Storia

Cos’è il Concilio Vaticano II indetto da Giovanni XXIII? E perché ha dato tanto fastidio?

Papa Giovanni XXIII per tutti era "il papa buono", ma con i suoi modi pacati, riuscì a trasformare la Chiesa, rendendola più moderna, grazie al Concilio Vaticano II.

Ripercorriamo la vita di Angelo Roncalli attraverso l'articolo "Giovanni XXIII, la rivoluzione buona" di Adriano Monti Buzzetti Colella, tratto dagli archivi di Focus Storia.

Aria nuova. Basilica di San Paolo fuori le mura, Roma, 25 gennaio 1959. Papa Giovanni XXIII ha appena presieduto la messa conclusiva dell'ottavario di preghiera per l'unità dei cristiani, e i cardinali presenti al rito – una dozzina – sono condotti nella sala capitolare dell'annessa abbazia benedettina per incontrarlo in privato. Un'occasione solenne, ma di routine; dal pontefice nominato solo tre mesi prima i porporati si aspettano nulla più che un saluto. Lui, invece, li lascia a bocca aperta: "Pronunciamo innanzi a voi, certo tremando un poco di commozione [… ] il nome e la proposta della duplice celebrazione: un Sinodo diocesano per l'Urbe, e un Concilio ecumenico per la Chiesa universale".

Evento storico. Con queste parole il mite Angelo Giuseppe Roncalli, universalmente noto come "il papa buono", annunciò ufficialmente la convocazione di un evento storico, che avrebbe cambiato il volto della Chiesa: il Concilio Vaticano II, che sarebbe durato 3 anni, dal 1962 al 1965. Si trattava di un concilio ecumenico, cioè la solenne assise di tutti i vescovi del mondo. Un evento raro: nei due millenni precedenti ne erano stati indetti solo 20, in occasione di svolte storiche, per esempio per condannare eresie o per stabilire nuovi principi e orientamenti di base. L'ultimo, il Concilio Vaticano I, convocato da Pio IX solo novant'anni prima, per giunta non era stato neanche concluso ma solo "sospeso" sine die nel 1870 con la fine traumatica dello Stato Pontificio.

Scoop rubato. Roncalli prese questa iniziativa per adattare la Chiesa al mondo moderno. Un mondo che ormai la cingeva d'assedio, a partire dai mass media che in quell'occasione batterono sul tempo il papa stesso: Roncalli parlò infatti ai cardinali quando l'embargo della notizia, consegnata in anticipo ai giornalisti, era ormai scaduto e gli organi d'informazione avevano già iniziato a diffonderla. Ma per "bruciato" che fosse lo scoop, la decisione restava epocale. A lasciare di stucco i cardinali prima, e l'opinione pubblica mondiale poi, era soprattutto colui che l'aveva presa: un uomo con i modi bonari del curato di campagna, l'ecclesiastico sorridente e corpulento che persino il cardinale segretario di Stato Domenico Tardini definiva affettuosamente "un pacioccone".

Anziano, ma rivoluzionario. Oltre all'aria innocua – molto lontana dalla ieratica maestà del predecessore Pio XII, detto "il principe di Dio" – anche i 77 anni suonati di Angelo Roncalli sembravano vaticinare per lui un pontificato breve e senza storia, e così forse la pensavano anche i cardinali che lo avevano eletto in un conclave-lampo di soli 4 giorni.

Ma l'imprevedibile "vecchio che ringiovanì la Chiesa", secondo la poetica immagine dell'anziano l'arcivescovo Loris Capovilla (1915-2016), che fu per anni suo segretario e confidente, "camminava… col passo cadenzato dei contadini, che né intemperie né stanchezze riuscirebbero ad arrestare".

Controcorrente. E contadino Roncalli lo era davvero, almeno nelle origini: figlio di mezzadri bergamaschi, era entrato in seminario grazie a una vocazione precoce e all'aiuto economico di uno zio. Negli anni a cavallo tra le due guerre intraprese la strada della diplomazia vaticana. Andò in Bulgaria, Turchia e Grecia, dove si confrontò con le confessioni cristiane non cattoliche e con le altre religioni. E si prodigò anche per gli ebrei in fuga dal nazismo.

