La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (Universal Declaration of Human Rights, UDHR) è il documento ispiratore della legislazione internazionale sui diritti inalienabili dell'uomo, un impianto di norme alla base di molte conquiste civili degli ultimi 70 anni. Eleanor Roosevelt, colei che contribuì in modo decisivo alla sua stesura, la definì "la Magna Carta dell'umanità".
Crimini contro l'umanità. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani fu adottata il 10 dicembre 1948 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, una data che viene ricordata ogni anno come Giornata Mondiale dei Diritti Umani (Human Rights Day). La sua elaborazione nasce dalla volontà di evitare il ripetersi delle atrocità commesse durante la Seconda Guerra Mondiale, a partire dai genocidi e dai massacri perpetrati dai nazisti. I nuovi capi d'accusa per crimini contro l'umanità avanzati nel Processo di Norimberga avevano evidenziato l'esigenza di rendere, chi si macchiava di atrocità universalmente riconosciute, responsabile e punibile per le proprie azioni, indipendentemente dal silenzio delle leggi del suo Paese.
I 30 articoli. Alla base della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ci sono due assunti di base: quello della dignità inalienabile di ciascun membro della famiglia umana e l'impegno a far rispettare tutte le libertà enunciate senza distinzioni né discriminazione alcuna. La Dichiarazione (qui il testo in italiano) è composta da un preambolo che spiega le ragioni storiche e sociali che hanno reso necessaria la sua stesura oltre che da 30 articoli che elencano i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali di ogni individuo.
I primi due articoli ribadiscono i concetti di uguale dignità, libertà e fratellanza tra esseri umani; i successivi 18 delineano i diritti civili e politici come quello a non essere torturato, arrestato o detenuto arbitrariamente, il diritto di avere una cittadinanza e di cercare e di godere in altri Paesi asilo dalle persecuzioni, il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e religione.
libertà di pensiero e religione. Gli articoli dal 22 al 27 approfondiscono i diritti economici, sociali e culturali come quello al lavoro, a una rimunerazione equa e soddisfacente, alla maternità e alla protezione sociale durante l'infanzia, all'istruzione gratuita, al riposo, al godere delle arti e partecipare al progresso culturale e scientifico. Gli ultimi tre articoli sanciscono il diritto di vivere in un contesto in cui le libertà enunciate siano pienamente realizzate, i doveri necessari a garantire il rispetto delle libertà degli altri, e l'impossibilità di usare la dichiarazione per negare i diritti o le libertà altrui.


la voce delle donne. A stilare la dichiarazione fu la Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite guidata da Eleanor Roosevelt, vedova del presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt, attivista e sostenitrice dei diritti delle donne, dei lavoratori, dei rifugiati e delle minoranze. La commissione, un piccolo gruppo di rappresentanti provenienti da otto stati membri del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, presentò la prima stesura della dichiarazione, che dopo alcuni piccoli cambiamenti fu adottata all'unanimità, con 48 voti favorevoli e 10 astenuti su 58 Stati membri.
Un contributo determinante fu dato anche da altre donne provenienti da India, Pakistan, Repubblica Domenicana, Unione Sovietica, che si batterono per affermare alcuni capisaldi del documento come la garanzia di non discriminazione in base al genere, la libertà nelle scelte matrimoniali, una retribuzione giusta per il lavoro, l'universalità dei diritti umani contrapposta alla mentalità coloniale vigente in precedenza.
Molte di queste battaglie ruotarono attorno alla necessità di parlare di esseri umani («tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali») e non genericamente di uomini come si era fatto fino ad allora, per non offrire ad alcuni Paesi il pretesto di negare i diritti alle donne.
Principi superiori. La discussione sul documento evidenziò alcune criticità e divergenze importanti, sul significato profondo di dignità umana, sull'importanza dei fattori culturali nella determinazione dei diritti sul rapporto tra diritti e responsabilità e sulla relazione tra individuo e Stato. La contrapposizione in blocchi negli anni della Guerra Fredda impedì di far confluire quegli sforzi in una carta internazionale dei diritti legalmente vincolante, ma sono in molti a ritenere che proprio la natura non vincolante della Dichiarazione abbia decretato il suo successo, facendone invece un documento di autorità morale, che annuncia principi generali che trascendono ogni legislazione internazionale e nello stesso tempo sono inclusi in ognuna.