Storia

Chi era Ettore Majorana?

La fine del grande scienziato che lavorò con Enrico Fermi e "i ragazzi di via Panisperna" alle prime ricerche sull'atomo torna di attualità. Misteriosamente scomparso nel 1938, secondo la Procura di Roma era vivo e vegeto in Venezuela dal 1955 al 1959. Ma chi era Majorana? E che cosa sappiamo della sua scomparsa?

Chi l’ha visto? Era questo il titolo di una rubrica della Domenica del Corriere sulle cui colonne, il 17 luglio 1938, apparve il seguente annuncio:

“Ettore Majorana, ordinario di Fisica all’Università di Napoli, è misteriosamente scomparso. Di anni 31, metri 1,70, snello, capelli neri, occhi scuri, una lunga cicatrice sul dorso di una mano. Chi ne sapesse qualcosa è pregato di scrivere”.

Le ultime notizie sul giovane scienziato erano datate 26 marzo, quando da un hotel di Palermo aveva annunciato a un suo collega l’intenzione di imbarcarsi sul primo traghetto per Napoli. Poi non se ne seppe più nulla, e sulle varie congetture che seguirono gravò costantemente l’incertezza dell’avverbio “forse”: forse Majorana si suicidò gettandosi in mare; forse fu assassinato; forse scese dalla nave (o non vi mise affatto piede) e si ritirò in un convento; forse rimase in Sicilia, sua terra d’origine; forse si rifugiò in Sud America... «O forse in Germania, dove condusse studi top secret sull’energia nucleare al soldo dei nazisti» aggiunge Federico Di Trocchio, docente di Storia della scienza all’Università La Sapienza di Roma e autore di varie pubblicazioni sul caso Majorana.

L'ultimo tassello di questa misteriosa vicenda è di questi giorni. Majorana fuggì segretamente in Sud America. Lo afferma la Procura di Roma che dal 2008 sta indagando sulla vivenda. La tesi dei giudici si basa sull'analisi di una foto scattata in Venezuela nel 1955, in cui appare un signore, conosciuto con il cognome Bini. L'uomo ritratto risulta compatibile con i tratti somatici del fisico catanese.

Dove sta la verità? Per tentare di capirne di più proviamo a ricostrui­re lo svolgersi degli eventi cominciando dal primo elemento di ogni indagine: il profilo della vittima. O meglio, dello “scomparso”.

Chi era Ettore Majorana. La biografia di Majorana è sintetizzata in una manciata di parole scritte da lui stesso nel 1932: “Sono nato a Catania il 5 agosto 1906 […] e nel 1929 mi sono laureato in Fisica teorica sotto la direzione di Enrico Fermi. Ho frequentato […] l’Istituto di Fisica attendendo a ricerche di varia indole”. Per la cronaca, l’istituto di cui si parla era in via Panisperna, a Roma, e si occupava di sperimentazione nucleare. Figlio di un ingegnere e nipote dell’insigne fisico Quirino Majorana, fin da bambino Ettore brillò per le sue doti di matematico, che nella capitale mise al sevizio di un ensemble di giovani fisici coordinati dal docente Enrico Fermi e passati alla storia come “i ragazzi di via Panisperna”.

Tra loro, Ettore si distingueva per il carattere riservato e la genialità.

I giovani colleghi di Majorana che lavoravano con Enrico Fermi (a destra) all’Istituto di Fisica di via Panisperna a Roma. Da sinistra: D’Agostino, Segré, Amaldi e Rasetti.

La sua abilità nel calcolo era ammirata da tutti, ma ogni volta che i suoi studi sfioravano l’impresa scientifica, si rifiutava di pubblicarli e in alcuni casi arrivò persino a stracciare gli appunti di lavoro. “Aveva l’aria di chi in una serata tra amici si improvvisa giocoliere, prestigiatore, ma se ne ritrae appena scoppia l’applauso. […] Non uno di coloro che lo conobbero lo ricorda altrimenti che strano. E lo era veramente” scriverà il romanziere siciliano Leonardo Sciascia ne La scomparsa di Majorana (1975).

All’inizio del 1933 lo “strano” Ettore partì per un viaggio di studi nella Germania nazista, a Lipsia, dove lavorò con entusiasmo con il grande fisico teorico Werner Heisenberg. Ma quando, ai primi di agosto, tornò a Roma mostrò ulteriori sintomi di stramberia. “Per quattro anni raramente esce di casa e ancor più raramente si fa vedere all’istituto” riassume Sciascia. La sentenza dei medici fu esplicita: “Esaurimento nervoso”. In tale contesto, nel 1937 gli venne assegnata per “chiara fama” una cattedra all’Università di Napoli.


Suicida… «Giunto nella città partenopea, Ettore strinse subito amicizia con il collega Antonio Carrelli, ma in generale condusse anche qui una vita appartata» riferisce Di Trocchio. Poi, il 25 marzo 1938, si imbarcò per Palermo in cerca di riposo nella sua Sicilia e, prima di partire, scrisse al Carrelli una missiva che recitava: “Ho preso una decisione […] mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare […] ti prego di perdonarmi”. Indirizzò quindi un messaggio dello stesso tenore ai suoi famigliari: “Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero […] perdonatemi”. Le intenzioni suicide parevano però essere svanite quando – giunto a Palermo – inviò un telegramma al solito Carrelli in cui diceva di non preoccuparsi per la lettera precedente.

