Storia

Ecco la storia del comandante Massoud, il "leone del Panjshir"

L'attuale capo della resistenza anti talebana, Ahmad Massoud, è il figlio del comandante Massoud, "leone del Panjshir": ecco la storia del leggendario padre.

C'è un luogo in Afghanistan dove i talebani non sono ancora arrivati, la valle del Panjshir, una provincia a nord-est di Kabul dove si sta riorganizzando la resistenza contro i fondamentalisti islamici. A coordinare la resistenza afghana c'è oggi Ahmad Massoud, figlio di Ahmad Shah Massoud, il "leone del Panjshir", che difese l'area prima dai sovietici e poi dai talebani. Massoud fu ucciso il 9 settembre 2001, due giorni prima dell'attacco alle Torri gemelle, in un attentato durante una finta intervista a un emittente televisiva. Ma vediamo chi era questo indomabile guerrigliero…

Massoud - comandante Ahmad Shah Massoud
Ahmad Shah Massoud, detto “il “leone del Panjshir”. © Sursa / Wikimedia Commons

Eroe nazionale. Fino a pochi giorni fa la foto di Massoud campeggiava in tutti gli uffici governativi: era considerato in Afghanistan un padre della Patria, proclamato eroe nazionale dal governo nel 2001. Il suo nome rievoca tutte le drammatiche vicende che hanno coinvolto per decenni questa gente. La vicenda di quest'uomo prende le mosse dal destino di un Paese che ha attirato troppi invasori e mai è stato conquistato. La sua posizione geografica infatti, posta al centro di molte importanti vie di comunicazione dell'Asia Centrale, ne ha sempre fatto una preda ambita, da Ciro il grande fino al XIX secolo, quando l'Afghanistan fu al centro di quello che è passato alla Storia come il "Grande Gioco" tra l'Inghilterra vittoriana e la Russia zarista. 

Contro l'invasore sovietico. Il gioco fu ripreso dall'Armata Rossa. Il 24 dicembre 1979 le truppe sovietiche invasero il Paese approfittando della forte instabilità dovuta a lotte di potere interne allo stesso regime comunista. Alcuni mesi prima Massoud aveva già cercato di organizzare un'insurrezione nella sua regione di origine, il Panshir, ma senza particolare successo. Ora, dopo l'arrivo dei russi, il popolo afghano era pronto a sollevarsi in massa contro l'oppressione straniera, rinnovando la fama bellicosa di quelle genti che aveva sempre fatto dell'Afghanistan un terreno ostico per gli stranieri, tanto da dargli la fama di "tomba degli imperi".

Massoud prese le armi contro l'esercito sovietico partendo dalla Valle del Panshir, che poteva dargli il più classico dei vantaggi a favore di un capo guerrigliero: la perfetta conoscenza del terreno su cui avviene lo scontro. In quel crogiolo di etnie che è l'Afghanistan, provenire dal nord-est permise inoltre al giovane capo militare e ai suoi seguaci di diventare in poco tempo un'importante fazione del movimento di resistenza contro i russi: la valle nella quale lui e i suoi combattenti, i mujahedin, iniziarono ad attaccare le truppe sovietiche è percorsa, infatti, da una delle principali strade del Paese, che collega l'area di Kabul al confine nord-orientale con i territori allora appartenenti all'Urss.

Lo stesso Massoud era tagiko (il Tagikistan era una delle repubbliche socialiste sovietiche), così come chi abitava in quella provincia.

Massoud - Carro armato sovietico
Carro armato sovietico nella valle del Panjshir. © Knovakov / Shutterstock

Un simbolo della resistenza. Così i mujahedin della Valle del Panshir diventarono presto una spina nel fianco della 40esima Armata sovietica, la Grande Unità dell'Armata Rossa che aveva il controllo delle truppe stanziate nel Paese. Potevano contare su due importanti vantaggi: la collocazione strategica dell'area in cui operavano e le abilità tattiche e di comando che il loro comandante dimostrò subito di possedere.

