Bello non era, e neppure di buon carattere, ma le sue tragiche vicende hanno "regalato" a Don Carlos (1545-1568) un'aura romantica. Il 24 luglio del 1568 Don Carlos, principe delle Asturie, si lasciò morire in una torre della fortezza medievale del Real Alcázar di Madrid, mettendo fine a un'esistenza terribile, tormentata dalle più svariate malattie. Ci volle Giuseppe Verdi, trecento anni dopo, con il suo Don Carlo per ridare dignità di eroe romantico a un principe brutto, storpio e di pessimo carattere.
Pedigree. Il primogenito di Filippo II, re di Spagna, nasceva da un'unione anche geneticamente infelice (con un coefficiente di consanguineità di 0,211 era come se fosse nato da un'unione tra fratello e sorella): sua madre, la principessa Maria Emanuela, infanta di Portogallo, nonché prima cugina del re, era morta quattro giorni dopo averlo messo al mondo, l'8 luglio del 1545. Il travaglio era durato tre giorni e aveva privato, a tratti, il neonato di ossigeno, provocandogli una emiparesi – la perdita parziale delle funzioni motorie di metà del corpo – che per tutta la vita gli avrebbe reso difficile muoversi e parlare. Quando fu presentato al nonno, Carlo V, pare che il suo commento sia stato: "questo fatelo vedere in giro il meno possibile".
Sfortunato. Sin da piccolo fu afflitto da forti febbri che ne debilitarono ulteriormente il fisico, e come se non bastasse era gobbo, balbuziente e dotato di un'intelligenza che non corrispondeva alla sua età. Questo bambino, come diremmo oggi "problematico", con i suoi continui cambi d'umore e i violenti scatti d'ira (si dice che nell'infanzia si divertisse a torturare i compagni di gioco e che in età adulta sia arrivato a defenestrare un paggio per futili motivi), finì per dare scandalo a corte.
Mani bucate. Aveva un pessimo rapporto con il denaro. Pur godendo della generosa dote del padre, i soldi non gli bastavano mai. Spendeva a più non posso: tra beni di lusso e scommesse accumulava debiti che lo costringevano a chiedere prestiti agli amici banchieri. Inoltre per rompere la monotonia delle sue giornate (e nottate), si circondava di compagnie femminili e maschili molto costose. A 17 anni, infatti, il pretendente al trono di Spagna, durante un incontro clandestino con una giovane donna nel palazzo di Alcalá di Henares, cadde dalle scale procurandosi un trauma cranico.
Fu vicino alla morte, ma riuscì a guarire dopo una lunga convalescenza che, però, lo rese ancora più violento e sempre più instabile mentalmente: dopo l'incidente, infatti, incendiò una casa con dentro i suoi abitanti, minacciò il duca d'Alba con un pugnale e costrinse un calzolaio a mangiare una scarpa che non era di suo gradimento.
E forse trovò anche il tempo (così riportano alcune fonti) di ordire una congiura contro il padre.
Morte precoce. L'unica cosa certa è che il 18 gennaio 1568 il monarca decretò la reclusione del figlio. A quel punto la sorte del principe era segnata: in prigione smise di mangiare e si lasciò morire a soli 23 anni. La realtà, dunque, è ben diversa da quella che ci ha tramandato Verdi con il suo Don Carlo: Filippo II non fece assassinare il figlio, ma tentò il tutto per tutto per salvare le apparenze e obbedire alla ragion di Stato. In realtà il re di Spagna era stato fino ad allora un padre molto indulgente, ma fu costretto a rinchiudere il figlio quando le intemperanze del ragazzo misero in pericolo il trono.
Una vita da melodramma. La sventurata storia del principe è stata soggetto di numerose opere. Hanno raccontato la sua vicenda Vittorio Alfieri nel Filippo del 1775, Friedrich Schiller nella tragedia Don Carlos, Infant von Spanien nel 1787, e Giuseppe Verdi nell'opera Don Carlo (portata in scena per la prima volta a Parigi nel 1867) che il 7 dicembre inaugura la stagione del Teatro alla Scala di Milano.