L’antenato del libro tascabile è il cosiddetto “libro da bisaccia”, piccolo e spartano testo a contenuto prevalentemente devozionale, imitazione di poco conto dei ben più nobili e ingombranti codici antichi. Questo tipo di pubblicazione era diffusa nel Medioevo, ma poiché era scritta a mano dagli amanuensi ed era molto costosa da realizzare, era riservata a pochi.
Genio veneziano. Una maggiore fruizione del libro si ebbe dopo l'invenzione della stampa a caratteri mobili per opera dell'orafo e tipografo tedesco Gutenberg, nel 1455: solo dopo di lui produrre libri in serie divenne più economico.
Il primo libro in versione economica, di buona fattura e a un prezzo abbordabile, uscì dalla tipografia del veneziano Aldo Manuzio che, nel 1501, pubblicò le Bucoliche di Virgilio in formato 32° (cioè alte 10 centimetri) e nel quale fu usato, per la prima volta, il carattere corsivo.
Sempre nel XVI secolo si diffusero libri a basso costo in Germania (il Volksbuch), in Francia (la collana Bibliothèque Bleu) e in Inghilterra (i chapbooks venduti dagli ambulanti). I veri tascabili debuttarono proprio qui, in Inghilterra, nel 1935, quando la casa editrice Penguin lanciò i paperbacks (libri piccoli e con la copertina flessibile).
La moda in Italia. Nel nostro Paese uno dei primi editori a seguire questa moda, ottenendo un enorme successo, fu Rizzoli, che nel 1949 lanciò la collana Bur (Biblioteca Universale Rizzoli), che pubblicava i grandi classici.
I primi titoli vennero stampati in un numero relativamente basso: 10.000 copie. Presto però le tirature vennero triplicate perché l'idea si era rivelata vincente. Si trattava infatti di vendere a un prezzo economico piccoli volumetti accessibili a tutti. Un modo efficace di divulgare la cultura ad ampi strati della popolazione in un Paese, il nostro, in rapida trasformazione anche culturale.