Storia

La città di Kiev è sotto assedio

I russi sono entrati a Kiev. Nei secoli, le battaglie in città sono state combattute casa per casa, sfruttando popolazione, strade ed edifici.

Da Roma a Parigi, da Stalingrado a Berlino, da Kobane ad Aleppo, le battaglie in città sono sempre state combattute casa per casa, sfruttando tatticamente la popolazione, le strade e gli edifici. Il rischio di un bagno di sangue è in agguato anche per la popolazione di Kiev, assediata dal 24 febbraio dall'esercito russo. "Gli edifici di una città sono come barriere frangiflutti. Spezzano le formazioni nemiche e le costringono a incolonnarsi lungo le strade. Per questo dobbiamo occupare saldamente le costruzioni più solide, stabilendovi piccole guarnigioni capaci di far fuoco a 360° nel caso in cui vengano accerchiate"... Sono parole del generale Čujkov, comandante della 62a  Armata sovietica a Stalingrado; ma frasi simili potrebbe pronunciarle oggi, ottant'anni dopo, un soldato ucraino asserragliato in un condominio di Kiev.

Inferno a tre dimensioni. Il combattimento nei centri abitati ha caratteristiche proprie che durano nel tempo, e che sono il riflesso delle "particolari opportunità" offerte da un terreno creato dall'uomo per scopi pacifici, capace di trasformarsi in uno scenario di guerra estremamente difficile da dominare: un vero e proprio inferno a tre dimensioni. Il generale Čujkov sottolineava uno solo degli aspetti cruciali della lotta in città, ovvero la tendenza delle forze attaccanti a "canalizzare" la spinta offensiva lungo le poche vie sgombre da ostacoli e macerie; ma è l'estensione verticale del campo di battaglia che costituisce l'elemento cruciale della guerra nelle aree urbane.

I soldati sono abituati a ragionare in termini di avanzata o ritirata; da quando esiste l'aviazione, il pericolo o l'aiuto possono venire anche dal cielo, ma per il fante si tratta comunque di un fattore esterno sul quale può esercitare un controllo limitato. Tra gli edifici di una città gli uomini devono abituarsi invece a fare i conti con la terza dimensione: controllare il pianterreno di una casa non significa aver conquistato l'intera posizione, né avere superato le difficoltà e i rischi maggiori di un'azione tattica.

Anche in questo caso si tratta di una caratteristica della guerra che si mantiene costante attraverso i millenni: Pirro, uno dei più grandi condottieri dell'antichità, venne ucciso da una tegola scagliata dal tetto di una casa, in una strada di Argo; a Ortona i paracadutisti tedeschi sfruttarono le cantine per colpire dal basso i carri armati canadesi, costretti a inerpicarsi su cumuli di macerie e a esporre così al fuoco la debole corazzatura inferiore dello chassis (armatura); a Grozny i ceceni compresero subito che i cannoni e le mitragliatrici dei mezzi corazzati russi non avevano un'elevazione sufficiente per colpire i piani alti degli edifici più vicini, e ne approfittarono per bersagliarli impunemente dalla loro verticale.

La città di Stalingrado dopo un mese di assedio (novembre 1942).
La città di Stalingrado dopo un mese di assedio (novembre 1942). © Everett Collection / Shutterstock

Battersi nell'oscurità. La città moltiplica, dunque, sia gli ostacoli per chi la deve attaccare, sia le opportunità per chi ha scelto di trasformarla in un caposaldo. Ma una più complessa dimensione spaziale non è il solo problema che i combattenti devono risolvere. Spesso negli edifici si combatte alla cieca: i campi di tiro sono limitatissimi, i soldati devono fidarsi del proprio intuito e dell'udito non meno che della vista, sgranando raffiche o scagliando granate in stanze buie o lanciandosi su per una rampa di scale inondata di fumo.

Come ha scritto un testimone canadese della battaglia di Ortona, "era come una battaglia medievale in cui ci si affrontava corpo a corpo, brancolando nella polvere soffocante, inciampando su mobili rovesciati e macerie, battendosi senza fiato in un'oscurità da incubo". Assieme alla sconcertante complessità verticale del terreno della lotta, il buio artificiale che spesso cancella le differenze tra giorno e notte, immergendo la battaglia in un'unica e confusa dimensione di semi-cecità, è la caratteristica più spiccata dei combattimenti nei centri abitati, e certo la più logorante per chi vi partecipa.