Il giorno dopo scrisse la sua ultima missiva: “Caro Carrelli, spero che ti siano arrivati insieme il telegramma e la lettera. Il mare mi ha rifiutato e ritornerò. Ho però intenzione di rinunziare all’insegnamento”. Questi documenti, che saranno rinvenuti e pubblicati nel 1972 da Erasmo Recami, fisico e biografo di Majorana, furono gli ultimi “segnali” inviati dallo scienziato. Che all’improvviso svanì.

Le ricerche, patrocinate nientemeno che da Mussolini, fecero i conti con la scarsità di elementi in mano agli inquirenti, tra cui spiccava un biglietto navale intestato a Majorana in cui era stranamente registrato, oltre al suo imbarco sul traghetto di ritorno, anche lo sbarco.

Non fece chiarezza la testimonianza di un altro passeggero, Vittorio Strazzeri, che forse aveva visto Majorana sul ponte della nave all’alba del 27 marzo. «La tesi del suicidio in mare iniziò così a complicarsi, ma la cosa più strana era che, prima di sparire, Majorana aveva prelevato una grande somma di denaro (cinque stipendi arretrati) e fatto sparire il passaporto» osserva Di Trocchio. Le ricognizioni in mare non diedero alcun esito, e iniziò a farsi strada l’ipotesi di un Majorana “in fuga” dalla società. Vivo, ma nascosto chissà dove. E chissà perché.


…o fuggiasco? Nel 1934 i ragazzi di via Panisperna avevano “bombardato” alcuni nuclei di uranio con dei neutroni, convincendosi alla fine dell’esperimento di aver creato nuovi elementi chimici. In realtà avevano praticato per la prima volta la “fissione nucleare” (primo passo verso la bomba atomica) e, secondo alcuni, il giovane talento, intuendone le possibili ricadute militari, si sentì talmente turbato da voler sparire dalla circolazione. «Così come non è da escludere che sia uscito di scena per la sua asocialità; alcuni hanno persino ipotizzato che sia stato ucciso con il placet dei servizi segreti Usa per impedirgli di svolgere ricerche per conto del fascismo o del nazismo» aggiunge Di Trocchio.


Nel caso fosse invece fuggito per cambiare vita, dove si sarebbe nascosto? Una prima ipotesi voleva il fisico al chiuso in un monastero, e ad alimentare la pista fu la risposta di un gesuita partenopeo alla rubrica della Domenica del Corriere. Questi rivelò di aver ricevuto da Majorana, tra fine marzo e inizio aprile, una richiesta di ospitalità. A seguire arrivarono segnalazioni di una sua presenza in conventi campani, fino a che subentrò una nuova ipotesi. Questa, in voga negli anni Settanta, faceva riferimento a un Majorana vagabondo in Sicilia, nei pressi di Mazara del Vallo (Trapani). Qui viveva un clochard, tale Tommaso Lipari, di cui si diceva avesse gran talento nei calcoli matematici nonché una cicatrice sulla mano destra (come lo scomparso) e un bastone da passeggio con incisa la data di nascita dello scienziato etneo. Tale romanzesca ipotesi fu però smontata negli Anni ’80 da Paolo Borsellino (allora procuratore di Marsala) attraverso una perizia calligrafica con cui si appurò che il Lipari era in realtà un ex galeotto.

Immigrato. «Una terza ipotesi sostenne che il fisico fosse riparato in Argentina, e ad attestarlo erano le segnalazioni di un suo passaggio a Buenos Aires tra gli Anni ’60 e ’70» racconta Di Trocchio.

Al riguardo, l’8 ottobre 1978 il periodico Oggi pubblicò un articolo in cui chiamava in causa il professor Carlos Rivera, fisico cileno che giurava di aver conosciuto, proprio a Buenos Aires, vari amici di Majorana. Nel 1974, a Taormina, la signora Blanca de Mora, moglie di uno scrittore guatemalteco, aveva stupito i suoi conoscenti italiani confidando disinvolta: “Ettore Majorana? A Buenos Aires lo conoscevamo in tanti”. L’ipotesi è suffragata anche da Recami, che sulla vicenda ha scritto il libro Il caso Majorana. Epistolario, documenti, testimonianze (Di Renzo): «Io stesso trovai numerose conferme alle frasi di Rivera e di Blanca de Mora, e da altre ricerche emerse l’ipotesi che negli Anni ’50 Majorana potesse essere a Santa Fe oppure a Rosario, comunque non lontano da Buenos Aires».