Le capacità di Massoud e il suo indiscutibile carisma determinarono anche una notevole espansione della sua forza militare: dal nucleo iniziale di 1.000 combattenti che lo seguirono inizialmente nel 1980, il suo movimento arrivò a contare nel 1984 circa 5.000 uomini, che poi salirono a quasi 13.000 nel 1989. Dopo le prime azioni vittoriose – tra queste le imboscate contro i convogli sovietici di truppe e rifornimenti che attraversavano il passo di Salang – la fama di indomito guerrigliero fece guadagnare a Massoud l'appellativo di "leone del Panshir", ripreso subito dalla stampa internazionale.

Nei lunghi anni di durissima lotta contro le forze sovietiche egli riuscì non solo ad attaccarle senza tregua con rapidi colpi di mano, secondo i più classici criteri tecnico tattici tipici della guerriglia, ma anche a sfuggire alle ripetute e massicce offensive che i sovietici sferrarono nella sua area: infatti, quando decideva di non accettare il combattimento, riusciva a disperdere rapidamente le sue forze nella miriade di valli laterali. Negli anni a seguire i sovietici iniziarono a soffrire del logorio che inevitabilmente affligge un esercito quando è a lungo costretto ad affrontare un movimento insurrezionale, capace e profondamente radicato nel tessuto sociale, come quello dei mujahedin.

Quando l'ago della bilancia iniziò a pendere in favore della resistenza, i successi più significativi li colse proprio Massoud, che nell'agosto 1986 riuscì a occupare Farkhar, nella provincia di Takhar, e nel novembre successivo attaccò, conquistandolo, il quartier generale di una divisione dell'esercito governativo nella provincia di Baghlan. Alla fine, nel febbraio 1989, le truppe sovietiche si ritirarono dall'Afghanistan. Dopo altri tre anni di guerra, nel 1992, anche il governo comunista afghano crollò. Il "leone del Panshir" è ritenuto in modo unanime uno degli artefici della vittoria.

Intanto a Kabul… Ma la fine di quello scontro non aprì un periodo di pace per il popolo afghano. Iniziò subito un'aspra guerra civile tra le varie fazioni islamiche che in precedenza avevano lottato contro l'invasore esterno.

Così Massoud fu costretto a combattere ancora, questa volta contro i movimenti islamici più radicali, come Hezbi Islami di Hekmatyar, e soprattutto contro i talebani, gli studenti coranici, entrambi appoggiati dal Pakistan. Nel 1996, dopo complesse e alterne vicende, i talebani conquistarono Kabul, strappando la capitale e la maggior parte del Paese al governo islamico moderato di cui Massoud era diventato ministro della Difesa.

Ma ancora una volta la Valle del Panshir diventò il santuario inviolabile del leone: da qui Ahmad Shah condusse la lotta contro il regime talebano, diventando anche il capo indiscusso della cosiddetta Alleanza del Nord. Nel 2001, sotto l'assedio delle armi e della carestia, con un milione di profughi nella sua regione, Massoud partì per chiedere aiuto. Approdò a Strasburgo, nell'aula magna del Parlamento europeo, a supplicare l'appoggio dell'Occidente. Parlava del capo dei talebani, il mullah Omar, del re dei terroristi islamici integralisti, il miliardario saudita Osama Bin Laden, e del loro progetto di instaurare in Afghanistan una teocrazia.

Massoud - Mausoleo
Il mausoleo di Ahmad Shah Massoud nella valle del Panjshir. © Khrolenko / Shutterstock

11 settembre: colpo di grazia per Afghanistan e Occidente. Per uomini come Massoud combattere è un destino. Il tradimento riuscì però a metter fine alla sua parabola: il 9 settembre 2001, il leader afghano rimase ucciso in un attentato eseguito dai sicari di Al Qaeda, due tunisini che si erano finti giornalisti facendo esplodere una telecamera carica di esplosivo. Con lui scomparve il suo sogno di un Afghanistan moderno e democratico. Due giorni dopo l'America venne sconvolta dagli attacchi dell'11 settembre. Si disse che esisteva un collegamento tra l'omicidio di Massoud e quell'evento tragico. Di certo, dopo di allora il mondo non fu più lo stesso.

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Questo articolo è tratto da "Massoud, destinato alla lotta" di Fabio Riggi, pubblicato su Focus Storia Wars 26 (agosto 2017) disponibile solo in formato digitale. Leggi anche l'ultimo numero di Focus Storia ora in edicola.

22 agosto 2021
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