In Perù è una vera star, un po' come da noi Ötzi, il celebre "uomo del Similaun". Il suo nome è "Juanita", ma è conosciuta anche come "Vergine congelata" o "Signora di Ampato". Parliamo della mummia di un'adolescente inca ritrovata tra i ghiacci delle Ande e oggetto di studi decennali da parte di antropologi e archeologi. A ventotto anni dalla sua scoperta, oggi possiamo finalmente ammirarne il volto, presentato al pubblico nel corso di una cerimonia tenutasi al Museo dei Santuari andini dell'Università Cattolica di Santa Maria, nella città peruviana di Arequipa.
Ricostruzione realistica. Il busto in silicone della giovane donna, morta intorno a 500 anni fa, è stato realizzato da un team di ricercatori peruviani e polacchi, che per l'occasione hanno collaborato con Oscar Nilsson, archeologo e scultore svedese specializzato in ricostruzioni facciali in 3D. Per ottenere un ritratto il più possibile realistico, gli scienziati sono partiti da una replica del cranio di Juanita, utilizzando scansioni del suo corpo e analisi del suo DNA.
Inoltre, hanno studiato le caratteristiche etnologiche della popolazione che abitava l'area al tempo in cui la mummia era in vita. Dopo circa 400 ore di lavoro, Nilsson è riuscito così a modellare un ritratto realistico della fanciulla dei ghiacci, che possiede i tipici tratti somatici inca: incarnato scuro, occhi e capelli neri, zigomi pronunciati, labbra carnose.
Perfettamente conservata. A ritrovare Juanita nel corso delle loro esplorazioni sul vulcano Ampato, a oltre 6.000 metri di altezza, erano stati nel 1995 gli antropologi Johan Reinhard e Miguel Zárate. La loro fu una scoperta straordinaria: la mummia, congelata dalle temperature estremamente rigide dei ghiacciai andini, era infatti in eccellente stato di conservazione e oltre ai capelli e ad ampie parti di pelle, aveva mantenuto intatti persino gli organi interni.
Quei resti mummificati furono attribuiti a una persona di sesso femminile di età compresa tra i 14 e i 15 anni, vissuta alla metà del XV secolo. Nella sepoltura, si trovavano poi una serie di reperti coevi legati alla tradizione religiosa inca con i quali la ragazza era stata inumata, tra cui statuette e cocci di ceramica, lame in osso e altri oggetti votivi. Lo stato di conservazione ha permesso inoltre di conoscere importantissimi aspetti relativi alla vita quotidiana della ragazza, legati per esempio al regime alimentare.
Vittima sacrificale. Successive analisi sulla "vergine congelata" chiarirono meglio le circostanze tragiche in cui era morta. Dall'autopsia, si scoprì che Juanita aveva subito una frattura in testa (al lobo occipitale destro), che le aveva causato un'emorragia fatale.
La lesione derivava da un colpo di mazza, metodo tipico con cui all'epoca avvenivano i sacrifici umani. La fanciulla era stata vittima di un'uccisione rituale molto diffusa nella civiltà inca, nota come Capacocha.
Una pratica diffusa. Questa cruenta pratica veniva effettuata per ingraziarsi gli dei nel corso di varie celebrazioni, connesse per esempio alla famiglia imperiale (incoronazioni, nascite), o a eventi politici come vittorie militari. Avvenimenti simili si tenevano spesso più di una volta l'anno e prevedevano la partecipazione di centinaia di bambini e adolescenti come Juanita, tra i 12 e i 16 anni, trasportati nei templi dai quattro angoli dell'Impero e brutalmente uccisi nel corso della cerimonia. La vergine congelata, infatti, è solo uno dei tanti ritrovamenti di persone sacrificate nella zona delle Ande.