La foto del 1950 che ritrae il criminale nazista Eichmann (a destra) con un uomo che, secondo alcuni, è Majorana. © Mondadori Portfolio

Scatto rivelatore? «La pista argentina guadagna ulteriore credibilità se messa in relazione con una quarta ipotesi» prosegue Di Trocchio «secondo la quale Majorana andò in Germania (consenziente o obbligato) per servire il Terzo Reich, emigrando a Buenos Aires dopo il crollo nazista». Tale ricostruzione è emersa dallo studio di una foto del 1950 (v. qui sopra) in cui è ritratto il criminale nazista Adolf Eichmann (organizzatore del trasporto degli ebrei nei campi di concentramento) sul ponte di un battello diretto in Argentina. La cosa interessante è che al suo fianco c’è un passeggero che assomiglia proprio a Majorana. Per risolvere il mistero Giorgio Dragoni, docente di Storia della fisica all’Università di Bologna, ha di recente commissionato un’analisi della foto al computer. «Le elaborazioni, ottenute confrontando l’immagine con un ritratto dello scienziato, rivelano un’evidente corrispondenza tra le proporzioni del viso e del corpo: dalla forma della bocca alla statura, dai capelli alla fronte, anche se purtroppo non è possibile comparare gli occhi, poiché l’uomo sulla nave indossa occhiali scuri» sostiene Di Trocchio. «Vi è un altro elemento da sottolineare: il battello su cui venne scattata la foto (l’Anna C.) fu notoriamente usato per il trasporto di ex nazisti e altri personaggi ambigui in Sud America. Inoltre non sono mancati rumors su un piano dell’intelligence italiana – che nel ’37 rapì e condusse in Germania un altro scienziato, l’ingegnere Gaetano Fuardo – al fine di inviare Majorana in terra tedesca inscenando un finto suicidio. I dubbi però restano, anche perché non si hanno altre prove di una sua permanenza in Germania». Chi invece tende a escludere che l’uomo della foto fosse proprio Majorana è Recami: «Nonostante le dicerie, non risulta che il giovane fisico avesse simpatie per il nazismo».


La soluzione della procura di roma. Resta il fatto che dopo l’intervista fatta dal programma di Rai Tre Chi l’ha visto? a un immigrato italiano in Sudamerica, Francesco Fasani, che sostiene di aver conosciuto un cinquantenne di nome Bini somigliante a Majorana, nel 2008 la Procura di Roma ha riaperto il caso. Dopo 7 anni di indagini il caso è stato chiuso: Majorana non si suicidò, ma fuggì in Venezuela dove visse almeno fino al 1959.

Nel corso delle audizioni, si legge nel provvedimento di archiviazione, Fasani «ebbe a descrivere Bini-Maiorana come un uomo di mezza età, con cui non entrò mai in intimità stante una esasperata riservatezza».

A sinistra Ettore Majorana, il fisico catanese nato nel 1906 e sparito nel nulla la sera del 27 marzo del 1938. A destra la sua presunta immagine nel 1955.

Sono due i punti chiave della tesi dei giudici. Il primo è una foto scattata il 12 giugno 1955 a Valencia, in Venezuela, che è stata esaminata dai Ris dei Carabinieri per la comparazione dei dati fisiognomici di Bini-Maiorana con quelli appartenenti al suo nucleo familiare e, in particolare, con l’immagine del padre dello scienziato, Fabio Maiorana, quando aveva la stessa età del figlio (cioè 50 anni).

Secondo il giudice, «i risultati ottenuti dalla comparazione hanno portato alla perfetta sovrapponibilità delle immagini di Fabio Majorana e di Bini-Majorana, addirittura nei singoli particolari anatomici quali la fronte, il naso, gli zigomi, il mento e le orecchie, queste ultime anche nella inclinazione rispetto al cranio».

Il secondo dettaglio decisivo ai fini delle indagini è una cartolina, risalente al 1920, ritrovata nell'auto di Bini/Majorana. Si tratta di una missiva che Quirino Majorana, zio di Ettore ed altro fisico di fama mondiale, scrisse al fisico americano W. G. Conklin sull’andamento delle esperienze di laboratorio volte alla individuazione della natura della forza di gravità. Un fatto, per i giudici, che conferma la «vera identità di costui come Ettore Majorana, stante il rapporto di parentela con Quirino, la medesima attività di docenti di fisica e il frequente rapporto epistolare già intrattenuto tra gli stessi, avente spesso contenuto scientifico».

Come Mattia Pascal? Quanto invece ai motivi della eventuale fuga (sensi di colpa a parte), molti hanno messo in risalto la passione del fisico per Pirandello, in particolare per il romanzo Il fu Mattia Pascal. In tale opera il protagonista si crea una nuova identità dopo esser stato creduto morto, salvo alla fine inscenare il suicidio del proprio “doppio” per tornare se stesso. Ebbene, secondo alcuni Majorana avrebbe deciso di emulare il suo eroe, modificando il finale della storia. In proposito, è attribuita a Fermi una riflessione: “Una volta che avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere, Majorana ci sarebbe di certo riuscito”.

In ogni caso, assassinato, fuggiasco o suicida che fosse, quel geniale e taciturno ragazzo siciliano rimase coerente fino all’ultimo, sparendo in assoluto silenzio.

Tratto e aggiornato da un articolo di Focus Storia Biografie a cura di Matteo Liberti
Matteo Liberti

5 febbraio 2015
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