Andando ad aprire la pagina di Google di oggi, scoprirete che c'è un doodle dedicato a Gerardo Mercatore, di cui si celebra il 503esimo anniversario della nascita. È stato un matematico, astronomo e cartografo fiammingo, e a renderlo celebre sono stati gli studi che ha condotto nella cartografia. Il suo lavoro è stato soprattutto fondamentale in ambito nautico: ha infatti inventato un sistema di proiezione cartografica ribattezzato Proiezione di Mercatore tra i più noti, importanti e utilizzato (lo usa per esempio Google Maps).
La biografia di Mercatore. Il nome Gerardo Mercatore è in realtà l'italianizzazione (passando dal latino Gerardus Mercator) di Gerhard Kremer, nato a Rupelmonde, in Belgio, il 5 marzo 1512.
Come altri grandi scienziati del passato (vedi: Alessandro Volta) ha avuto una formazione umanistica, salvo poi appassionarsi alle scienze matematiche attraverso gli studi condotti presso la Vecchia Università di Lovano. Nella sua vita si è dedicato principalmente alla geografia e allo sviluppo di mappe che raffigurassero al meglio la superficie terrestre. A partire dal 1563 fino alla morte, avvenuta all'età di 82 anni, è stato cartografo di corte a Duisburg, dove si era rifugiato per sfuggire all'Inquisizione (era infatti protestante).
La sua maggiore opera si intitola Atlas sive Cosmographicae Meditationes de Fabrica Mundi et Fabricati Figura, una raccolta di mappe, che ha contribuito alla nascita del moderno Atlante.
Proiezione di Mercatore. Gerardo Mercatore è noto soprattutto per la sua proiezione cartografica conforme e cilindrica (la proiezione di Mercatore) proposta nel 1569, che permette di rappresentare la superficie terrestre, che è curva, senza distorsione di scale e distanze.
Uno dei maggiori problemi che i geografi hanno dovuto affrontare, fin dai tempi di Tolomeo, infatti, è la rappresentazione su un piano della superficie terrestre. A questo scopo, sono stati proposti, nel corso dei secoli, decine di “sistemi proiettivi”.
Un sistema proiettivo (o proiezione geografica) consente di trasferire su carta (e quindi su un piano) i meridiani e i paralleli della sfera, assicurando una corrispondenza tra i punti della superficie del pianeta e i punti del piano. In tutte le proiezioni, data l’impossibilità di mantenere immutati angoli, aree e distanze, il reticolato subisce alterazioni e, di conseguenza, anche gli elementi della superficie terrestre risultano deformati. Gli errori, trascurabili nel caso di territori poco estesi, diventano più evidenti nei planisferi, ovvero nelle carte che raffigurano il mondo.
Nella proiezione di Mercatore, per esempio, tuttora diffusa su atlanti e libri, gli spazi appaiono sempre più dilatati all’aumentare della latitudine: e così la Groenlandia, che ha una superficie di 2,1 milioni di km2, sembra sulla carta più grande dell’Africa (30 milioni di km2) e l’Europa (10 milioni di km2) corrisponde, su per giù, al Sud America, che però ha quasi 18 milioni di km2.
La carta di Mercatore, inoltre, ha posto l’Europa al centro del mondo e, secondo alcuni, ha contribuito a compromettere i rapporti fra Nord e Sud.

Questo tipo di rappresentazione ha reso le mappe di Mercatore particolarmente adatte alla navigazione marina; non a caso la sua mappa del mondo si chiama Nova et Aucta Orbis Terrae Descriptio ad Usum Navigatium Emendate, ovvero "nuova ed aumentata descrizione della Terra corretta per l'uso di navigazione".
Precursore di Google. Mercatore, che nella sua vita costruì mappamondi e astrolabi, tentò di sistematizzare la cartografia esistente all'eopca e realizzò anche una mappa della Palestina, una delle Fiandre, una dell'Europa e una del nuovo mondo (che poi è andata perduta).
