È la differenza fra il valore legale di una moneta (quello impresso, per intenderci) e i suoi costi di produzione. L'espressione risale ai secoli scorsi, quando i sovrani facevano coniare monete d'oro o argento cui attribuivano un valore nominale superiore a quello del metallo di cui erano fatte. Il signoraggio, dunque, indicava (e in parte indica tuttora) il guadagno dello Stato che emette la valuta. Gli Usa, ad esempio, per stampare una banconota da un dollaro spendono poco meno di 5 centesimi: questo significa che il governo, ogni volta che emette un biglietto verde, si appropria di 0,95 dollari, che può impiegare per acquistare beni e servizi. Ma il signoraggio può anche essere negativo, come nel caso delle vecchie monete da 1 lira, la cui coniatura costava quasi 50 volte tanto.
Quanto costa un euro? Si può immaginare, invece, che per produrre una moneta da un euro si spendano circa 15-20 centesimi: ma il dato, in Italia come in molti altri paesi, è riservato. In alcune nazioni europee, dove l'inflazione era particolarmente elevata, il signoraggio è stato in passato una porzione importante del gettito fiscale: in Grecia e Portogallo, ad esempio, negli anni '76-'85, ha rappresentato il 3,4 del Pil (prodotto interno lordo), in Italia il 2,6. Poi, con il calo dei tassi, dalla seconda metà degli anni '80, l'importanza del signoraggio è drasticamente diminuita. L'economista Maynard Keynes disse una volta: “Un governo può sopravvivere con il signoraggio quando non può sopravvivere con nessun altro mezzo”.