Storia

Diritti dei consumatori: il primo caso di obsolescenza programmata

Giornata mondiale dei diritti dei consumatori: il primo caso di obsolescenza programmata risale al 1925, quando un cartello fra aziende decise che le lampadine non dovevano durare più di 1.000 ore.

Nella Giornata Mondiale dei diritti dei consumatori scopriamo il primo caso di obsolescenza programmata della Storia attraverso l'articolo "Spegnete quella luce" di Federico Bona, tratto dagli archivi di Focus Storia.

Destinate a non durare. Ginevra, vigilia di Natale del 1924. Alcuni importanti dirigenti di grandi aziende europee e americane si incontrano nello studio di un notaio e siglano un accordo del quale solo qualche decennio dopo si riconoscerà la portata storica. Anche se per motivi tutt'altro che nobili. Nasce, in quell'occasione, Phoebus, un'associazione che riunisce i più importanti produttori mondiali di lampadine, tra cui la tedesca Osram, l'olandese Philips, l'ungherese Tungsram, la francese Compagnie des lampes e l'italiana Società Edison Clerici. Scopo dell'accordo: creare oggetti fatti per non durare.

L'americana General Electric non ne è un membro diretto, ma partecipa attraverso accordi già stipulati in precedenza con Osram e Philips, frutto di una felice collaborazione in tema di brevetti che durerà nel tempo. A capo di Phoebus, l'uomo che di questa cooperazione internazionale è l'ideatore: William Meinhardt, presidente della Osram, vero gigante industriale che già all'epoca vanta partecipazioni azionarie nelle società concorrenti europee.

Il cartello. «Phoebus stabilì standard duraturi e di vasta portata come l'attacco a vite E27 utilizzato ancora oggi, in modo che ogni lampadina sposasse un principio globale di pronto utilizzo », spiega Marcus Krajewski, docente di Storia dei media all'Università di Basilea, che di questo caso si è occupato in varie pubblicazioni. E proprio favorire l'uso della lampadina "assicurando e mantenendo una qualità uniformemente elevata, migliorando i costi di distribuzione, aumentando l'efficacia dell'illuminazione elettrica e accrescendo l'uso della luce a vantaggio dei consumatori" era, secondo i documenti ufficiali, l'obiettivo dell'"Accordo generale su brevetti e sviluppo" firmato in quell'occasione.

Peccato però che le intese non si limitassero a questo: «Phoebus ha operato anche come organismo di supervisione, controllando i mercati nazionali delle lampadine e la loro rispettiva crescita e sviluppo nel mercato globale», continua Krajewski. «In altre parole, ha agito come un cartello, stabilendo patti di non belligeranza tra i membri e regolando le quote di mercato di ciascuna azienda all'interno dei singoli Paesi». Condividere brevetti e standard, insomma, serviva a tenere fuori eventuali concorrenti, come conferma una sentenza del 1949 da parte dell'Antitrust americano nei confronti di General Electric.

Obsolescenza programmata. Eppure, Phoebus ha un primato ancora meno lusinghiero rispetto a quello di essere uno dei primi cartelli internazionali mai nati.

Tra gli standard fissati dall'associazione, infatti, ce n'era uno decisamente contrario agli interessi dei consumatori: "La vita media delle lampadine non può essere garantita, dichiarata o pubblicizzata per valori superiori alle 1.000 ore" recita senza mezzi termini un documento interno redatto a febbraio del 1925. Per capirne la portata è indispensabile sapere che le lampadine in commercio all'epoca dichiaravano una durata di 1.500-2.000 ore, con punte di 2.500.

Imbroglio ai danni dei consumatori. Certo, la difesa ufficiale è che c'era poca uniformità e che gli scarti dalla media, nel bene e nel male, potevano essere molto sensibili, e che era più corretto ridurli. Ma la verità è che si cominciò allora a progettare un filamento interno alle lampadine più fragile, in modo da riportare indietro la lancetta del progresso. E, di fatto, raddoppiare le vendite globali di lampadine. Si tratta dunque del primo caso di quella che viene oggi chiamata obsolescenza programmata. Ovvero l'inclusione, nella progettazione di un oggetto, di un elemento che ne determini a priori la durata. Buona parte dell'economia consumistica del Novecento si basa su questo principio, che venne addirittura proposto, con una precisa regolamentazione, come soluzione alla Grande depressione seguita al crollo delle Borse del 1929. Ma nel caso di Phoebus si trattava di una declinazione truffaldina del concetto.

Le regole del consumismo. In breve, un oggetto può diventare inservibile per quattro ragioni generali: usura naturale, progresso tecnologico, obsolescenza stilistica, usura programmata. Solo nell'ultimo caso il produttore arriva al punto da introdurre volutamente un dettaglio fragile in un oggetto, come uno spinotto di collegamento o un altro dettaglio secondario in modo che quando questo particolare si romperà l'oggetto andrà ricomprato, oppure la riparazione sarà poco conveniente rispetto a un nuovo acquisto. E il primo esempio riconosciuto di obsolescenza di questo tipo è quello delle lampadine, il cui filamento a incandescenza dura 1.000 ore.

«Gli sforzi di Phoebus furono così efficaci che già nel 1932 nessuna lampadina superava le 1.500 ore di vita, e nel 1939 la tecnologia aveva compiuto il "miracolo" di creare una lampadina che terminasse il suo ciclo di vita rigorosamente dopo 1.000 ore. Ancora oggi, ci si possono aspettare valori analoghi dalle ultime lampadine a incandescenza, ormai bandite», conclude Krajewski. «Naturalmente, non fu solo una sfida tecnologica, ma anche di potere, a volte contro gli stessi membri del cartello, altre volte contro singoli oppositori. Esistono esempi continui di aziende che hanno cercato di riportare la durata delle lampadine ai vecchi valori tentando di sfuggire agli occhi attenti di Phoebus.

E altrettanti dei loro fallimenti».

Guerra in vista. Il 1939 di cui parla Krajewski è anche l'anno in cui l'accordo, rinnovato e allargato a seguito del suo successo, viene interrotto a causa dell'inizio della Seconda guerra mondiale. Si registrò un tentativo di riprenderlo tra il 1941 e il '45, ma naufragò, anche perché nel 1946 gli economisti George Stocking, Myron Watkins e Alfred Kahn fecero di Phoebus uno dei capisaldi di un importante studio accademico sui cartelli internazionali che fece scalpore e che portò prima Time poi altre testate a occuparsi del caso con inchieste. Fino alla sentenza dell'Antitrust americano del 1949 che denunciava Phoebus. Ma il danno, ormai, era fatto.

Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?

15 marzo 2023 Focus.it
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