Dante Alighieri è ufficialmente nel nostro calendario: il 25 marzo è il Dantedì, giorno in cui, secondo gli studiosi, il Sommo Poeta comincia il viaggio nella Selva Oscura. Questa giornata di celebrazioni è stata decisa già nel 2020 in vista del 700esimo anniversario della morte di Dante (14 settembre 1321), il poeta che tanto ha dato alla lingua, alla letteratura e alla cultura italiane. Ovviamente con la Divina Commedia, ma anche per avere incarnato appieno lo spirito del suo tempo, in un'Italia drammaticamente divisa e faziosa impegnata in lotte fratricide all'interno degli stessi Comuni (basti pensare alla Firenze tanto amata da Dante, che tuttavia lo esiliò).
Per cogliere gli aspetti salienti della sua biografia, per analizzare i valori, la mentalità, le abitudini e il contesto storico in cui il Sommo Poeta si mosse, ci siamo fatti aiutare dallo storico Alessandro Barbero, autore del saggio biografico Dante (Laterza).


Da Dante e il suo tempo,
intervista aD Alessandro Barbero
Qual era la situazione politica e sociale dell'Italia, e più in particolare di Firenze, ai tempi di Dante?
Ai tempi di Dante, a Firenze come nel resto d'Italia si viveva un momento di transizione. Ci si muoveva infatti da una lunga stagione di crescita demografica ed economica per andare incontro alla cosiddetta "crisi del Trecento", che attendeva in agguato; e si passava inoltre dallo sviluppo trionfale delle democrazie comunali al loro fallimento, dovuto a un'eccessiva violenza e faziosità della lotta politica, di cui fu tra l'altro vittima anche Dante. Tutto ciò, in quel di Firenze così come in molte altre città della Penisola, portò, tra le altre cose, alla sostituzione del regime comunale con la Signoria, ossia con la dittatura dell'uomo forte.
Dante si fece un curriculum da combattente, da politico e da "sommo" poeta: questa poliedrica carriera fu un'eccezione o egli è invece da considerarsi come un tipico uomo del suo tempo?
Be', la vera eccezione sta proprio nell'aggettivo "sommo": Dante è un grandissimo poeta ai nostri occhi, 700 anni dopo la sua scomparsa, ma a ben vedere era famoso già prima della morte e tutti parlavano della sua Commedia, anche se scrivere testi poetici non era così insolito a quell'epoca, almeno per chi apparteneva a una élite sociale e intellettuale. Ma è soprattutto in qualità di politico e di combattente, pronto ad andare alla guerra, che Dante fu un tipico uomo del suo tempo, o meglio un tipico cittadino di un Comune italiano.
In questo, la sua esperienza fu infatti simile a quella di innumerevoli altri personaggi che segnarono la sua epoca.
A proposito di guerra: che particolare significato assunse per Dante la partecipazione alla Battaglia di Campaldino sotto l'egida guelfa?
Dante, nella sua Commedia, ricorda in qualità di testimone oculare diversi episodi legati alla guerra tra le fazioni dei guelfi fiorentini e quella dei ghibellini aretini, con riferimento appunto alla Battaglia di Campaldino del giugno 1289 (vinta dai guelfi), alla devastazione del territorio di Arezzo seguita alla vittoria e alla resa finale nel castello di Caprona, giunta due mesi dopo. Tutto ciò è un segno di quanto le esperienze fatte in quei mesi gli fossero rimaste impresse, tanto che egli ne parlò ancor più diffusamente in una serie di lettere che oggi purtroppo non abbiamo più, ma che furono viste e commentate dall'umanista Leonardo Bruni nel Quattrocento. Ebbene, quel che emerge da tali lettere è che Dante fosse particolarmente orgoglioso di aver combattuto in battaglia, considerando la cosa come una delle prove della sua maturità, del suo essere diventato, finalmente, un uomo adulto e un cittadino responsabile.
Che impatto ebbe la vicenda dell'esilio? È vero, come afferma qualcuno, che se non avesse vissuto tale esperienza, probabilmente non avrebbe composto la Divina Commedia?
Dopo la morte di Dante circolava la leggenda secondo cui, in mezzo alle carte che aveva lasciato a Firenze quando nel 1302 fu condannato all'esilio, la moglie e gli amici avrebbero un giorno ritrovato i primi sette canti della Commedia, facendoglieli poi pervenire. Sarebbe stato allora che Dante avrebbe deciso di riprendere in mano quel progetto abbandonato. Tuttavia, si tratta appunto di una leggenda. Nella realtà, anche se non si può escludere che già prima dell'esilio Dante avesse cominciato a pensare alla stesura di un grande poema in italiano, furono sicuramente le amarezze della lontananza e la volontà di riscatto cresciuta dentro di lui che gli diedero la potenza creatrice da cui poté nascere la Commedia come oggi la conosciamo.


L'arrivo del XIV secolo, oltre alla nascita della Divina Commedia, fu segnato, in Italia e non solo, dalla cosiddetta "crisi del Trecento": quali furono le ragioni di tale crisi, oltre alla peste che flagellò l'Europa a metà secolo?
Quando la peste fece la sua comparsa Dante era ormai morto da quasi trent'anni, ma già prima, ossia quand'egli era ancora in vita, si erano manifestati molteplici e allarmanti segnali di crisi.
L'Europa era sovrappopolata e non si riusciva più a garantire a tutti un tenore di vita decente: c'erano sempre più poveri, non sufficientemente nutriti e il cui stato di salute si fece rapidamente preoccupante, e c'erano carestie sempre più frequenti, che creavano allarme in tutta la società. Oltre a ciò, si fa spesso riferimento - anche se non si hanno ancora prove sicure - a un mutamento climatico che avrebbe condotto a un consistente abbassamento delle temperature e a un aumento della piovosità, contribuendo ulteriormente a mettere fine ai lunghi e floridi secoli della crescita medievale.
Per concludere: la lingua italiana è davvero così tanto debitrice nei confronti di Dante?
Assolutamente sì! Innanzi tutto, Dante ha donato alla letteratura, e alla lingua italiana, il suo più grande capolavoro, tre secoli prima - giusto per fare un esempio - che Shakespeare facesse la stessa cosa con la lingua inglese. In questo modo egli ha fissato per sempre il fiorentino usato nella Commedia come "lingua letteraria" di tutta l'Italia. Dopodiché è davvero impressionante riscontrare quanti modi di dire che usiamo ancora oggi siano già lì testimoniati. A me piace particolarmente quel passo del Canto XXXII dell'Inferno in cui Dante, descrivendo i dannati imprigionati nel lago ghiacciato, scrive: "là dove i peccatori stanno freschi", coniando così l'espressione, tuttora diffusa, "stai fresco!".