Nell’autunno del 1945 a Norimberga iniziava il primo dei due processi che portava alla sbarra 24 gerarchi nazisti. All’appello mancavano però almeno una cinquantina di “pezzi grossi” del Reich, da Eichmann, a Mengele, a Priebke: che fine avevano fatto? Chi li proteggeva? Sul loro conto e su queste vicende sono circolate dicerie e bufale.
Oggi è possibile ricostruire lo schema della rete di contatti che ha permesso loro di rifarsi una vita (in alcuni casi senza mai pagare per i crimini commessi): la cosiddetta rats line (la linea dei topi), come la chiamarono i servizi segreti americani.
Le bUFALE. La leggenda più famosa è quella che vuole che alcuni dirigenti nazisti (c’è chi dice lo stesso Hitler) nel 1945 siano scappati a bordo di improbabili sommergibili attraverso l’Atlantico. Oppure che abbiano approfittato, per scappare, di un Piano Odessa: un’operazione pianificata dai capi delle SS (le Schutzstaffel, squadre di protezione) poco prima della fine del regime, per agevolare la fuoriuscita dei gerarchi e dare vita a uno stato neonazista.
Se sembra certo che non ci fu nessuna pianificazione a tavolino, è innegabile che si creò una rete di fuga ramificata per aiutare i collaboratori del Reich. A renderla possibile, connivenze di uomini dello Stato e della Chiesa, legati ai gerarchi da affinità ideologiche.
funzionava così. Approfittando del fuggi fuggi generale, già nella primavera del 1945 - mentre Berlino capitolava e l’Italia veniva liberata - almeno 50 criminali di guerra e 300 quadri militari nazisti si unirono ai 12 milioni di profughi che dall’Europa Centrale e dalla Croazia scendevano verso l’Italia e la Spagna.
Molti passavano per il Brennero - valico di frontiera tra Italia e Austria - e soggiornavano nel nostro Paese, spesso ospitati in monasteri (vedi per esempio qui sotto, Il caso Eichmann). I criminali di guerra vissero così in un primo tempo da clandestini, protetti da uomini di chiesa compiacenti. Trascorsi i primi 3 o 4 anni, mentre iniziava la guerra fredda, presero contatti con persone di fiducia (ex amici influenti rimasti in Germania o uomini dei servizi segreti) che fornirono loro passaporti e nuove identità. In questo modo poterono espatriare, perlopiù in Sud America. Il flusso maggiore fu tra il 1948 e il 1949.
Il caso Eichmann. Accadde così che uno dei principali responsabili dell’olocausto, Adolf Eichmann, ideatore della “soluzione finale” contro gli Ebrei, in abiti da montagna e con in testa un cappello tirolese, sia riuscito a passare per il valico del Brennero senza essere riconosciuto.
Chiese aiuto al parroco di Vipiteno e, con il beneplacito del vicario generale della diocesi di Bressanone (un filotedesco che non aveva digerito l’annessione del Sudtirolo all’Italia) ricevette un nuovo nome.
Il suo rifugio fu poi un chiostro dei francescani nella provincia di Bolzano, finché a Merano ottenne documenti falsi e, a Genova, un “permesso di libero sbarco”. Trovò rifugio in Argentina: venne catturato solo nel 1960 dal Mossad (il servizio segreto israeliano) e condannato a morte per genocidio e crimini contro l'umanità. Fu lui che al processo dichiarò di "aver solo eseguito gli ordini".
Andò meglio a Josef Mengele, il sadico medico di Auschwitz che finì i suoi giorni in Sud America senza mai rendere conto delle atrocità compiute su donne e bambini. La sua fuga fu simile a quella di Eichmann: rimase nascosto alcuni anni in Baviera, poi ottenne, con modalità mai chiarite, documenti falsi a nome di "Helmut Gregor, nato nel comune di Termeno (Bolzano), di professione meccanico" e potè rifarsi una nuova vita oltre l’Atlantico.
Morì di infarto a 67 anni in Sud America, nel 1979. Nel 1992 la salma fu riesumata e il suo DNA confrontato con quello del fratello: risultò una probabilità pari al 99,69% che Helmut Gregor fosse Josef Mengele.
Anche Erich Priebke, capo delle SS, responsabile dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, riuscì a farla franca. Lui si dotò di documenti e identità nuove diventando "Otto Pape, lettone, direttore d’albergo, con doppia residenza a Roma e Bolzano". Trascorse quasi mezzo secolo a San Carlos de Bariloche (Argentina) con la moglie e tornò più volte in Italia prima di essere riconosciuto e arrestato nel 1994, a 81 anni. Condannato all'ergastolo in Italia, scontò la pena agli arresti domiciliari fino alla morte, avvenuta nel 2013 un paio di mesi dopo il suo centesimo compleanno.
Chi gestiva il traffico? Oggi sappiamo che a gestire il traffico dei criminali nazisti erano in molti: il più attivo era un prete croato, padre Krunoslav Dragonovich, dal 1945 impiegato all’Istituto croato del Collegio di San Girolamo degli Illirici, a Roma. Come lui, diversi altri uomini di fede. Tuttavia, al di là di singoli sacerdoti implicati, che non lavoravano per il Vaticano, ma per altre associazioni e comitati della Chiesa cattolica, non c’è prova di una strategia vaticana volta a salvare alti funzionari nazisti.
Ad aiutare i nazisti furono poi ex compagni di partito, che ben volentieri si prodigavano a favore di quelli che consideravano "fratelli". E anche uomini dei servizi segreti dell'Occidente, che si servivano degli ex nazisti, delle loro conoscenze e delle reti di contatti per contrastare l'emergente "pericolo rosso comunista".
Dove sono scappati? Il paese più ospitale verso i nazisti fu l’Argentina, governata allora da Juan Perón (ne accolse fino a 5mila). In buona compagnia con altri paesi sudamericani: il Brasile ne ospitò quasi 2mila. Il Cile poco più di 500, seguito da Uruguay e Paraguay. E chi non attraversava l’Atlantico andava in Sudafrica, in Medio Oriente e in Australia.
Molti uomini della Gestapo (Geheime Staatspolizei, polizia segreta di stato), esperti in tecniche di spionaggio e di tortura, vennero arruolati nei servizi segreti della Cia (Usa), del Kgb (Unione Sovietica), della Stasi (Germania Est) e di altri Paesi come spie "specializzate" da spendere nel nuovo grande conflitto mondiale, la Guerra fredda.