Gli uomini e le donne coinvolti devono possedere una resistenza morale davvero fuori dal comune; chi si trova in prima linea in uno scontro urbano sa di essere sotto costante minaccia di morte, al tempo stesso ravvicinatissima e invisibile. "Li sentivamo parlare, ma non riuscivamo a vederli. Aspettavamo che si fossero impadroniti di uno dei piani bassi del palazzo prima di allontanarci attraverso le aperture nei muri e far brillare le cariche esplosive". Una testimonianza raccolta a Kobane: come a Stalingrado, è il racconto di un gioco a nascondino con la morte, in uno spazio artificiale e in un mondo di ombre.

Una canzone degli anni '70 diceva che, dopo la disfatta della 6a Armata di von Paulus nell'inverno del 1943, i nazisti avrebbero trovato "Stalingrado in ogni città". Kobane è stata definita dai suoi stessi difensori "la Stalingrado dei curdi"; Ortona, "la piccola Stalingrado"; in futuro ci saranno certamente altre città-simbolo, martellate dall'artiglieria e quasi rase al suolo, ma nel cui labirinto di macerie un aggressore più forte e meglio armato non riuscirà a domare la resistenza degli avversari.

Edifici in macerie a Grozny, in Cecenia.
Edifici in macerie a Grozny, in Cecenia. © Vladimir Melnik / Shutterstock

Il ruolo dei civili. Un altro elemento chiave - tipico della lotta nelle aree densamente popolate - è la presenza dei civili: nonostante i pericoli e la devastazione, una parte degli abitanti rimane sempre indietro, incapace di abbandonare per tempo le proprie case, o determinata a offrire il proprio appoggio alle truppe amiche.

Il loro ruolo e la loro importanza dal punto di vista strettamente militare va analizzato caso per caso, ma rappresentano comunque un'importante variabile rispetto alle operazioni su terreno aperto.

A Stalingrado i civili fornirono ai comandi sovietici molte informazioni utili sulla presenza in un determinato settore di unità avanzate nemiche, e collaborarono attivamente alla costruzione di bunker e al trasporto di viveri e munizioni; a Ortona, al contrario, gli sfortunati abitanti rimasti intrappolati in città furono semplici spettatori - e spesso vittime - della furiosa battaglia tra tedeschi e canadesi; in altri casi (Varsavia 1944, Budapest 1956, Hue 1968) una fetta della popolazione affiancò i difensori, partecipando ai combattimenti.

Questo rende la lotta nei centri abitati un ibrido tra guerra e guerriglia, dove i confini si fanno più sfumati, le tattiche non convenzionali (imboscate, cecchinaggio, infiltrazione) sono comunemente usate da tutte le parti in lotta, e il vecchio confine tra civili e militari viene spesso superato nel corso dell'azione. Ovvero, una forma di combattimento estremamente attuale nella nostra epoca.

Il futuro della guerra in città. Il nostro pianeta si sta urbanizzando: megalopoli di decine di milioni di abitanti già caratterizzano molti Paesi, specie nelle aree costiere, e la crescita di questi enormi agglomerati urbani non sembra destinata ad arrestarsi. Le conseguenze per chi deve pianificare operazioni militari, e per chi deve provvedere alla sicurezza collettiva, sono ovviamente di grande rilevanza: come dimostrato anche in tempi recenti, le città sono terreno adattissimo non solo alla resistenza convenzionale sul modello di Stalingrado, ma all'insurrezione e alla guerriglia.

Nella sovraffollata giungla d'asfalto il combattente clandestino ha le migliori possibilità di sopravvivere – è davvero il "pesce nell'acqua" della teoria maoista - e può provocare i danni più gravi ai suoi avversari politici e militari. Gli attacchi terroristici in città – da Baghdad a Parigi, da Nizza a Dacca – sono la tattica più usata dagli irregolari jihadisti per combattere la loro guerra contro l'Occidente; sempre più frequenti e difficili da contrastare, costituiscono una delle caratteristiche più comuni di una terza guerra mondiale che alcuni ritengono già iniziata.

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Questo articolo è tratto da "La guerra in città", di Gastone Breccia, pubblicato su Focus Storia Wars 23 (dicembre 2016) disponibile solo in formato digitale. Leggi anche il nuovo numero di Focus Storia ora in edicola.

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