Ecco la grotta "proibita"
Un viaggio alla scoperta della Grotta dei Cervi, in provincia di Lecce, uno dei principali monumenti del neolitico in Europa. Le sue misteriose iscrizioni affascinano gli scienziati, ma le delicate condizioni che hanno permesso la loro conservazione per migliaia di anni, potrebbero essere alterate dalla presenza dei visitatori. Così alcuni ricercatori hanno pensato di ricostruire l’ambiente al computer per renderlo accessibile a tutti.
di Andrea Parlangeli
L'ambiente è ricostruito al computer dai ricercatori ed è "visitabile" soltanto virtualmente, perché la presenza del pubblico danneggerebbe i pittogrammi. Acquisizione digitale 2D e 3D. |
Danze rituali, scene di caccia, simboli astratti ancora tutti da decifrare... sono circa 3 mila i pittogrammi in ocra rossa e guano di pipistrello che decorano la Grotta dei Cervi a Porto Badisco, in provincia di Lecce, e ne fanno uno dei principali monumenti del neolitico in Europa.
Peccato che nessuno abbia potuto visitare questo antichissimo luogo di culto, se non pochi addetti ai lavori: le delicate condizioni di umidità (98-100%) e di temperatura (18 °C), che hanno permesso la miracolosa conservazione delle pitture, sarebbero infatti alterate dalla presenza di visitatori, portando al rapido degrado dei disegni. Per questo, il coordinamento Siba dell’Università del Salento, in collaborazione con la Soprintendenza dei Beni Archeologici della Puglia e il Visual Information Technology Group dell’IIT-Nrc in Canada, nel 2003 ha avviato il progetto “Grotta dei Cervi – Porto Badisco” per ricostruire virtualmente la grotta.
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La Grotta dei Cervi è un complesso di cunicoli sotterranei collegati tra loro. Ci sono 3 corridoi principali, lunghi circa 300 metri, che raggiungono una profondità di 26 metri sotto il livello del mare. Entrare non è semplice, richiede il passaggio attraverso strette aperture, ma una volta superate le difficoltà, lo spettacolo che si apre di fronte agli occhi del visitatore è straordinario, soprattutto per la ricchezza di simboli dei pittogrammi. Ci sono (presunte) rappresentazioni di caccia, tra cui una che è stata interpretata come una caccia ai cervi e ha dato nome alla grotta. C’è un’intera volta di una sala sotterranea, in fondo al “corridoio 2”, tempestata da impronte di mani di bambino: forse quel che resta di un rito d’iniziazione, o semplicemente un modo di dire “io sono stato qui” (impronte simili si trovano in tutto il mondo, dalla Patagonia alla Francia e al Sahara). Ma quel che colpisce è soprattutto il ricchissimo repertorio di immagini astratte, difficilissime – forse impossibili – da decifrare.
Monumento alla Dea?
«Ci sono simboli che ricorrono in tutto il mondo antico, come la spirale (simbolo di vita e rigenerazione attribuito alla Dea Madre), che nella Grotta dei Cervi è presente nei pittogrammi ed è il motivo dominante di decorazione delle ceramiche rinvenute» dice Elettra Ingravallo, docente di Paletnologia all’Università del Salento. «Ma gran parte dei simboli sono un mistero. In realtà, più che guardare ai singoli simboli, a mio parere bisognerebbe considerare l’opera nel suo complesso: lungo il percorso c’è un racconto che si snoda, una storia condivisa e nota ai frequentatori della grotta. La grotta doveva essere l’equivalente di quello che per noi è un santuario o un luogo di culto. Sicuramente ospita la più ricca raccolta di simboli risalenti al neolitico – un vero e proprio manifesto ideologico della preistoria - di tutto il mondo occidentale».
