Eja, eja, alalà. Così si esultava e si brindava, ci si incoraggiava e talvolta ci si salutava. Ma quel curioso grido di giubilo, la cui invenzione si attribuisce a Gabriele D'Annunzio (durante il bombardamento di Pola, 8 agosto 1917), era in realtà la combinazione di due esclamazioni antiche. "Eja" era legata al mondo romano e fu tramandata dai crociati. "Alalà" era il grido di guerra dei Greci: Achille lo usava per aizzare i cavalli.
Poetico. Di "eja" si trovano tracce in racconti e poesie, da Boccaccio a Pascoli. E sempre Pascoli fu il primo a recuperare, nei Poemi conviviali, il grido "alalà".
L'esclamazione, che doveva sostituire il barbarico "hip, hip, urrah!", venne fatta propria dagli aviatori e poi dai fascisti, che la gridavano nelle adunate e la inserirono nei loro canti, primo fra tutti il rifacimento di Giovinezza: "Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza, della vita nell'asprezza il tuo canto squilla e va. E per Benito Mussolini: eja, eja, alalà!".