Con la campagna di Grecia, Mussolini voleva emulare la guerra lampo di Hitler accrescendo il prestigio dell'Italia nei Balcani. Invece... Vediamo com'è andata attraverso l'articolo "Perché ci siamo andati" di Matteo Liberti, tratto dagli archivi di Focus Storia.
Spezzare le reni al nemico. "Dissi che avremmo spezzato le reni al Negus. Ora, con la stessa certezza assoluta, vi dico che spezzeremo le reni alla Grecia". È così che il 18 novembre 1940 il duce commentò la campagna militare in corso in terra ellenica, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto bissare l'impresa etiope del 1936 (contro il Negus, ovvero l'imperatore, Hailé Selassié) ma che vedeva invece da quasi un mese i soldati italiani in gravissime difficoltà.
Impantanati al punto che alla fine toccherà a Hitler risollevare in extremis le sorti di quella che il giornalista Indro Montanelli definì senza giri di parole "una smargiassata di Mussolini". Ma quando e perché il duce si era impelagato nei territori greci?
Pretesti. «La Grecia era retta all'epoca dal primo ministro Ioannis Metaxas, ex generale che, a partire dal 1936, aveva instaurato – appoggiato da re Giorgio II – un regime per alcuni aspetti affine a quello fascista», racconta Marco Clementi, ricercatore di Storia dell'Europa Orientale all'Università della Calabria. «Pur dichiarandosi un ammiratore del duce, Metaxas doveva però fare i conti con il contesto geopolitico della Grecia, coinvolta in aspre tensioni con i vicini albanesi, bulgari, iugoslavi e turchi: uno scenario che lo indusse a tenere i piedi in due staffe allacciando buoni rapporti anche con la Gran Bretagna, potenza che disponeva di numerosi avamposti nel Mediterraneo e che era in aperto contrasto con le posizioni di Mussolini».
Neutrale Grecia. I rapporti tra Grecia e Italia avevano preso una brutta piega già nel 1923, allorché il generale italiano Enrico Tellini, inviato a delimitare i confini tra Grecia e Albania, fu trucidato presso Giannina (la greca Ioannina). Le relazioni tra i due Paesi erano poi migliorate, ma quando nella primavera del 1939 l'Italia invase l'Albania per la seconda volta nella sua Storia, suscitò nuovi allarmismi nei dirimpettai greci. «Queste preoccupazioni crebbero con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, un conflitto in cui l'Italia, legata alla Germania dal Patto d'Acciaio, entrò il 10 giugno 1940 dichiarando guerra a Francia Gran Bretagna» prosegue Clementi. «Da parte sua, la Grecia si mantenne neutrale».
La scelta. La decisione di attaccare i greci venne presa dal duce sulla base di valutazioni di ordine politico prima ancora che strategico-militare.
Visti i successi che andavano collezionando i nazisti, a suo dire occorreva compiere un'azione parallela che bilanciasse il prestigio di Hitler; se possibile emulando la guerra lampo teorizzata proprio dai tedeschi. «Dal 1936, anno dell'impresa etiope, Mussolini si era rivolto sempre più verso l'estero, con l'idea di edificare un impero che ricalcasse i fasti di quello romano» riprende Clementi. «Quanto all'alleanza con Hitler, non era paritetica come credeva il duce, visto che il leader nazista pensava di fatto solo all'interesse tedesco».
Presupposti sbagliati. Ai progetti espansionistici e alla sopita rivalità con il Führer si sommava in Mussolini la convinzione che i greci (visti nella propaganda del regime come una "razza inferiore") e gli inglesi stessero tramando alle sue spalle: da qui scaturì la decisione di invadere la Grecia. Una mossa che avrebbe potuto, inoltre, minare l'egemonia inglese nel Mediterraneo, spina nel fianco per la marina italiana. Infine, rafforzato nella sua opinione dai rapporti del ministro degli Esteri Gian Galeazzo Ciano, il duce si persuase che l'operazione sarebbe stata favorita dalla corruzione dei politici locali, dallo scontento dei popoli di confine – che immaginava pronti a supportare l'invasore – e, più in generale, dalla debolezza militare ellenica. Non andò così...
I preparativi. Esclusa ogni possibilità di accordo diplomatico con Metaxas (per il quale allearsi con l'Italia avrebbe significato creare tensioni con gli inglesi e con i vicini balcanici), i comandi militari suggerirono che per dare battaglia occorrevano almeno 20 divisioni, da far penetrare in Grecia muovendo dall'Albania. Nello specifico, la strategia era quella di occupare la città di Salonicco e le isole ioniche per poi procedere all'invasione integrale del territorio greco. A tal fine, tra l'11 e il 12 agosto 1940, Ciano e Mussolini incontrarono a Roma Sebastiano Visconti Prasca, comandante delle truppe in Albania, intimandogli di preparare "al più presto" i soldati per l'attacco.
Perplessità dell'intelligence. «Nel frattempo, i servizi di intelligence del Sim (Servizio informazioni militare) avevano espresso molte riserve circa i propositi di Mussolini. Questi, però, non sentì ragioni, convinto che l'Italia dovesse giocare nei Balcani il ruolo geopolitico che era già stato dell'Austria-Ungheria, entità politica spazzata via dalla Grande guerra» dice Clementi. «Non bastasse, Mussolini fu miope nel non riconoscere la propria "subalternità" rispetto a Hitler, convincendosi anzi di poter far presto della Germania "una pedina del nostro gioco"».