Il servizio di Google Maps utilizza attualmente una proiezione di Mercatore per le sue immagini. Il sistema elaborato dal cartografo fiammingo è ottimo per disegnare una mappa del mondo interattiva, che può essere spostata e scalata senza cuciture di giunzione su mappe locali; la distorsione è impercettibile per piccole variazioni di latitudine.
La scienza e la storia della cartografia. Le mappe sono una invenzione più antica della scrittura e della matematica, sostiene Anne Godlewska, docente di geografia alla Queen’s University (Canada), anche se più recente della musica. Saper rappresentare il territorio con un disegno, infatti, è un’abilità fondamentale per la sopravvivenza.
Già i graffiti di 30 mila anni fa mostravano una buona comprensione dello spazio: erano ormai acquisiti i concetti di “fuori” e “dentro”,“alto” e “basso”. Ma il ruolo delle mappe crebbe con lo sviluppo della civiltà. Gli Egizi, per esempio, tenevano traccia dei confini dei campi (indicando anche canali, mura, palazzi, strade), per essere in grado di ripristinarli quando il Nilo straripava.
Gli Inuit della Groenlandia incidevano su pezzi di legno la linea di costa per ritrovare le zone dove caccia e pesca erano più vantaggiose; in India e in Cina si registravano gli spostamenti dei prodotti alimentari; gli indigeni del Pacifico costruivano mappe con intrecci di foglie di palma per ricordare la direzione delle correnti e le rotte fra le isole, che erano rappresentate con conchiglie.
Una delle più antiche carte geografiche giunte fino a noi e databili con certezza (2400-2200 a. C.) è una tavoletta di argilla che ritrae la Mesopotamia con i monti che la limitano a nord, l’Eufrate e alcune località che la circondano.
Con i Greci arrivarono le prime mappe del mondo. Città come Mileto, a quel tempo, erano fiorenti empori e porti commerciali e in esse confluivano notizie dai posti più distanti.
Fu in base a quelle testimonianze che filosofi e scienziati provarono a definire i confini del mondo, ma i risultati furono scadenti: l’oceano era un anello d’acqua, in mezzo c’erano l’Asia e i Paesi mediterranei, a loro volta tagliati in due dal mare.


Un passo avanti fu compiuto con la carta del mondo di Eratostene (276-196 a.C.), andata perduta come tutte le carte dell’antica Grecia, ma riprodotta grazie alla descrizione dello storico Strabone (63 a.C.-20 d.C.): il documento, in un periodo di grandi viaggi e imprese militari, ebbe il merito di rappresentare un’area molto più ampia delle precedenti, arrivando all’Etiopia, al Mare del Nord e al fiume Gange.
Eratostene misurò anche la circonferenza della Terra, avvicinandosi non poco al dato reale. Introdusse delle linee di riferimento: le principali, fra loro perpendicolari, passavano per Rodi, le altre erano parallele a queste ed erano tracciate a distanze non uguali. Ma le deformazioni erano notevoli e il metodo era poco o per nulla scientifico.


La rivoluzione di tolomeo. Fu Claudio Tolomeo, nel II secolo, a consentire il grande salto alla cartografia. Vissuto ad Alessandria d’Egitto, astronomo, Tolomeo gettò le basi della geografia moderna. «Quel che è certo è che Tolomeo creò un alfabeto cartografico valido per tutte le civiltà future» spiega Luciano Lago, fra i maggiori storici italiani di cartografia. «La sua cartografia si contrapponeva a una geografia descrittiva, dagli intenti dichiaratamente pratici, rappresentata soprattutto da Strabone, che era a digiuno di scienze matematiche».
Per rappresentare il globo terrestre, Tolomeo costruì un reticolato geografico e lo proiettò sulla superficie di un cono, successivamente “srotolato” su un piano, affrontando per la prima volta il problema della sfericità della superficie della Terra. Elaborò poi un atlante in cui, incrociando meridiani e paralleli, fissò la posizione di circa 8 mila località.
