i nostri "cugini" francesi sull'assegnazione dei migranti a bordo della nave Ocean Viking, della ong SOS Mediterranée, si metterà in moto la diplomazia per ricucire lo strappo. Quella dei rapporti diplomatici tra Stati è un arte tanto delicata quanto antica: ripercorriamo la sua Storia, dagli albori al Novecento, attraverso l'articolo "L'arte di fare pace" di Biagio Picardi, tratto dagli archivi di Focus Storia.

Antichi accordi. Napoleone definiva la diplomazia "la polizia in marsina", Winston Churchill la considerava un espediente per limitare il potere, mentre Giuseppe Garibaldi la raffigurava come una vecchia ingannatrice di cui era meglio diffidare. Sincera oppure no, "l'arte di trattare, per conto dello Diplomazia: l'antica arte di fare pace Stato, affari di politica internazionale", come la definisce la Treccani – e, in soldoni, di fare pace – risale all'alba dei tempi. Lo dimostra il Trattato di Qadesh (1259 a.C.) tra il faraone Ramses II e l'ittita Hattusili III, il più antico accordo diplomatico conosciuto.

Concordia romana. Furono però i Romani, che nel loro pantheon avevano anche una dea Concordia, a forgiare più compiutamente la figura del mediatore: prima con i "pacificatori", pagati per risolvere beghe cittadine, poi inviando i sacerdoti "feziali" dai sovrani stranieri. La parola "diplomazia" deriva probabilmente dai diplomae, i lasciapassare in metallo utilizzati per circolare lungo le strade dell'impero. Questi primi ambasciatori, romani o greci e, lungo la Via della Seta, cinesi, erano però semplici messaggeri. Non potevano prendere iniziative e, una volta compiuta la missione, tornavano subito indietro con la risposta.

LA PENA DEGLI AMBASCIATORI. Nonostante nell'antichità l'ospite fosse considerato sacro e i messaggeri venissero in genere rispettati, gli emissari in missione finivano spesso malmenati, imprigionati o addirittura uccisi. In trasferta, in quanto giudicati responsabili del messaggio riportato, in patria perché accusati di tradimento. Senofonte, raccontando dell'ateniese Timagora, scrive che fu messo a morte dai suoi stessi superiori dopo le trattative con i Persiani, nel 367 a.C. E a proposito di Persiani: come racconta il film 300, anche il re troiano Leonida, nel 480 a.C., uccise sul posto gli inviati di Serse, erroneamente convinti di essere intoccabili.

I pericoli del mestiere. Il ruolo dell'ambasciatore, insomma, è sempre stato pericoloso. Nel passato poteva aiutare persino l'aspetto fisico: oltre che tra abili oratori e avvocati, i primi diplomatici venivano scelti per la bellezza e l'eleganza, in modo da rendere più malleabili i loro prevenuti interlocutori.

Con il tempo si avvertì l'esigenza di fissare e condividere esplicite regole che garantissero l'immunità degli emissari. E nel 533 l'imperatore bizantino Giustiniano I stabilì una prima normativa in proposito, nel Digesto.

Nasce il CERIMONIALE. Dall'inizio del Medioevo, e poi definitivamente nel 956 con il De ceremoniis aulae byzantinae dell'imperatore Costantino VII Porfirogenito, i Bizantini elaborarono un minuzioso cerimoniale che indicava la distanza da tenere quando si riceveva un capo straniero, i tempi delle comunicazioni, le riverenze più o meno profonde, i vestiti da indossare e la disposizione dei commensali nei banchetti.

A Costantinopoli presero anche forma un'embrionale forma di ambasciata e un codice per le infrazioni condiviso con la Santa Sede e il regno dei Franchi. L'immunità del nunzio (ancora oggi si chiama così l'ambasciatore del papa) fu estesa alla sua dimora, che divenne inviolabile. Di queste novità si avvalse soprattutto il Vaticano, che inviava sempre più spesso in missione i suoi emissari, detti apocrisari.

PRIMATO ITALIANO. Nel Quattrocento fu però l'Italia la culla della diplomazia. La Pace di Lodi (1454) dimostrò l'efficacia delle trattative, mise fine al lungo conflitto tra le Signorie italiane e costruì una fitta rete di relazioni (e intrighi) tra gli Stati. Protagonisti di questa svolta furono il duca di Milano Francesco Sforza, che inviò in Francia, nel 1455, Prospero da Camogli, il primo ambasciatore stabile, e personaggi del calibro di Niccolò Machiavelli (1469-1527), trattatista, pensatore, politico e negoziatore raffinato con licenza di spiare.

Tra i compiti riservati ai diplomatici, infatti, c'era quello di presenziare a eventi mondani per seguire il gossip. Il veneziano Zaccaria Contarini, inviato in Francia nel 1491 al matrimonio di Carlo VIII con Anna di Bretagna, definì lo sposo "sgradevole" e la sposa "giovane, zoppa e furba". Fu proprio Venezia, minacciata per terra e per mare da molti nemici, a mettere in piedi la rete diplomatica più efficiente. Grazie anche ai suoi mercanti, la Serenissima si garantì preziose informazioni e per almeno due secoli inviò ambasciatori in tutto il mondo conosciuto, per stringere accordi commerciali e tessere alleanze.