Stando così le cose, mancava ormai solo una campagna propagandistica che preparasse gli italiani all'intervento e un casus belli che lo giustificasse.
Menzogne. A partire dall'11 agosto 1940, salì all'onore della cronaca il nome di Daut Hoggia, la cui storia finì su tutti i giornali. Da noi è uno sconosciuto, ma in Albania ancora oggi è un eroe: un patriota barbaramente ucciso dai greci per aver sostenuto l'indipendenza della Ciamuria, territorio al confine tra Albania e Grecia e conteso tra i due Paesi. «La morte di Hoggia divenne il pretesto per una violenta campagna antigreca, con l'Italia che si spacciò per paladina delle rivendicazioni albanesi», ricostruisce lo storico. «In questo scenario, a Ferragosto il sommergibile italiano Delfino affondò un incrociatore greco presso l'isola di Tinos, ma l'Italia declinò ogni responsabilità cercando di addossarla agli inglesi. Il bluff non funzionò e l'unico risultato fu di alzare il livello della tensione».
A sorpresa. Quando, l'11 ottobre, Mussolini venne a sapere che i nazisti erano prossimi a stanziare un proprio contingente in Romania, vicino ad alcune zone petrolifere, furioso per non essere stato interpellato decise di passare all'azione. Giurò di voler ripagare Hitler con "la stessa moneta. Saprà dai giornali che ho occupato la Grecia". Così il 15 ottobre, in un incontro con gli alti comandi militari a Palazzo Venezia (incluso il capo di stato maggiore Pietro Badoglio, che non manifestò resistenze), il duce ordinò di procedere all'invasione.
L'ultimatum. Presa la decisione di attaccare, fu redatto un ultimatum in cui si chiedeva a Metaxas di consentire agli italiani l'occupazione di svariati luoghi chiave del suo Paese al fine di "garantire la neutralità della Grecia". Si avvisava poi che, se gli italiani fossero stati ostacolati, ogni forma di ostilità sarebbe stata piegata con le armi. In parallelo, furono architettati ad hoc alcuni incidenti di frontiera. «Il compito di consegnare l'ultimatum a Metaxas spettava all'ambasciatore italiano ad Atene, Emanuele Grazzi, una voce fuori dal coro», spiega Clementi. «Grazzi aveva sconsigliato l'operazione, avvertendo del pericolo di un intervento britannico, nonché della determinazione dei greci».
Ambasciator non porta pena. L'ambasciatore aveva visto giusto, ma non fu ascoltato e il 28 ottobre 1940 fu costretto a recapitare l'ultimatum. Il termine per l'accettazione delle condizioni italiane era stabilito per le 6:00 del giorno stesso (fu consegnato alle tre di notte) e Metaxas si limitò a dire laconico: "Allora, questa è la guerra!".
I soldati italiani – che a dispetto delle richieste iniziali dei vertici militari erano ordinati in sole sei divisioni – passarono il confine tra Albania e Grecia, intraprendendo una marcia che sarebbe stata presto frenata dall'audace resistenza dei militi greci, supportati dagli inglesi e, come aveva previsto Grazzi, da larghe fasce della popolazione.
Arrivano i tedeschi. «Le difficoltà incontrate subito dagli italiani furono di vario genere», riprende Clementi. «In parte dovute all'inferiorità numerica, in parte alla difficile conformazione del territorio greco, ma soprattutto legate a una generale scarsità di mezzi e di organizzazione». Mandati allo sbando, i soldati si ritrovarono così risucchiati in una snervante guerra fatta di attacchi e contrattacchi. A togliere le castagne dal fuoco ci pensò Hitler, che nella primavera 1941 ordinò alle sue truppe di invadere la Iugoslavia e la Grecia.
Frustrazione del duce. Entrambi i Paesi balcanici furono piegati in pochi giorni: il 17 aprile giunse la resa della Iugoslavia e il 21 quella greca, evento che frustrò il duce in quanto messo nuovamente in ombra dal Führer. «A dire il vero, Hitler avrebbe fatto volentieri a meno di impegnarsi nei Balcani: questa operazione rischiava infatti di attirare nell'area maggiori forze britanniche e di ritardare – come in effetti fu – il piano di invasione dell'Urss», spiega Clementi. Nondimeno, il duce e l'alleato tedesco procedettero a spartirsi il territorio, con l'Italia che, già in possesso del Dodecaneso, prese anche il controllo della Grecia continentale (Macedonia esclusa), di Atene, del Peloponneso, delle Cicladi, di parte delle Sporadi, dell'oriente di Creta e di tutte le isole ioniche.
Bilancio finale. «A dispetto dei grossolani errori compiuti dagli alti comandi nel pianificare la campagna, gli italiani riuscirono a opporre una valida resistenza al contrattacco greco. Se non vinsero la guerra, non si può neppure dire che la persero del tutto», conclude Clementi. A conti fatti, però, le reni della Grecia non furono spezzate (non da noi, almeno), mentre la vanagloria di Mussolini spezzò le vite di tanti soldati di cui, sprezzante, nel Natale del '40 aveva detto: "Questa neve e questo freddo vanno benissimo; così muoiono le mezze cartucce e si migliora questa mediocre razza italiana".
Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?