I pittogrammi non sono stati decifrati. Forse narrano un lungo racconto noto alle popolazioni dell'epoca. Risultati preliminari: particolare del modello 3D di una parete della Grotta (illuminazione artificiale). |
La scoperta
La grotta fu scoperta il 1° febbraio 1970 da speleologi del Gruppo Speleologico Salentino “Pasquale de Laurentiis” di Maglie, composto da Severino Albertini, Enzo Evangelisti, Isidoro Mattioli, Remo Mazzotta e Daniele Rizzo. «Era in corso una campagna di esplorazione del territorio» racconta Ninì Ciccarese, l’attuale presidente del Gruppo. «All’ora del pranzo, i 5 speleologi si fermarono per mangiare, e uno di loro si appartò per un bisognino. Fu così che notò un gruppo di pietre e sentì l’aria che veniva da sotto. A quel punto notò anche l’odore, tipico di un sito archeologico, e chiamò i colleghi. Smossero subito un po’ di pietre e notarono che l’aria aumentava. Aprirono così un varco nel primo corridoio della grotta, in quello che oggi detto “ingresso A”, e subito notarono una rappresentazione di cervidi, dai quali la grotta poi prese il nome».
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Gli esperti si resero immediatamente conto dell’importanza del sito, che fu protetto, anche se qualcuno sospetta che sia stata depredato dai tombaroli. «All’inizio c’era soltanto una recinzione con un filo spinato» racconta un testimone che ha visitato la grotta con una guida locale. «Si poteva entrare facilmente. Ricordo che siamo scesi con una scala di legno. C’erano centinaia di ossa frantumate di bue primigenio, altre ossa che sembravano di cervo, lische di pesce, tanti pesi da rete di terracotta a forma di rondella, tantissimi frammenti di ciotole in terracotta non ancora decorate, denti di canidi. Sembrava di vedere il resto di pasti di epoca preistorica (le ossa spezzate), insieme ad altri oggetti (come i pesi da rete) di epoca successiva. Il terreno era completamente rivoltato: era sicuramente già passato qualcuno. Noi non siamo rimasti molto, siamo entrati solo per alcuni metri, perché poi la grotta diventava troppo stretta».
L’ostacolo principale agli studi sulla grotta, però, presumibilmente non sono stati i tombaroli (se veramente ci sono stati): «Il problema sono state le difficoltà dovute alla mancata intesa tra Sopraintendenza e università» dice Elettra Ingravallo.
«All’inizio le cose si mossero» ricorda Ingravallo. «La Soprintendenza di Taranto fece gli scavi che dovevano servire per lo studio della grotta e l’archeologo Paolo Graziosi ebbe modo di fare un rilievo e uno studio sistematico, per poi pubblicare un libro (Le pitture preistoriche nella grotta di Porto Badisco, 1980) che rimane l’unico documento sulle pitture». Da allora, purtroppo, non è successo praticamente nulla. «Il materiale raccolto dalla Soprintendenza è stato pubblicato soltanto in minima parte» sostiene Ingravallo.
Le datazioni
L’Università del Salento, nel frattempo, si è arricchita di nuove strutture potenzialmente molto utili per lo studio della grotta. Come il Cedad (Centro datazione e diagnostica), un centro specializzato nella datazione con il radiocarbonio con la tecnica della spettrometria di massa ultrasensibile. Il Cedad dispone di una acceleratore tandetron da 3 MV in grado di effettuare anche l’analisi e la datazione con il radiocarbonio di vari tipi di materiali con tecniche nucleari. «Abbiamo effettuato un sopralluogo nella Grotta dei Cervi con un team di archeologi, fisici e biologi» dice Lucio Calcagnile, docente di fisica e responsabile del Cedad «e abbiamo prelevato anche alcuni campioni di guano di pipistrello, sia dai giacimenti presenti che dalle pitture della Grotta. Alcuni risultati preliminari su resti osteologici indicano che la grotta è stata frequentata nel neolitico, circa 5.600 prima di Cristo. Indagini direttamente sui dipinti preistorici sono in corso».
