A Napoleone Bonaparte non bastavano le conquiste militari. Nei Paesi occupati l'ambizioso condottiero sottrasse anche le più prestigiose opere d'arte. Il saccheggio iniziò dal 1794, quando partì per Parigi la prima spedizione di quadri dalle terre fiamminghe. Tra il 1796 e il 1798 fu l'Italia a finire nel mirino del Bonaparte: furono saccheggiati i musei e le chiese di Milano e Monza, le collezioni di Bologna, Parma, Ferrara, Verona e Mantova. Per non parlare del bottino che fece a Roma. Tutto andava poi inviato via fiume e via mare a Parigi, per la costituzione di un ambizioso Museo Universale nel Palazzo del Louvre.


La stella di Napoleone tramontò nel 1815 dopo la disfatta di Waterloo: ben presto al Louvre si presentò Antonio Canova, incaricato da papa Pio VII di recuperare i tesori italiani rubati. Il pontefice scelse lo scultore che dal 1802 era ispettore generale delle antichità e delle arti dello Stato della Chiesa, con il compito di tutela e valorizzazione del patrimonio artistico. Non solo: godeva di notorietà e stima a Roma, dove'era circondato da grandi artisti, come Giovanni Volpato (l'uomo che inventò i souvenir), e presso tutte le corti europee. Il maestro de Le Grazie, di Amore e Psiche stanti, di Ettore e Lica e di altri capolavori era l'astro artistico del suo tempo. Insomma l'uomo giusto per l'arduo compito.
CON LA FORZA. Canova si mise al lavoro con inflessibile lena per riportare a casa le opere sottratte al papato. Fece redigere una nota dettagliata di tutti gli oggetti prelevati dal Louvre, con la data del prelievo, e divise le spedizioni per Roma da quelle per lo Stato pontificio. Ma il tutto poté avvenire agevolmente grazie all'aiuto di un importante diplomatico inglese, William Richard Hamilton, sottosegretario del ministro degli Esteri britannico.
Appena arrivato a Parigi, Canova si era reso conto che, senza forze armate o alleati di peso, l'impresa non sarebbe neppure iniziata. Vivant Denon, direttore del Louvre dal 1802, si opponeva a ogni restituzione: per lui si sarebbe trattato di un furto alla Francia. Ma l'artista che aveva incantato aristocratici, sovrani e imperatori non si diede per vinto: attivò le sue vie diplomatiche e trovò negli inglesi il giusto appoggio.

"L'IMBALLATORE". Fu così efficiente nel suo lavoro di catalogazione e di imballaggio che il principe Talleyrand lo ribattezzò con sarcasmo da Monsieur L'Ambassadeur a Monsieur L'Emballeur, insomma da "ambasciatore" a "imballatore".
In effetti il compito dello scultore fu gravoso, anche per l'assenza di una lista precisa dei furti d'arte. L'Emballeur fu quindi costretto a recuperare le opere sulla base della sua prodigiosa memoria.
Alla fine, il 25 ottobre 1815 un convoglio di 41 carri, trainati da 200 cavalli, che trasportavano 249 opere lasciò Parigi per raggiungere le varie destinazioni in Italia. I carri furono accolti dalle popolazioni locali in festa ed esultò anche Giacomo Leopardi per le opere "ritornate alla patria". Tanto per fare tre esempi, grazie alle sue abilità diplomatiche e alla sua cocciutaggine tornarono a Roma l'Apollo del Belvedere, il gruppo del Laocoonte e la Trasfigurazione di Raffaello Sanzio, che ancora oggi si possono ammirare ai Musei Vaticani. Giustizia era fatta (anche se all'appello mancavano molte opere delle 506 razziate secondo gli archivi ufficiali), e il merito era di Antonio Canova.
A 200 anni dalla scomparsa di Antonio Canova, avvenuta a Venezia il 13 ottobre 1822, Focus Storia 185 (marzo 2022) dedica un approfondimento sulla sua vita, dalla dura infanzia al successo. A cura di Irene Merli.