Stava scendendo la nebbia, quella sera su Monaco. Così, il führer decise di tenere il suo discorso con una mezz’ora di anticipo. Un’ora dopo, l’ordigno esplose come programmato. Morirono otto persone, ma Hitler era ormai sulla via del ritorno verso Berlino.
Fu soltanto uno dei numerosi tentativi di destituire il dittatore nazista (era l’8 novembre 1939) con un metodo “radicale” (cioè eliminandolo). Ma, come gli altri, ebbe soltanto l’effetto di accrescere in Hitler la fiducia in se stesso e nella propria onnipotenza.
Tramare nell’ombra. A tentare l’omicidio del potente di turno, per tutto il corso della storia, spesso però non furono oppositori politici veri e propri, ma congiurati. Ovvero personaggi molto vicini al re, all’imperatore o al dittatore, pronti a prenderne il posto tramando nell’ombra. «Non c’è da stupirsi» fa notare Gilles Lecuppre, docente di Storia medioevale all’Università di Parigi Ouest.
«Il complotto e la tirannia sono sempre andati a braccetto. Il motivo è semplice: in quasi tutte le epoche storiche il sovrano regnava esclusivamente per se stesso, il più delle volte direi per il proprio capriccio. Inevitabile quindi che scontentasse qualcuno. Per esempio, gli stessi nobili del proprio entourage, quando non addirittura i propri familiari, che gli contendevano la linea dinastica».
E lo stesso discorso vale per molte dittature del Novecento: contro Hitler per esempio tramarono i suoi stessi alti ufficiali (Wilhelm Canaris e Hans Oster prima e Claus von Stauffenberg poi, che nel ’44 cercò anch’egli di farlo saltare in aria). Vicende che si sono ripetute quasi identiche dall’altra parte del globo: nel 1971, Mao fece eliminare proprio il suo amico e successore designato, Lin Biao, che stava organizzando una congiura contro di lui.
Fallimento positivo. «Gran parte dei complotti, in tutte le epoche storiche, del resto sono falliti. Molti regnanti hanno collezionato veri e propri record: Enrico IV di Lancaster (re d’Inghilterra dal 1399 al 1413) subì 9 congiure nei primi 5 anni di regno» aggiunge Lecuppre. Secoli dopo, lo zar Paolo I era così ossessionato dalla possibilità di essere ucciso a causa di una cospirazione da far costruire (e poi abitare) nel 1797 il Castello di San Michele a San Pietroburgo, un palazzo fortificato e pieno di passaggi segreti che gli permettessero di uscire dalle sue stanze in caso di attacco notturno.
In ogni caso, le congiure (soprattutto quelle pre-ottocentesche) erano più frequenti all’inizio del regno, quando il potere del despota non era ancora “stabile”.
Appesi in piazza. Per molto tempo, del resto, tentare di scalzare il potente con la soppressione fisica del despota era “normale”, talmente usuale che fino all’epoca illuminista non esisteva nemmeno il concetto di “complotto” con il significato negativo che diamo oggi a questa parola.
«Ma la cosa più interessante è che il più delle volte le congiure fallite si trasformavano in un vantaggio. Per due ragioni: aumentavano il prestigio di colui che era scampato e soprattutto gli offrivano la possibilità di inasprire ulteriormente le leggi o sopprimere libertà e privilegi» sottolinea Giovanni Borgognone, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Torino.
Un solo esempio: la congiura della famiglia Pazzi che nel 1478 tentò di eliminare Giuliano e Lorenzo de’ Medici (riuscendo a uccidere solo Giuliano) innescò una ritorsione atroce contro i membri del complotto, che furono impiccati ed esposti per essere da monito a chiunque volesse riprovarci. Non solo: l’intera famiglia dei ricchi banchieri Pazzi fu cancellata (anche ai parenti lontani fu tolto perfino l’uso del nome, oltre al patrimonio).
In generale, i complotti falliti potevano essere talmente vantaggiosi per i potenti che, in qualche caso, il tiranno arrivò a inventarli proprio per eliminare avversari scomodi o giustificare meglio azioni sanguinarie.
Come ti invento la congiura. L'esempio più eclatante risale alla dittatura comunista in Unione Sovietica. Il 13 gennaio 1953 la Pravda pubblicò la notizia che 9 medici ebrei, tra i quali il medico privato di Stalin, avevano deciso di uccidere i principali membri del governo. Tutto falso. L’accusa era stata inventata ad arte da Stalin per uno scopo preciso: creare un clima di terrore per potersi liberare di alcuni oppositori politici e in particolare di Lavrentij Pavlovic Berija, capo della polizia segreta (che non era riuscito a scoprire il complotto); dando contemporaneamente la colpa agli ebrei, e inasprendo così le persecuzioni alle quali erano già sottoposti da qualche anno.
Fece lo stesso Riccardo di Gloucester nel 1483: dopo aver preso sotto tutela i giovani eredi al trono, accusò il ciambellano del re appena morto (Edoardo IV d’Inghilterra) di cospirazione e lo fece giustiziare. Si liberò quindi dei nipoti e si proclamò re come Riccardo III.
Sangue per far propaganda. «L’aspetto più sorprendente è l’efficacia in termini di “propaganda” che aveva una congiura fallita. Aspetto sfruttato in ogni tempo e con abilità dal tiranno di turno. Hitler, per esempio, fece realizzare filmati da trasmettere nei cinegiornali che facevano la cronaca dei processi contro chi aveva tramato per eliminarlo.