«È fondamentale» aggiunge Calcagnile «la costituzione di un team internazionale che possa pianificare uno studio completo del sito archeologico».
Un rilevamento della struttura in 3D delle rocce, per questo studio sono stati utilizzati scanner laser e fotocamere. Risultati preliminari: modello 3D di una parete della Grotta dei Cervi. |
Studi spaziali
Se la Grotta dei Cervi è così difficile da visitare, allora perché non ricostruirla al computer sfruttando i progressi della realtà virtuale? È quello che ha pensato il coordinamento Siba (Servizi informatici bibliotecari d’ateneo) dell’Università del Salento, che nel 2003 ha avviato un progetto di ricostruzione virtuale della grotta insieme alla Soprintendenza dei Beni Archeologici della Puglia e al Visual Information Technology Group dell’Iit-Nrc in Canada.
Il primo passo di questo ambizioso progetto consiste nell’acquisizione dei dati con scanner laser (che rilevano la struttura 3D delle rocce) e fotocamere (per le immagini). Il compito non è facile, per le condizioni climatiche all’interno, che richiedono una strumentazione adeguata, e per la difficoltà di entrare e muoversi nella grotta. Nel 2004 sono stati effettuati una visita in grotta e lo studio di fattibilità. Il rilevamento è cominciato nel 2005, è durato 10 giorni e ha interessato il “corridoio 2”, quello centrale. Per lo studio sono stati utilizzati scanner laser e fotocamere del Siba, più uno speciale scanner laser dell’Iit-Nrc, usato in passato anche per lo studio del rientro in atmosfera degli Space Shuttle.
Il team era composto da 5 ricercatori del Siba più 5 del Nrc, che sono entrati nella grotta accompagnati da 2 speleologi e da 2 archeologi, oltre a due programmatori che seguivano le operazioni on-line. Uno dei programmatori era del Siba e si trovava all’esterno della grotta, mentre l’altro era del Nrc e seguiva le operazioni dal Canada.
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Virtuale
Al termine dei lavori, sono stati raccolti 100 Gigabyte di dati – di cui 35 Gb di dati sulla struttura 3D e 65 di immagini fotografiche digitali: quanto basta a includere 630 milioni di punti che definiscono la griglia 3D e 3.500 fotografie digitali, per consentire una risoluzione finale fino a 0,2 mm. Questi dati sono poi elaborati dal Nrc e dal Siba per la ricostruzione virtuale della grotta: si tratta di un compito complesso, che rappresenta un progresso importante in questo settore.
«La quantità considerevole di dati acquisiti» afferma Virginia Valzano, direttore del Siba e coordinatrice del progetto «consentirà la creazione di un modello 3D della Grotta di risoluzione finora mai raggiunta per alcun modello 3D di un sito rupestre o di una grotta. Ciò rappresenterà una pietra miliare per la modellazione 3D di ambienti grandi e complessi. Il modello completo 3D della grotta consentirà lo studio approfondito dei pittogrammi e della morfologia della cavità ipogea, nonché la fruizione a distanza interattiva della grotta attraverso vari media e visite virtuali. La visualizzazione stereoscopica e interattiva del modello attraverso il teatro virtuale 3D del Siba consentirà l’esplorazione della grotta suscitando le emozioni e le sensazioni di una visita dal vivo».
I primi risultati, cioè la ricostruzione di una roccia lunga 6 m (foto), sono stati presentati il 28 giugno scorso. Entro un paio d’anni, dovrebbe essere completata la ricostruzione delle parti principali del corridoio 2 (con i dati dei rilevamenti già effettuati) e forse anche di altre parti (con dati da rilevamenti ancora da effettuare). Poi si potrà pensare anche a una ricostruzione fisica in scala reale, che renda finalmente la Grotta dei Cervi, con il suo eccezionale repertorio di pitture, accessibile a tutti.
(Speciale aggiornato al 11 settembre 2007)