In Francia, dopo il '44, grazie alla sua capacità mediatoria ridusse a soli tre vescovi la lunga lista dei presuli di cui il governo di Parigi reclamava le dimissioni per le passate connivenze col regime filonazista di Vichy. L'ultima assegnazione che ebbe prima del pontificato era stata l'antica e prestigiosa sede patriarcale di Venezia, dove si fece notare per un'iniziativa controcorrente come il saluto inviato nel 1957 ai "mangiapreti" del Partito socialista italiano che tenevano il loro congresso in laguna. Fino ad allora, però, nulla aveva smentito in modo davvero clamoroso il giudizio che di lui aveva dato un superiore ai tempi del seminario: "Una buona pasta che si lascia maneggiare come si vuole".

Con Jackie. Ma la sua vera pasta si vide con l'esordio del pontificato: visite a carcerati e bimbi in ospedale, incontri ufficiali "scongelati" dal buonumore (celebre quello con la first lady americana Jacqueline Kennedy, che salutò con un affabile "Jackie!"), ma soprattutto un modo fraterno e informale di rapportarsi con i fedeli accrebbero il suo carisma e la sua popolarità. Candore, simpatia, un look da nonno saggio: sembrava finita lì. Poi, a sorpresa, l'annuncio del Concilio, nel quale per la prima volta, dopo secoli di eurocentrismo, furono chiamati a raccolta vescovi dalle terre più remote del globo e persino i "fratelli separati" ortodossi e protestanti.

Nuovo corso. Era, nel suo genere, una rivoluzione. "Nell'800, il Concilio Vaticano I aveva avuto un approccio culturale intransigente: definì il dogma dell'infallibilità papale sulle questioni di fede e condannò correnti di pensiero come il liberalismo e il razionalismo", spiegava Giovanni Miccoli (1933-2017), accademico dei Lincei e docente emerito di Storia della Chiesa all'Università di Trieste.

"Ancora il predecessore di Roncalli, Pio XII, parlava di "orda devastatrice dello spirito del secolo", con un implicito giudizio negativo e catastrofico della società e del mondo moderno. Con Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II le cose cambiano radicalmente. Il papa bergamasco aveva vissuto gli orrori della guerra, conosceva i pericoli delle ideologie e le insidie della secolarizzazione; era però convinto che con la modernità bisognava dialogare, aggiornando il linguaggio della fede ai tempi nuovi, senza arroccarsi sulle proprie posizioni e senza minacciare anatemi".

Fronte di opposizione. L'atteggiamento innovatore del papa, inevitabilmente, gli costò l'ostilità di una parte della curia romana. Tuttavia la sua posizione rimase netta: lo dimostrò nel discorso inaugurale del Concilio, l'11 ottobre 1962, quando davanti a oltre 2.500 ecclesiastici di tutto il mondo bacchettò i "profeti di sventura" incapaci di "vedere altro che rovine e guai" nella società contemporanea. Quella sera stessa, l'atmosfera straordinaria del Concilio contagiò anche i fedeli accorsi in Piazza San Pietro, che il pontefice si affacciò a salutare componendo a braccio il celebre "discorso della Luna", concluso con l'affettuoso invito a portare ai bambini rimasti a casa "la carezza del papa".

Critiche interne. Ma i favori della piazza non risolsero il dissenso interno. Anzi. Nel corso delle sessioni conciliari la fronda conservatrice anti-Roncalli si compattò sotto il nome di Coetus internationalis patrum (Gruppo internazionale di padri conciliari). Dentro c'era un po' di tutto: dal dissenso radicale dell'arcivescovo francese Marcel Lefebvre, più tardi scismatico e scomunicato, al dissenso di chi – come Alfredo Ottaviani (prefetto del Sant'Uffizio) e Giuseppe Siri (arcivescovo di Genova e presidente della Cei) – temeva che troppi cambiamenti avrebbero indebolito la Chiesa.