In questi filmati si vedevano i colpevoli a testa bassa, mentre una voce fuori campo faceva notare agli spettatori il “pericolo” corso dalla Patria» aggiunge ancora Borgognone. «Il meccanismo del resto è ancora oggi lo stesso: i dittatori che affrontano gli oppositori interni, in genere accusano questi ultimi di essere “terroristi” e quindi nemici del Paese per non legittimarli come interlocutori. Basta pensare a che cosa sta accadendo in Siria...».
Punizione esemplare. Era, allo stesso modo, propaganda anche la raccapricciante punizione dei colpevoli, frequente in tutte le epoche: Alessandro Magno fece lapidare pubblicamente i suoi assistenti che avevano l’intenzione di ucciderlo nel sonno (la cosiddetta “congiura dei paggi” del 328 a. C.); Federico II di Svevia fece esporre i corpi mutilati dalle torture di Teobaldo di Francesco e Guglielmo di Sanseverino, due nobili che erano stati suoi fedelissimi ma avevano tramato per eliminarlo (1246); Giuseppe I di Portogallo fece crocifiggere in piazza e colpire con una clava il duca d’Aveiro e alcuni membri della famiglia Tavora, promotori di una congiura di corte (1758).
Punizioni esemplari che finivano per rafforzare il potente di turno, seminando il terrore tra i possibili oppositori. Alessandro Magno, Federico II e Giuseppe I regnarono ancora anni dopo le congiure subite. E morirono nel loro letto per cause naturali.
Traditore dei traditori. Il terrore è anche la principale causa del fallimento di gran parte delle congiure. «Se si analizzano una ad una le cospirazioni fallite della storia, si scopre che il potente è riuscito a cavarsela per merito di una “gola profonda”, qualcuno che ha tradito i congiurati e svelato il complotto» fa notare Lecuppre. «A provocare questo tipo di tradimento, oltre alla paura delle ritorsioni in caso di fallimento della congiura, potevano esserci ragioni più complesse. Era frequente, per esempio, che i nobili delle famiglie sospettate di voler rovesciare il sovrano venissero tenuti sotto ricatto con espropri di terre o rapimenti di figli o altri parenti».
La “spiata” poteva quindi avere come ragione quella di vedere la propria famiglia finalmente lasciata in pace. O, più semplicemente, si poteva tradire per ottenere denaro, titoli o più terre. Sir Robert Clifford, per esempio, uno dei cospiratori contro Enrico VII d’Inghilterra (re dal 1485 al 1509), tradì tutti i suoi compagni (poi giustiziati), in cambio di 500 sterline, una somma notevole per l’epoca.
«Ci potevano essere poi ragioni per così dire ideologiche (il traditore dei congiurati era davvero convinto di rendere un servizio al suo Paese) oppure la spia era in realtà un infiltrato che aveva proprio il compito di riferire al tiranno» aggiunge ancora Giovanni Borgognone.
Diversità orientale. Ma non sempre (e soprattutto non ovunque) il potere assoluto aveva bisogno di ricorrere a spie né in generale di difendersi da possibili congiure. «Nella Cina pre-repubblicana, per le molte centinaia di anni di durata dell’impero, le congiure non erano affatto comuni» sottolinea Andreina Albanese, docente di Storia della Cina all’Università di Bologna. «Il potere era diviso in tre (civile, censorio e militare) e non era detenuto da una sola persona. Ecco perché l’imperatore non poteva dirsi un sovrano assoluto. Se proprio si voleva destituire un imperatore si organizzava una sollevazione popolare, e il capo della nuova fazione lo sostituiva. Ma l’eliminazione fisica da parte di nobili o addirittura di familiari, consueta in Occidente, in Cina di fatto non avveniva».
Diversa ancora la situazione nel Giappone imperiale, dove le lotte per la successione al potere erano molto frequenti «ma avvenivano allo scoperto, senza bisogno di congiurare» dice Silvana De Maio, ricercatore in Lingua e cultura del Giappone all’Università di Napoli “L’Orientale”.
«E quando due pretendenti della stessa famiglia entravano in conflitto, il più debole poteva semplicemente lasciare il campo all’altro per esempio suicidandosi, come fece Otomo, figlio dell’imperatore Tenji Tenno nel 672, a causa della contesa con lo zio Oama, poi divenuto imperatore con il nome di Tenmu Tenno (673-686)».
Invulnerabili. I sudditi orientali accettavano il potere imperiale, e i relativi soprusi, come un male inevitabile al quale era inutile ribellarsi, se non in casi estremi. Un concetto presente per molti secoli anche in Occidente, grazie al quale i sovrani sopravvissuti a una congiura erano considerati legittimati: se non erano stati uccisi voleva dire che il destino o il volere di Dio consentivano che regnassero. Tanto che i tiranni stessi si sentivano invulnerabili.
Proprio come Hitler, convinto che i suoi numerosi scampati pericoli fossero il segno che una qualche potenza superiore lo avesse scelto per dirigere il popolo tedesco alla conquista dell’Europa. Non del tutto a torto: l’unica mano capace di ucciderlo fu la sua (si suicidò il 30 aprile del 1945 nel suo bunker).