Una grotta alle pendici dei Monti Altai (in Siberia) già nota per aver restituito al mondo l'unico fossile finora noto dell'Uomo di Denisova, è ora un po' meno misteriosa grazie a due nuovi studi, che affrontano il problema della datazione dei suoi reperti. Il sito archeologico è uno dei luoghi più significativi per comprendere l'evoluzione delle specie vicine alla nostra.
Caro estinto. Poco più di dieci anni fa, nella caverna vennero alla luce i resti frammentari di un nostro "cugino" fino ad allora sconosciuto, ribattezzato, appunto, Uomo di Denisova. Successive analisi del suo DNA stabilirono che si trattava di un ramo evolutivo vicino a quello dei Neanderthal, che ha lasciato tracce nel genoma di alcune popolazioni del Pacifico.
Studi genetici hanno confermato che i Denisoviani si incrociarono più volte con i Neanderthal, gli unici altri occupanti certi della caverna siberiana, e che entrambi si accoppiarono anche con i sapiens. Infine, un anno fa, una scoperta sorprendente: in questa stessa grotta è stato ritrovato un frammento osseo appartenente a una bambina con madre Neanderthal e padre denisoviano, prova fossile di una "prima generazione" interspecie.
Chi l'ha visto? Tuttavia, capire con precisione chi e quando abbia abitato nella caverna, conosciuta e studiata da quattro decenni, è un'impresa complessa. Per esempio si può supporre, ma non è certo, che l'Homo sapiens sia passato di qui. L'analisi di un femore in un altro sito della Siberia meridionale fa pensare sia appartenuto a un sapiens vissuto nella regione circa 45 mila anni fa, e alcuni artefatti rinvenuti nella grotta, di fattura "moderna", potrebbero essere attribuibili alla nostra specie.


L'enigma delle date. I reperti nella caverna sono però molto deperiti e in molti casi ancora da studiare, senza contare che anche la datazione risulta problematica. L'età di gran parte dei resti supera i limiti delle analisi al radiocarbonio, che arrivano a circa 50 mila anni fa. Inoltre, i sedimenti in cui i reperti si trovano sono stati disturbati da attività animali (calpestio, buche) e da numerosi cicli di congelamento e disgelo che hanno rimescolato la stratificazione e spinto i reperti in livelli non corrispondenti alla loro reale datazione. Tentare di stabilirne l'età affidandosi al suolo circostante e agli elementi da questo trattenuti può quindi trarre in errore.
Nei due nuovi studi pubblicati su Nature, due gruppi di archeologi hanno utilizzato due approcci diversi per datare i fossili di ominidi e i sedimenti della caverna.
Prima ipotesi di datazione. Il primo gruppo guidato da Katerina Douka, del Max Planck Institute for the Science of Human History di Jena, Germania, ha ottenuto 50 datazioni di reperti e utensili modificati da una delle specie nella grotta (di quale, non si è capito), utilizzando la tecnica del radiocarbonio.
Alcuni reperti, come punte di osso o ciondoli ottenuti da denti animali, sono i più antichi dell'Eurasia settenrionale e risalgono a 49 mila-43 mila anni fa. Il team ha analizzato inoltre più di 2000 frammenti ossei ritrovati nella caverna, identificandone tre come di ominide. Uno di questi aveva DNA mitocondriale compatibile con quello di Neanderthal.
Le analisi genetiche si sono concentrate sulle piccole modificazioni che il DNA di ogni specie subisce nel tempo: poiché gli intervalli di alcuni di queste mutazioni sono noti, si riesce da questi a stabilire, a grandi linee, l'età dei reperti. La conclusione di questa prima ricerca è che il più antico fossile di Denisova nella grotta potrebbe avere circa 195 mila anni, e il più recente, tra i 76 mila e i 52 mila anni. Tutti i fossili di Neanderthal così come l'ibrido Neanderthal-denisoviano sarebbero invece collocabili tra i 140 mila e gli 80 mila anni fa.
Seconda ipotesi di datazione. Il secondo gruppo guidato da Zenobia Jacobs, del'Università di Wollongong, Australia, si è concentrato sull'analisi non dei fossili, ma degli strati di materiale delle tre camere della grotta, che ha studiato con una tecnica detta luminescenza stimolata otticamente (che rivela quando alcuni minerali contenuti nei vari strati hanno visto per l'ultima volta la luce).


Poiché gli elementi analizzati erano diversi, questa analisi ha dato risultati un po' differenti, ma non in contraddizione rispetto a quelli del primo studio. Ha stabilito che i denisoviani occuparono la caverna a partire da almeno 287 mila anni fa e fino a 55 mila anni fa. La presenza dei Neanderthal sarebbe iniziata attorno ai 193 mila anni fa e terminata circa 97 mila anni fa. Entrambi gli studi raccontano, quindi, di una lunga presenza denisoviana intervallata da una più breve comparsa dei Neanderthal.
Il panorama, fuori. Il secondo gruppo di scienziati ha anche tentato una ricostruzione dell'ambiente abitato dai Denisoviani, attraverso l'analisi dei resti di piccoli vertebrati e di piante trovati nella grotta. Ha concluso che l'habitat esterno era probabilmente un fitto bosco nei periodi più caldi, e una steppa in quelli più freddi. Tutte informazioni non conclusive, ma estremamente utili per comprendere la vita degli antichi abitanti del misterioso sito.