Nei libri di scuola abbiamo studiato che quando Cristoforo Colombo, nel 1492, salpò per le Americhe portò con sé anche un "carico fantasma": i virus che stroncarono le popolazioni indigene. Secondo quanto riportato finora dagli storici, nel momento in cui i colonizzatori europei sbarcarono sull'inesplorato suolo americano "importarono" malattie per le quali le popolazioni native non avevano anticorpi: secondo la storiografia, infatti, a decimare gli indios non sarebbe stato solo il vaiolo, ma anche l'influenza, la scarlattina, il morbillo, la difterite, la parotite, la salmonella e il tifo (anche se ne esisteva già una variante americana precolombiana).
In realtà, un nuovo studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, basato su modelli matematici, ha rivelato che molti agenti patogeni hanno impiegato decenni o addirittura secoli per diffondersi attraverso gli oceani.
Calcolo delle probabilità. Jamie Lloyd-Smith, ricercatore del Dipartimento di Malattie infettive dell'Università della California, si è chiesto quante probabilità avevano questi agenti patogeni di giungere a destinazione, compiendo un lungo viaggio transoceanico, con solo 30 persone a bordo, considerando che un virus per diffondersi ha bisogno di una catena ininterrotta di infezioni dall'origine del viaggio fino all'arrivo.
Incrociare i dati. La risposta è arrivata, con l'aiuto della storica Elizabeth Blackmore, grazie a un modello matematico in grado di stimare la diffusione delle principali malattie virali. Per formularlo i ricercatori hanno tenuto conto di vari fattori come la durata del viaggio, le dimensioni della nave, la capacità di trasmissione del virus (quelli veloci tendono a esaurirsi durante il viaggio, mentre quelli intermedi sbarcano causando epidemie), il periodo di incubazione, il tempo in cui le persone restano infette e naturalmente i diversi tipi di agenti patogeni.
In questo modo sono riusciti a fare delle previsioni sulla durata delle epidemie di morbillo, influenza e vaiolo in vari scenari e poi hanno confrontato i risultati ottenuti con i dati relativi ai viaggi storicamente significativi svolti tra il 1492 e il 1918.
I virus più pericolosi. Grazie a questi dati incrociati, i ricercatori hanno scoperto che il vaiolo ha più probabilità di sopravvivere a bordo di una nave rispetto al morbillo, mentre l'influenza ha meno probabilità di sopravvivere a un lungo viaggio.
Diamo i numeri. Per esempio, secondo questi calcoli, il viaggio di Colombo del 1492 a bordo della Santa Maria, durato 35 giorni e con 41 persone a bordo, avrebbe avuto il 24% di probabilità di portare dall'altra parte dell'Oceano il morbillo se fosse partito con un solo caso a bordo.
Lo stesso vale per il vaiolo. Invece l'influenza, un virus che corre molto più veloce, avrebbe avuto probabilità molto più basse di sbarcare tra gli Indios. Naturalmente, con l'aumentare del numero di navi in viaggio, i virus avrebbero avuto probabilità sempre più alte di diffondersi.
Più veloce viaggi, più virus diffondi. I ricercatori hanno utilizzato il loro modello per analizzare anche una serie di dati relativi alle navi arrivate nel porto di San Francisco tra il 1850 e il 1852, durante l'apice della corsa all'oro in California, per stimare quante probabilità ci fossero che questi viaggi avessero introdotto morbillo, vaiolo o influenza in questi territori.
Per esempio, se una persona con il virus dell'influenza fosse salita a bordo della nave a vapore Columbus, che impiegava 18 giorni per trasportare 420 passeggeri da Panama a San Francisco, c'era solo lo 0,1% di possibilità che il virus arrivasse a destinazione.
Invece il rischio saliva a quota 66% se una persona infetta si fosse imbarcata sulla Columbia per un viaggio di soli 3 giorni, con 74 passeggeri a bordo, dall'Oregon a San Francisco. I battelli a vapore, quindi, che hanno ridotto drasticamente i tempi di viaggio, incrementando il numero di passeggeri, hanno reso molto più probabile la diffusione dei virus sulle lunghe distanze.
Teoria controversa. I presupposti su cui si basa questo modello matematico, però, sono stati messi in discussione da altri ricercatori. Per esempio l'epidemiologa danese Lone Simonsen sottolinea che gli autori dello studio non disponevano di dati validi su un fattore molto importante: l'immunità.
Nel XV secolo, quasi ogni adulto in Europa era esposto sia al morbillo sia al vaiolo, e quelli che non morivano sviluppavano un'immunità a vita contro queste malattie. «Nei loro calcoli», spiega Simonsen, «i ricercatori hanno semplicemente ipotizzato che il 5% dei passeggeri fosse soggetto a contrarre i virus, ma in realtà è probabile che ci fossero grandi differenze, a seconda del luogo e dell'epoca».