Storia

Codice Falstaff

Tra le note della sua ultima opera, secondo uno studio recente, Giuseppe Verdi avrebbe nascosto un messaggio segreto per “firmare” la sua appartenenza alla massoneria.

L'intervista

Luca Tessadrelli analizza il Falstaff di Verdi: un messaggio massonico tra le note?


Giuseppe Verdi era massone. E la “firma” di questa sua – finora insospettata – appartenenza è nascosta tra le note della sua ultima e straordinaria opera, il Falstaff, rappresentata per la prima volta alla Scala di Milano il 9 febbraio 1893 e considerata il testamento spirituale del compositore. È questa l’audace ipotesi di Luca Tessadrelli, compositore e docente al Conservatorio di Parma, che ha analizzato la partitura dell’opera su indicazione di Marcello Conati, uno dei massimi esperti verdiani: «Vi potrà trovare cose interessanti» aveva detto Conati a Tessadrelli.
E così lo studioso, senza saperne nemmeno bene il motivo, si mise subito al lavoro, focalizzandosi sull’episodio culminante: il momento in cui il protagonista, il vecchio burlone John Falstaff, che fin dall’inizio aveva tentato di conquistare due ricche dame, resta vittima di uno scherzo e, allo scoccare della mezzanotte, si presenta a un appuntamento travestito da “Cacciatore nero”. L’interesse di Conati, infatti, riguardava proprio il tema musicale dei 12 rintocchi, che si sviluppa in 13 battute con la voce di Falstaff, il suono della campana e un sottofondo di archi. «Mi ha impressionato il materiale musicale insolito che queste battute contenevano» dice Tessadrelli, che ha pubblicato i suoi studi nel volume Sarà un progresso… tornando a Verdi (Ed. Diabasis) a cura della soprano Teresa Camellini. «Gli accordi di questo episodio, del tutto estranei rispetto al carattere settecentesco dell’opera, anticipano certe armonie che sarebbero poi comparse nel jazz trenta o quarant’anni più tardi».
L'intervista

Luca Tessadrelli analizza il Falstaff di Verdi: un messaggio massonico tra le note?


Giuseppe Verdi era massone. E la “firma” di questa sua – finora insospettata – appartenenza è nascosta tra le note della sua ultima e straordinaria opera, il Falstaff, rappresentata per la prima volta alla Scala di Milano il 9 febbraio 1893 e considerata il testamento spirituale del compositore. È questa l’audace ipotesi di Luca Tessadrelli, compositore e docente al Conservatorio di Parma, che ha analizzato la partitura dell’opera su indicazione di Marcello Conati, uno dei massimi esperti verdiani: «Vi potrà trovare cose interessanti» aveva detto Conati a Tessadrelli.
E così lo studioso, senza saperne nemmeno bene il motivo, si mise subito al lavoro, focalizzandosi sull’episodio culminante: il momento in cui il protagonista, il vecchio burlone John Falstaff, che fin dall’inizio aveva tentato di conquistare due ricche dame, resta vittima di uno scherzo e, allo scoccare della mezzanotte, si presenta a un appuntamento travestito da “Cacciatore nero”. L’interesse di Conati, infatti, riguardava proprio il tema musicale dei 12 rintocchi, che si sviluppa in 13 battute con la voce di Falstaff, il suono della campana e un sottofondo di archi. «Mi ha impressionato il materiale musicale insolito che queste battute contenevano» dice Tessadrelli, che ha pubblicato i suoi studi nel volume Sarà un progresso… tornando a Verdi (Ed. Diabasis) a cura della soprano Teresa Camellini. «Gli accordi di questo episodio, del tutto estranei rispetto al carattere settecentesco dell’opera, anticipano certe armonie che sarebbero poi comparse nel jazz trenta o quarant’anni più tardi».

Non solo: c’è anche il fatto che Verdi avrebbe potuto circoscrivere l’episodio in 12 battute, perché tanti sono i rintocchi della campana e perché 12 è un numero ricco di simmetrie e significati (è il numero di mesi dell’anno, di spigoli in un cubo, degli Apostoli ecc.). Sarebbe stata una chiusura simmetrica, perfetta, dell’episodio. E invece Verdi scelse di usare una battuta in più: era solo un trucco per colpire l’ascoltatore, o voleva comunicare qualcos’altro? Tessadrelli opta per la seconda ipotesi e osserva: «L’atto di “andare oltre” ricorda il concetto esoterico del superamento di un ciclo per iniziarne un altro: l’evoluzione mediante la rinascita». Un’idea che sarebbe presumibilmente piaciuta a un massone, insomma. «Ci sono indizi esoterici anche nella struttura matematica che guida l’andamento degli archi, dove emerge, quasi fosse un codice nascosto, la successione di Fibonacci: 1, 2, 3, 5, 8, 13... (una sequenza di numeri che compare spesso in natura, e che ha affascinato artisti e scienziati, ndr) E anche negli accordi, in parte dissonanti: un modo spesso usato dai compositori per indicare l’oscurità (come nell’inizio del “Quartetto delle dissonanze” di Mozart, dedicato all’iniziazione massonica del compositore Joseph Haydn, proprio per rendere l’idea delle tenebre, intese come ignoranza, da superare grazie all’intelletto)».

«Delle molte opere di Verdi, infine, il Falstaff è l’unica che termina con un fugato, che in musica è la forma architettonica per eccellenza» conclude Tessadrelli. «Verdi non l’aveva mai fatto: lo accusavano di non saper costruire fughe, e invece la sua ultima opera si conclude proprio con un atto magistrale di contrappunto. In questa “architettura musicale” si può pensare a un omaggio al concetto massonico della divinità: il Grande architetto dell’universo». Forse, allora, non è una coincidenza il fatto che, alla morte di Verdi, il Gran maestro Ernesto Nathan ne elogiò “la gloriosa figura” con le parole: “[…] all’astro fulgidissimo nel firmamento dell’arte universale, la Massoneria italiana, dinanzi all’austera semplicità della vita, dinanzi alla fredda salma, invia il tributo riverente del suo dolore”. Era l’omaggio a un iniziato? Di certo, della ricerca di Tessadrelli, Conati ha detto: «è un’ottima analisi, che evidenzia aspetti che avevo già intravisto altrove nella produzione verdiana». Ma resta anche il dubbio che Verdi abbia voluto semplicemente divertirsi. In fondo, dice John Falstaff alla fine della vicenda, “Tutto nel mondo è burla”...

20 febbraio 2013
Tag cultura - storia -
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