L'8 novembre 2021 la Polonia ha chiuso il confine con la Bielorussia, dopo che circa tremila migranti curdi iracheni hanno tentato di entrare nel Paese con la forza. La Polonia e la UE hanno accusato la Bielorussia di strumentalizzare i migranti, usandoli come arma contro l'Unione Europea: il grande regista sarebbe il presidente della Bielorussia, Aleksandr Lukašenko (Alexander Lukashenko).
La Bielorussia di Lukashenko. La crisi tra il governo bielorusso e l'Unione Europea inizia il 21 giugno 2021, quando la UE impone delle sanzioni, accusando di autoritarismo il presidente Lukashenko, in particolare per la sua contestata rielezione per un sesto mandato, nell'agosto del 2020. In risposta a queste "interferenze negli affari interni di un Paese sovrano", Lukashenko dichiarò che non avrebbe più contribuito alla lotta all'immigrazione clandestina, permettendo il transito verso ovest di migranti, alimentando così ulteriori tensioni con i Paesi vicini e nella Bielorussia stessa, già stremata da una dura crisi economica e da una dittatura lunga ormai 27 anni. Ma l'insofferenza dei bielorussi affonda le sue radici in un lontano passato.
L'ultimo tiranno. Nel 2017, durante i lavori di rinforzo della collina di Gediminas, nella città lituana di Vilnius, sono spuntati degli scheletri umani. Erano ciò che restava dei cadaveri di una ventina di ribelli della fallita "insurrezione di gennaio" del 1863 contro l'impero zarista. Tra gli insorti, che furono impiccati e sepolti in luoghi segreti, c'era anche Konstanty Kalinowski, il rivoluzionario bielorusso che aveva guidato quell'ultimo tentativo di ricostituire l'antico regno polacco-lituano.
Nel novembre del 2018, a oltre un secolo e mezzo di distanza, i resti di Kalinowski sono stati inumati di nuovo con una cerimonia solenne: una miccia che ha riacceso il sentimento nazionale bielorusso e ha spianato la strada alle proteste di piazza del 2019. A far esplodere l'insofferenza dei bielorussi - innescando una situazione che ricorda da vicino quella di Budapest nel 1956 e di Praga nel 1968 - hanno contribuito la grave crisi economica e le ennesime elezioni-farsa (le ultime, dell'agosto 2020, sono state contestate anche dall'Unione Europea) che hanno riconfermato alla presidenza Lukashenko, colui che è considerato "l'ultimo dittatore d'Europa", ininterrottamente al potere dal 1994.
La Bielorussia ha un legame con Mosca molto più recente di quello che il suo stesso nome può lasciar pensare. L'etimologia del nome Bielorussia risale al nome del Rus' di Kiev, il regno fondato nel IX secolo da una tribù scandinava che si stanziò in quei territori, mentre l'aggettivo cromatico (bielo, bianco) si riferisce a quella parte del territorio che nel XIII secolo rimase libera dall'occupazione mongola.
«I cosiddetti "russi bianchi" hanno fatto parte per secoli del mondo polacco-lituano», spiega Ettore Cinnella, sovietologo dell'Università di Pisa. «Una prima entità statuale bielorussa nacque alla metà del XIII secolo dopo la dissoluzione del Rus' di Kiev, lo Stato degli slavi orientali, in seguito all'invasione mongola». Dall'unificazione delle popolazioni locali nacque allora il Granducato di Lituania, uno Stato pagano passato poi al cattolicesimo, multietnico e multirazziale, formato dagli odierni territori di Lituania, Bielorussia e di parte dell'Ucraina.
Dentro l'Impero Russo. Con l'unione di Krewo del 1386 fu poi sancita l'unità dinastica tra il Paese baltico e il regno di Polonia. Di lì a poco il Granducato raggiunse il suo periodo di massimo splendore sotto il governo (1401-1430) del granduca Vitoldo il Grande. La fusione tra i due regni fu suggellata nel 1569 con l'Unione di Lublino che dette vita alla Confederazione polacco-lituana, trasferendo gran parte dei territori di Lituania e Rutenia sotto la giurisdizione della cattolicissima Corona polacca. Infine, la Costituzione del 1791 unificò Polonia e Lituania in un solo Stato, destinato però a durare pochissimo.
