A volte ritornano. È il caso dell'ultimo, vero, re d'Italia, Vittorio Emanuele III, la cui salma è tornata nel 2017 nel nostro Paese. La sua figura è sempre stata molto controversa. In 46 anni di regno - dal 1900 al 1946 - ha partecipato a due guerre mondiali. E ha assistito all'introduzione del suffragio universale (prima maschile, poi femminile), all'ascesa del fascismo, alla promulgazione delle leggi razziali e alla fine della monarchia.
Avrebbe potuto, in alcuni casi, cambiare il corso della storia del nostro Paese (non sempre esemplare)? Secondo molti storici si. Sull'ultimo effettivo re di Italia, pesano infatti, ancora oggi, molte ombre.
RE-SOLDATO. Vittorio Emanuele III divenne re poco più che trentenne, nel 1900 quando fu ucciso suo padre, Umberto I.
La prima grande responsabilità che si prese, nel 1915, fu quella di appoggiare l'intervento dell'Italia nella Prima guerra mondiale. Al termine del conflitto, portò a casa una vittoria sofferta e rosicata. Ma soprattutto un nomignolo: "re-soldato". Nomignolo che mal si addiceva alla sua altezza (1 metro e 53).
«Effettivamente, come frutto, Vittorio Emanuele non era da vetrina»- racconta Indro Montanelli nella sua Storia d'Italia. «Era cresciuto, ma solo di testa e di tronco. Di arti era rimasto sottosviluppato, e sulle gambe rachitiche si reggeva a stento».
il paese a Mussolini. Il soprannome re soldato però gli rimase come un marchio, anche negli anni successivi. E per certi aspetti gli tornerà utile quando il nostro Paese assistette all'ascesa del fascismo.
La seconda grande responsabilità che il re si prese allora, fu infatti quella di aprire a Benito Mussolini la porte delle istituzioni. Nei giorni caldi della marcia su Roma avrebbe potuto fermarlo, invece gli consegnò il Paese, dandogli l'incarico di costituire un governo. Perché lo fece? Secondo gli storici per timore che l'esercito si ribellasse. O più probabilmente perché pensava che il fascismo potesse rappresentare un argine alle tensioni sociali che allora scuotevano il l'Italia.
il ventennio. Il risultato non fu la pace sociale. Ma un Paese alla deriva, in balia di leggi sempre più antidemocratiche: da quella sullo scioglimento di partiti e sindacati, a quella sulla soppressione delle libertà individuali e collettive, alle famigerate leggi razziali. E anche un Paese impegnato in imprese militari sanguinose: dall’avventura coloniale in Etiopia, all'ingresso del nostro Paese nella Seconda Guerra Mondiale, seguito all’alleanza con la Germania di Adolf Hitler.
Tutti a casa. Il re prese tardi e male le distanze dal regime. Per separare la sorte della monarchia da quella di Mussolini, nella seduta del Gran Consiglio (25 luglio 1943) concordò con i gerarchi l'esautorazione del Duce, sostituito alla guida del Paese dal maresciallo Pietro Badoglio.
Poi siglò l'armistizio (8 settembre 1943) con gli anglo-americani, di fatto la resa incondizionata del nostro Paese. La fuga verso Brindisi (sotto la tutela anglo-americana) e l'abbandono della capitale nelle mani dei tedeschi il giorno dopo l'annuncio dell'armistizio fu la pietra tombale sulla sua immagine.
Fu vera fuga? Come spiega Marta Erba su Focus Storia, alcuni storici ritengono che quello del sovrano sabaudo non fu, come giudicano i più, un atto di vigliaccheria. E che ad alimentare quell’idea fu la propaganda della Repubblica di Salò, che per legittimarsi aveva tutto l’interesse a gettare discredito sul re. I filomonarchici sostengono che si sia trattato di un trasferimento necessario per salvare la continuità dello Stato. Resta il fatto che, con quella scelta, il re prima di tutto salvò la propria pelle. «Avrebbe potuto abdicare e fermarsi a Roma, lasciando che a trasferirsi fosse il figlio Umberto» osserva Paolo Colombo, docente di Storia delle istituzioni politiche all’Università Cattolica di Milano. «Ma soprattutto avrebbe dovuto pensare alle truppe, visto che aveva formalmente il comando delle forze armate».
Invece la fuga, insieme alla “congiura del silenzio” dei giorni successivi, ebbe effetti disastrosi: diede il tempo ai tedeschi di organizzarsi, prendere il controllo dell’Italia Centro-Settentrionale e liberare Mussolini. Esponendo il Paese a ulteriori 20 mesi di guerra.
Tutto questo fu fatale per il destino della monarchia in Italia.
Epilogo. Il re abdicò nel maggio del 1946 a favore del figlio Umberto II (che fu re per un mese, "il re di maggio"). Fu un ultimo disperato tentativo di riabilitare l'immagine della monarchia, alla vigilia del referendum che avrebbe sancito la nascita della Repubblica.
A poco valse il dono inviato ad Alcide De Gasperi il 9 maggio 1946, pochi giorni prima del referendum monarchia-repubblica: “Signor presidente” scrisse il re “lascio al popolo italiano la collezione di monete che è stata la più grande passione della mia vita”. Più grande, forse, di quella per il suo Paese.
Prima ancora di conoscere l'esito del voto Vittorio Emanuele III si ritirò ad Alessandria d’Egitto, dove morì il 28 dicembre 1947.