Storia

Quale origine hanno le maschere di Carnevale?

Le maschere di Carnevale hanno una storia antica: l'idea di celare il volto dietro un volto finto ha radici che affondano nei millenni. A cominciare dalla preistoria.

Carnevale? Tutti in maschera per travestirsi, nascondersi, divertirsi e fare scherzi. Ma qual è l'origine della maschera? Che significato e importanza ha avuto nella storia dell'uomo?

In pelle, legno, metallo, osso, stoffa, pietra e terracotta: l'uomo, fin dalla preistoria, ha nascosto il volto dietro le maschere. Rituali e di culto, funerarie, teatrali o carnevalesche. «Da un punto di vista antropologico, la maschera è un simbolo importante, presente nella maggior parte delle culture e trasversale a tutte le epoche. Simbolo del viso, la parte principale della testa in cui si concentrava il potere, veniva e viene usata con scopi diversi, ma in generale potremmo definirla un mezzo per rappresentare qualcosa nascondendo qualcos'altro», ci spiega l'antropologo Massimo Centini.

Maschere rituali. Tra i primi a indossarne una, il più famoso è senz'altro lo sciamano dipinto 17-12mila anni fa da mani paleolitiche su una parete della suggestiva grotta-santuario di Trois Frères (Francia). A lungo gli studiosi hanno ipotizzato che la sua maschera di cervo avesse una funzione simbolica nei riti legati alla caccia, ma oggi la tesi è messa in discussione. «Il mio parere è che si possa trattare di un pratico travestimento per avvicinarsi alle prede», suggerisce Centini. «Una cosa comunque è certa: oggi come allora, mettere la maschera era una operazione rituale, compiuta da persone che ricoprivano un ruolo particolare nella comunità, per creare una connessione tra il mondo visibile degli uomini e quello invisibile degli spiriti o degli dèi».

Il collegamento con l'ultraterreno era talmente forte che le maschere e la morte andavano spesso a braccetto. A volte opponendosi agli effetti deleteri della grande mietitrice, come le maschere micenee ed egizie: due fra tutte, quelle, famosissime, "di Agamennone" (1550 a.C. circa) e del faraone Tutankhamon (1323 a.C.). Entrambe in oro, caratterizzate da tratti realistici, rappresentavano il "viso eterno" degli illustri trapassati. «Era un modo di fermare il processo di decadimento del corpo», nota l'antropologo. «Ma in diverse culture era anche un mezzo per conservare le fattezze del defunto. Come le nostre foto sulle tombe».

maschera di Agamennone

La maschera funeraria in lamina d'oro trovata a Micene dall'archeologo Heinrich Schliemann. Si pensava fosse di Agamennone, ma risale a secoli prima della Guerra di Troia, intorno al 1550 a.C.

© Shutterstock

Album di famiglia. Nell'antica Roma, patria del culto dell'individualità, il desiderio di conservare la fisionomia dei propri cari si trasformò nello ius imaginum, un privilegio concesso ai nobili, descritto anche da Polibio (II secolo a.C.): "Dopo la laudatio funebris, il morto si seppellisce con gli usuali riti funebri e la sua immagine, chiusa in un reliquiario di legno, viene portata nel luogo più visibile della casa", scrive lo storico greco.

L'immagine in questione era una maschera di cera, ricavata direttamente dal calco del volto del defunto. Proprio come fanno i nostri nonni con le vecchie fotografie, le maschere dei cari estinti venivano tirate fuori da quella specie di grande album di famiglia 3D solo nelle occasioni speciali, per essere indossate da persone di corporatura simile ai vecchi proprietari, che sfilavano durante i pubblici sacrifici o i funerali di prestigiosi parenti. "A chi mai non sarebbe di incitamento la vista delle immagini, per così dire vive e ispiranti, di uomini famosi per i loro meriti?", si chiedeva Polibio, ammirato. Ma molte maschere non dovevano neppure essere indossate per riportare in vita gli spiriti.

Etruschi, Greci e Romani erano soliti adornare le porte di palazzi e città con i volti di terrificanti guardiani soprannaturali: questi mascheroni avevano funzione apotropaica (dal greco apotrépein, "allontanare"), servivano cioè a spaventare e tener lontani gli spiriti maligni. Durante le cerimonie rituali, invece, una maschera appesa a un palo bastava a garantire la presenza della divinità. Gli storici ipotizzano fosse questa la funzione degli inquietanti ovali in pietra calcarea, simili alla celebre "maschera da hockey" di Jason del cult horror Venerdì 13, realizzati dagli uomini neolitici circa 7mila anni fa. E di certo funzionavano così le maschere di Dioniso che i Greci collocavano tra le fronde durante gli sfrenati riti notturni in onore del dio dell'ebbrezza, che, attraverso coppe-maschere colme di vino, si impossessava dei suoi fedeli bevitori, trasformandoli in satiri e menadi.