Buono, ma non ingenuo. "Giovanni XXIII fu sempre consapevole che il suo "nuovo corso" non era visto di buon occhio", commentava Miccoli. "Basti pensare alle frecciate malevole, anche a mezzo stampa, che nel 1963 accompagnarono la decisione di ricevere la figlia del leader sovietico Krusciov e il suo consorte in Vaticano… sapeva bene che cosa si diceva alle sue spalle, ma non se ne preoccupava più di tanto. Quanto alla curia, la sua componente più "passatista" all'inizio pensava di poter pilotare un papa vecchio, mite e apparentemente ingenuo, mentre il Concilio fece tramontare queste speranze. Pare addirittura che Siri abbia bollato la sua indizione come il momento di follia di Giovanni XXIII".

Pericoloso! Ma perché i "falchi" vaticani consideravano il Concilio tanto pericoloso? "I motivi principali erano due. Anzitutto, per la presenza di una grande quantità di vescovi con un ruolo decisionale, col rischio di incrinare l'autorità del papa e della curia. E poi l'ecumenismo, cioè i rapporti con altre confessioni cristiane come quelle ortodosse e protestanti. Per il cattolicesimo tradizionale, tali rapporti erano a senso unico: i "dissidenti" dovevano pentirsi e tornare nell'alveo del cattolicesimo. Per Roncalli e il Concilio, invece, ecumenismo significava soprattutto incontro tra Chiese sorelle", sosteneva Miccoli.

Mediatore. Da uomo di fede, Roncalli aveva dichiarato più volte di aver indetto il Concilio per una ispirazione dall'alto: "Proprio per questo – diversamente dall'interventismo del successore Giovanni Battista Montini (Paolo VI) – lasciò ai partecipanti la più ampia autonomia", diceva Miccoli. "Inizialmente pensava a lavori di pochi mesi, ma presto si rese conto che l'idea era impraticabile: troppe le idee, troppi i nodi da sciogliere. Nel frattempo anche la sua salute aveva iniziato un rapido e inesorabile declino, minata da un cancro allo stomaco". Giovanni XXIII si spense nel giugno del 1963, arricchendo fino all'ultimo il suo pontificato di iniziative memorabili: dall'impegno per disinnescare la celebre "crisi dei missili" a Cuba tra Usa e Urss, fino alla promulgazione dell'Enciclica Pacem in Terris, indirizzata per la prima volta non solo ai cattolici ma "a tutti gli uomini di buona volontà".

Fine lavori. Quanto a quel Concilio di cui aveva tracciato la rotta, ma che alla sua morte restava ancora in alto mare, a condurlo in porto sarebbe stato il nuovo papa, Paolo VI, intellettuale e riflessivo quanto il predecessore era stato ardente ed entusiasta. I lavori, conclusi nel dicembre del 1965 con la sostanziale sconfitta della corrente conservatrice, portarono a cambiamenti di tale portata da creare, da allora in avanti, un fondamentale spartiacque nella storia della Chiesa, oltre a un ampio dibattito interpretativo che in parte è ancora in corso.

I semi per il futuro. E se Giovanni XXIII, beatificato nel 2000 da papa Wojtyla, non poté vedere la fine della grande riunione episcopale, diverso è il caso del protagonista di un curioso episodio raccontato da Monsignor Capovilla. Il personaggio in questione, un teologo poco più che trentenne, era stato inviato nel 1962 dall'anziano cardinale di Colonia, Josef Frings, a tenere al suo posto a Genova una dotta dissertazione sulle linee-guida del Concilio Vaticano II, che allora doveva ancora iniziare. Il sostituto, raccontava Capovilla, "preparò un testo che poteva apparire non rivoluzionario, ma certamente un po' audace". Papa Giovanni lo lesse, e in una successiva udienza con Frings lo abbracciò e gli disse: "Proprio queste erano le mie intenzioni nell'indire il Concilio!"». Impressionato, il cardinale volle per il giovane professore un posto al Concilio Vaticano II come perito. Il ghost writer di turno rispondeva al nome di Joseph Ratzinger.

Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?

3 giugno 2023 Paola Panigas
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