Tra il Seicento e l'Ottocento il nome Compagnia delle Indie Occidentali e Orientali indicò compagnie di alcuni Paesi europei come Gran Bretagna, Olanda, Francia e Portogallo, che ottenevano dai rispettivi governi il monopolio del commercio da e per una determinata area geografica. Assunsero una grande importanza commerciale e anche politica, perché contribuirono all'espansione coloniale delle maggiori potenze marittime: facevano infatti da avanguardia nella conquista di nuovi territori.

All'inizio le compagnie erano l'unione di singole persone che versavano di volta in volta i capitali per armare la nave e comprare le merci (cannella, pepe, altre spezie, seta, indaco, metalli preziosi, legni pregiati in India, Sudest asiatico, Pacifico), sciogliendosi a impresa conclusa. Dopo una decina di anni di sviluppo, la necessità di armare intere flotte di navi, creare stazioni di rifornimento, arruolare truppe per la difesa, portò alla creazione di grandi società per azioni stabili.
La compagnia di Elisabetta I. Le maggiori furono la Compagnia Britannica delle Indie Orientali (nata il 31 dicembre 1600 per volere della regina Elisabetta I d'Inghilterra) e la Compagnia olandese delle Indie orientali (la VOC fu costituita nel 1602), che realizzarono e distribuirono ai soci profitti enormi e garantirono il controllo delle colonie. Compagnie simili, per le Indie occidentali, furono create anche in Spagna e Francia. Le compagnie furono sciolte tra la fine del Settecento e i primi dell'Ottocento, e i loro beni passarono allo Stato.