Sacerdoti e attori. Dalle processioni sacre al palcoscenico, il passo fu breve. Anche perché per gli antichi Greci le prime rappresentazioni teatrali, che ad Atene si svolgevano durante le feste per Dioniso, avevano valore religioso. Non sappiamo se fu davvero per questo che, verso la fine del VI secolo a.C., il mitico capostipite della grande famiglia dei tragediografi greci, Tespi, le fece indossare sulla scena ai suoi attori. Innegabili, però, sono le ragioni tecniche di quella scelta. La maschera permetteva a un solo uomo di ricoprire più ruoli e sopperiva al divieto per le donne di salire sul palco.

Inoltre l'apertura della bocca era fatta a forma di imbuto e amplificava la voce dell'attore come un megafono, mentre i suoi tratti potevano essere scorti anche dagli spettatori più lontani che, dalla forma del naso, dal colore dei capelli o dall'inclinazione di labbra e sopracciglia, riuscivano a identificare subito il personaggio e le sue emozioni.

Ma c'è di più: come per gli ebbri seguaci di Dioniso, anche a teatro la maschera permetteva agli umili attori di cambiare "status" e di esprimersi in modo altrimenti ritenuto improprio.

Maschera africana
Una tradizionale maschera rituale e cerimoniale africana. © Shutterstock

Vi ricorda qualcosa? Esatto: il carnevale. «Il carnevale, che ha nella maschera un elemento di riferimento fondamentale, è il momento in cui si ribaltano le regole e si può stravolgere la realtà, in un'inversione dei ruoli sociali che deriva dalla tradizione romana dei Saturnali. In queste antiche celebrazioni religiose, come nelle dionisiache greche, le divisioni e gli obblighi di classe scomparivano, lasciando il posto ai festeggiamenti», prosegue Centini.

Accadeva lo stesso nella scatenata Festa dei Folli, la rivisitazione medievale dei Saturnali, che prese piede soprattutto in Francia tra il XII e il XVII secolo: tre giorni di pazze e liberatorie celebrazioni, tra sacerdoti e chierici travestiti da donna e poveri ed emarginati nei panni di vescovi e papi. Un espediente che permetteva al popolo, camuffato e nascosto dietro a una maschera, di sfogarsi qualche giorno all'anno, per poi tornare docile alla normalità. «La maschera, bollata dalla Chiesa come un diabolico strumento di inganno, visse nel Medioevo un fenomeno di desacralizzazione: in un processo che potremmo definire di laicizzazione, venne trasportata in un contesto folkloristico», conclude l'esperto.

La commedia dell'arte. Le corti e le strade diventarono il regno delle burle e delle mascherate dei giullari, come i mattaccini veneziani, che si divertivano a lanciare gusci d'uovo pieni d'acqua alle dame di passaggio. Erano le manifestazioni collaterali del carnevale, riconosciuto ufficialmente dalla Serenissima alla fine del Duecento, ma già noto, in anticipo su tutti, in un documento del 1094, come l'insieme dei divertimenti che l'oligarchia veneziana concedeva al popolo. Tra le calli, la maschera diventò un amatissimo accessorio, impiegato da tutti, ogni giorno, nelle più disparate occasioni (non ultima, la frequentazione dei ridotti, dove i nobili passavano le nottate a giocare d'azzardo in incognito).

Nel 1608, quando per motivi di ordine pubblico Venezia ne punì l'uso al di fuori del carnevale, le maschere avevano già conquistato anche il resto d'Italia, grazie alla diffusione della Commedia dell'Arte. Protagoniste di questo tipo di teatro popolare, si trasformarono in "tipi fissi": personaggi dai dialetti e dai caratteri regionali diversi, che improvvisavano scene comiche sulla falsariga dei giullari medievali. Il vecchio e avaro veneziano Pantalone, la sua graziosa e bugiarda concittadina Colombina, i furbi servitori bergamaschi Brighella e Arlecchino e il loro corrispettivo partenopeo Pulcinella conquistarono il popolo.

Al punto che, più tardi, quando volenti o nolenti dovettero abbandonare il palco, ebbero un posto d'onore nelle piazze carnevalesche. Dove, oggi come allora, celano e mostrano insieme il vero e il falso del nostro volto.

16 febbraio 2023 Maria Leonarda Leone
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