Arriva il DIRITTO INTERNAZIONALE. L'esempio italiano venne seguito dal resto d'Europa dove, piano piano, un più formale codice di comportamento prese il posto della legge del sotterfugio, anche grazie alla pubblicazione di trattati come il De legationibus di Alberico Gentili (1585). Benché i rapporti tra Stati continuassero a essere regolati dai matrimoni d'interesse, nel 1648, con la fine della Guerra dei trent'anni tra cattolici e protestanti e il consolidamento degli Stati nazionali, si stabilirono norme che diedero vita a un primo codice di diritto internazionale.

Francia: la "regina" della diplomazia. Tra i padri di queste nuove regole diplomatiche c'era il giurista e filosofo olandese Ugo Grozio (Huig de Groot), autore del trattato Il diritto della guerra e della pace in cui, per evitare futuri bagni di sangue, suggeriva tre metodi per risolvere pacificamente una controversia: conferenze e negoziati; compromessi favoriti da reciproche rinunce e concessioni; estrazione a sorte. Fondamentale, aggiunse, la presenza di un giudice neutrale. La nuova regina della diplomazia divenne la Francia, che già nel 1589, sotto il sovrano Enrico IV, aveva nominato il primo ministro degli Esteri della Storia, Louis de Revol. Fu così che il francese prese il posto del latino come lingua diplomatica.

UNA NUOVA PROFESSIONE. Nonostante l'entrata in scena della sobria (nei modi e negli abiti) ma efficace diplomazia americana, con eccellenze come Benjamin Franklin (1706- 1790), la leadership francese proseguì per oltre due secoli, sfornando mediatori di alto livello. Primo fra tutti Charles-Maurice de Talleyrand (1754-1838), capace di imporre il principio di legittimità al Congresso di Vienna (1815) nonostante rappresentasse un Paese sconfitto.

La carriera diplomatica acquisì rapidamente prestigio sociale e gli ambasciatori non furono più soltanto fiduciari incaricati dal sovrano, ma professionisti formati attraverso un preciso percorso di studi. Inoltre, proprio nel 1815 venne redatto il Regolamento di Vienna, che distingueva quattro diverse categorie di rappresentanti: gli ambasciatori veri e propri; gli inviati straordinari; i ministri residenti; gli incaricati d'affari. Ancora: gli Stati europei, sempre più consapevoli dell'importanza di stabilire relazioni reciproche permanenti, istituirono una sorta di "ordine dei diplomatici" con regole, gergo, luoghi e strumenti uguali per tutti.

Diplomazia - Vignetta Roosevelt
Una vignetta, pubblicata sul Puck, sulla "nuova diplomazia" di Roosevelt (1905). © Everett Collection / Shutterstock

MODERNITÀ. Le trattative più delicate, va detto, continuarono a essere segrete, riservate ai pochi soggetti coinvolti e condotte in luoghi appartati. Bisognerà aspettare un secolo, ovvero la fine della Prima guerra mondiale, per arrivare alla diplomacy by conference, in cui le grandi organizzazioni internazionali cominciarono a discutere in riunioni aperte a giornalisti e osservatori esterni.

Decisivo, nei primi Anni '20, fu il contributo degli Stati Uniti durante la presidenza di Thomas Woodrow Wilson, ma anche della Russia di Lenin, che spinsero a rendere pubblici gli atti delle trattative. Il che non impedì di continuare a sottoscrivere protocolli segreti, come quello sulla spartizione della Polonia tra Hitler e Stalin. Le relazioni internazionali, nel Novecento, si fecero sempre più multilaterali: stava nascendo la diplomazia contemporanea, che dal termine della Seconda guerra mondiale diventò la strada maestra per risolvere le crisi internazionali.

GUERRA FREDDA. Summit, conferenze al vertice e notti insonni degli "sherpa" diplomatici si moltiplicarono (insieme ai colpi bassi dello spionaggio) durante gli anni della Guerra fredda tra Usa e Urss. E nel 1961 la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche stabilì finalmente regole condivise in materia di relazioni internazionali. Il suo testo inizia così: "Gli Stati parte alla presente Convenzione, memori che fino all'antichità i popoli di ogni Paese riconoscono lo stato di agenti diplomatici [...] codificano le regole diplomatiche". In 53 articoli vennero definite le funzioni della missione diplomatica (rappresentare il Paese, negoziare, informarsi e promuovere relazioni amichevoli) e ulteriori regole, che aggiunsero all'immunità dell'ambasciatore l'inviolabilità dei suoi uffici, della sua residenza ufficiale, dei suoi famigliari.

Da allora la diplomazia ha trovato nuovi modi per esprimersi, grazie a grandi tessitori come Henry Kissinger (segretario di Stato Usa dal '73 al '77) o Eduard Shevardnadze (ultimo ministro degli Esteri dell'Urss e primo presidente della Georgia indipendente) e con le nuove tecnologie. Internet oggi permette di organizzare incontri al vertice a distanza e di formare unità di crisi in tempi brevissimi. Le regole generali però restano quelle che nel 1961 hanno sancito, una volta per tutte, la sacralità della diplomazia e dei suoi ambasciatori di pace.

Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?

14 novembre 2022 Focus.it
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