In India, nella mitologia indù, la dea Kali è una delle rappresentazioni della moglie del dio Siva, il quale ha due aspetti: divinità feconda, di cui si adora il lingam (fallo), e dio distruttore e guerriero. Anche sua moglie si presenta con vari aspetti: Parvati, madre dei suoi figli, Durga, dea della guerra, e Kali, divinità feroce e sanguinaria.
Kali è raffigurata con i palmi delle quattro o più mani rossi, la lingua e il petto coperti di sangue, con una collana di teschi o una cintura di serpenti, e tutta nera (Kali significa oscura).
Nel secolo scorso c’era in India una setta di adoratori di Kali chiamati tughs. Il nome deriverebbe dalla parola indiana thag, che significa truffa. Di fatto erano fanatici assassini: entravano in confidenza con le vittime predestinate e poi le strangolavano in onore della loro dea, con un preciso rituale. L’alto numero di omicidi costrinse nel 1828 il governo di Londra, di cui l’India era colonia, a prendere drastici provvedimenti, arrestando oltre 3 mila tughs tra il 1831 e il 1837. Una decina di anni dopo la setta era scomparsa.
Il culto di Kali però è ancora vivo tra gli indù, anche se con riti meno cruenti. La città di Calcutta, per esempio, deve il suo nome al Kalighat, un tempio di Kali che si trova accanto a un ospedale fondato da madre Teresa di Calcutta, ed è ancora oggi meta di pellegrinaggi.