Già 10 mila anni fa, i nostri antenati europei sapevano ricavare catrame dalla corteccia di betulla, e usare la pasta viscosa ottenuta per fissare le punte delle lance alla rispettiva asta, o saldare le lame a bastoni per farne delle asce. Per ragioni che ancora non conosciamo, pezzetti di catrame venivano anche masticati, quasi fossero chewing gum. I frammenti che sono arrivati fino a noi conservano ancora le impronte dentali dell'Età della Pietra, e all'interno di esse il DNA di chi le lasciò: inutile dire che sono, per gli archeologi, reperti di inestimabile valore.
Due articoli scientifici sottomessi in pre-pubblicazione questo mese, e raccontati in un pezzo su The Atlantic, descrivono il catrame mangiucchiato rinvenuto in due diversi siti archeologici della Scandinavia. Anche se non sono ancora state analizzate in peer-review, le ricerche stanno già entusiasmando per tutte le informazioni che permettono di ottenere.
fatica comune. Il primo lavoro descrive il DNA di tre pezzetti di catrame masticato ritrovati a Huseby Klev, nella Svezia occidentale. Per estrarre e analizzare il materiale genetico, il team dell'Università di Oslo guidato da Natalija Kashuba è ricorso a un procedimento usato per ricavare il DNA da feci preistoriche (un altro ghiotto reperto), con risultati incoraggianti. Si è visto che ogni frammento di catrame era stato masticato da una persona soltanto, in totale due femmine e un maschio.
Poiché nel sito archeologico sono stati trovati materiali di scarto per produrre lame di pietra, si pensa che la masticazione del catrame costituisse un passo intermedio nel processo artigianale. Se fosse vero, vorrebbe dire che anche le donne contribuivano a questa attività, un dato che ci trasporta direttamente nella vita quotidiana del tempo. Il DNA di queste tre persone, che non ha subito contaminazioni, è molto simile a quello di altri cacciatori-raccoglitori europei dello stesso periodo.