L'artiglieria austrotedesca iniziò a scatenarsi alle due e mezzo di notte del 24 ottobre. La pioggia di granate e gas durò 5 ore e fu solo l'inizio della battaglia che venne battezzata in seguito come la madre delle sconfitte, quella di Caporetto (Karfreit per gli austriaci e Kobarid per gli sloveni). Durante il lungo bombardamento, un battaglione tedesco riuscì a infiltrarsi in una piccola breccia aperta dal fuoco, piazzando esplosivi e tagliando le linee di comunicazione italiane.
Pure il meteo... Nebbia, pioggia e neve pensarono al resto, perché resero praticamente impossibili le segnalazioni luminose. Le fanterie nemiche si incunearono nel fondovalle, sfondarono l'area tra Plezzo e Tolmino e verso mezzogiorno erano arrivate nelle vicinanze di Caporetto.
La sconfitta. Fu la fine: da lì dilagarono in tutta la pianura isontina. E nelle due settimane successive, l'esercito patrio eseguì una celeberrima e colossale ritirata che in due settimane lo riportò fino alle sponde del Piave, 200 chilometri indietro.
Uniti si vince. Il capo di Stato Maggiore, il generale Luigi Cadorna, pagò amaramente la ritirata, che provocò anche centinaia di migliaia di profughi civili, 10mila caduti e consentì agli austrotedeschi di arrivare in territori italiani fino allora inviolati. Fu sostituito infatti dal generale Armando Diaz.
Ma non tutto il male venne per nuocere. Dopo la sonora sconfitta, il nostro fronte si ritrovò più compatto e solido, perché meno esteso. E nel 1918 gli italiani arginarono l'offensiva finale e annientarono i nemici fino ad allora apparsi invincibili.