Ma per determinare le vere coordinate geografiche, mancavano ancora i mezzi adeguati: se infatti la latitudine si poteva ottenere dall’osservazione dell’ombra solare, la longitudine era un’incognita. Per ricavarla, occorreva verificare la differenza di orario fra due località, ma l’impresa, per i Greci, era impossibile. Tolomeo, basandosi sui resoconti di commercianti e soldati, tracciò un Mediterraneo molto allungato e sovradimensionò Europa e Asia. Questo suo errore, molti secoli più tardi, fece sottostimare a Cristoforo Colombo la lunghezza del suo viaggio “verso le Indie”.
LONTANO, A EST, C’ERA L’EDEN La cartografia non fece ulteriori progressi fino al XIV secolo.
I Romani si limitarono a compilare, con poca attenzione per le proporzioni, mappe stradali, militari e catastali. La Tabula peutingeriana, che ne è la testimonianza più nota, era una guida per mili-tari e viandanti: 6,8 metri di pergamena, 100 mila chilometri di itinerari, disegni sulla morfologia del territorio, centinaia di raffigurazioni, 3 mila indicazioni di luoghi.


L’ESPLOSIONE DEL ’500. Nel 1400 fu riscoperta l’opera di Tolomeo e l’invenzione della stampa contribuì alla sua diffusione. Dopo lo sbarco in America, Spagna e Portogallo (ma non solo) realizzarono nuove carte del mondo. Con lo sviluppo dei commerci, le mappe divennero indispensabili. Comparvero decine di atlanti e, soprattutto, molte carte regionali e nazionali. Il fascino del viaggio e delle nuove terre trasformò le carte in oggetti decorativi, da appendere in casa. Dalla seconda metà del ’500 quasi tutti gli Stati italiani si dotarono di una cartografia ufficiale, per esigenze militari o per la sistemazione dei confini. Vennero ideati nuovi tipi di proiezioni (la più celebre è quella del fiammingo Gerardo Mercatore) e le mappe cominciarono ad assomigliare a quelle attuali.
MARINAI ASTRONOMI. L’ultimo nodo da sciogliere era quello della longitudine e non era un nodo da poco. Senza longitudine, infatti, era impossibile specificare la posizione delle navi: molte si perdevano e nel 1707, al largo delle isole Scilly, morirono in un solo naufragio più di 2 mila uomini. Il costo era insostenibile. Già nel 1567 Filippo II, re di Spagna, aveva promesso un premio di 6 mila ducati e una rendita vitalizia a chiunque fosse riuscito a risolvere la questione e lo stesso aveva fatto l’Olanda nel 1636. Nella seconda metà del ’600, l’astronomo italiano Gian Domenico Cassini, prendendo spunto dagli studi di Galileo Galilei, riuscì a determinare la posizione di centinaia di città osservando le eclissi delle lune di Giove... peccato che, dal ponte di una nave, fosse impossibile fare osservazioni astronomiche accurate. Nel 1714 il Parlamento inglese emanò il “Longitude Act”, che prevedeva una cospicua ricompensa per chi avesse saputo risolvere il problema.
Nell’impresa si cimentò John Harrison, un carpentiere autodidatta, che costruì un orologio di 40 kg, capace di funzionare nelle condizioni più estreme. In effetti, confrontando la differenza tra l’ora del porto di partenza (mantenuta dall’orologio) e l’ora locale (calcolata guardando il sole) si sarebbe potuta calcolare la longitudine con la massima precisione.
UN PREMIO DI 10 MILA STERLINE. Harrison costruì e sperimentò vari orologi, sempre più perfezionati: l’ultimo, battezzato H4, fu imbarcato nel 1759 sul Deptford, destinazione Giamaica.
.. e Harrison, ormai ottantenne, ricevette un premio di 10 mila sterline (circa 5 milioni di euro attuali). Orologi così perfetti, però, costavano troppo e per decenni i marinai continuarono ad affidarsi alle lune di Giove. Ma la strada era aperta.
Mancava solo l’identificazione di un meridiano zero, da cui calcolare la distanza angolare. Si parlò di Parigi, Cadice, Napoli, Stoccolma. Poi, nel 1884, l’International meridian conference di Washington stabilì che il meridiano di riferimento fosse quello passante per Greenwich, vicino a Londra. Dai tempi di Tolomeo erano passati più di 1.500 anni.