«Quanto accaduto nel corso dei secoli ci fa comprendere come questi territori abbiano avuto una storia assai diversa da quella russa, e siano espressione di una civiltà a tutti gli effetti europea. L'influenza polacco-lituana sulla Bielorussia si concluse con la spartizione della Polonia nel 1795», prosegue Cinnella. «Da quel momento in poi sia i territori bielorussi sia quelli ucraini entrarono a far parte della Russia di Caterina II, e terminò anche quella tolleranza religiosa che fino ad allora aveva contraddistinto il Granducato di Lituania. Gli slavi ortodossi cominciarono a sentirsi più vicini a Mosca per motivi religiosi e, al contrario dell'Ucraina, che disponeva di una intellighenzia e di una coscienza nazionale molto forti, in Bielorussia il sentimento patriottico fu meno accentuato. E ciò spiega anche gli sviluppi successivi alla Rivoluzione russa». Con l'inizio dell'Ottocento la Bielorussia entrò dunque nell'orbita di Mosca, prima sotto il regime zarista poi sotto quello sovietico, restandoci di fatto fino ai giorni nostri. Le rivolte dei bielorussi contro gli zar del XIX secolo che avevano l'obiettivo di ricreare la Confederazione polacco-lituana fallirono tutte, compresa quella che nel 1863 vide protagonista Konstanty Kalinowski.
Fin dall'epoca medievale i territori bielorussi hanno svolto la funzione di "zona cuscinetto" nei confronti di tutti gli invasori che da Occidente tentavano di puntare al cuore della Russia.
Prima le incursioni polacco-lituane dal XV al XVII secolo, poi l'invasione del re di Svezia Carlo XII nel 1700 e quella napoleonica del 1812, infine le spedizioni tedesche nel corso delle due guerre mondiali. Ciò spiega perché da almeno due secoli il controllo del Paese è ritenuto indispensabile per garantire la sicurezza dello Stato russo, anche a costo di soffocare ogni istanza indipendentista.
Le due guerre mondiali. Il 25 marzo 1918, nel corso dell'occupazione tedesca, venne dichiarata la nascita di una Repubblica popolare bielorussa indipendente. Ma con l'avanzata dell'Armata Rossa e il ritiro dei tedeschi, il governo bielorusso fu costretto all'esilio e nel 1919 venne proclamata la Repubblica socialista sovietica bielorussa (RSSB) che entrò a far parte dell'Unione Sovietica. I territori abitati dai bielorussi furono smembrati: alla Polonia andò l'area di Bialystok, alla Russia Smolensk mentre Vilnius fu assegnata alla Lituania. Tornarono a far parte della RSSB solo dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, quando l'Urss invase la Polonia in seguito al patto Molotov-Ribbentrop, ricostituendo l'unità territoriale bielorussa.
Il 10 dicembre 1991 la Bielorussia è diventata formalmente uno Stato indipendente in seguito al crollo dell'Unione Sovietica. Ma il forte legame con Mosca non è stato mai reciso del tutto. «Nel corso del XX secolo si verificò qualche sporadico tentativo di rivitalizzare l'identità nazionale bielorussa, ma ad animarlo furono soltanto piccoli gruppi, la cui esiguità confermava la debolezza della sua tradizione culturale», prosegue Cinnella. «E si verificò un curioso paradosso: la lingua bielorussa, che nel '500 si era sviluppata in forma letteraria con la prima traduzione della Bibbia, fu rivitalizzata proprio durante il periodo sovietico. I timidi tentativi indipendentisti del 1991 non furono certo paragonabili a quanto avvenne ad esempio nei Paesi baltici, i quali, al pari dell'Ucraina, non si sono mai sentiti realmente legati alla Russia».
Lukashenko e Putin. La figura simbolo della fase post-URSS è senza dubbio Alexander Lukashenko, che governa in modo autoritario dal 1994 dopo aver accentrato su di sé ogni potere. Grazie all'aiuto russo ha azzerato ogni opposizione e nel 2015 è stato eletto presidente per la quinta volta. La sua lealtà nei confronti del Cremlino è stata ripagata con lauti sussidi economici e commesse di combustibile a basso costo. Ma il rapporto privilegiato con Mosca ha iniziato a incrinarsi dopo la guerra in Ucraina, nel 2014. Lukashenko ha criticato il presidente Putin per l'annessione russa della Crimea e ha iniziato a cercare l'appoggio dell'Unione Europea per diversificare un'economia sempre più in crisi.
Finché le disuguaglianze sociali sempre più consistenti hanno innescato le grandi proteste di massa dell'estate scorsa esplose in seguito a elezioni farsa messe in dubbio anche dalla UE.
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Questo articolo è tratto da L'ultima dittatura d'Europa, di Riccardo Michelucci, pubblicato su Focus Storia 169 (novembre 2020), disponibile solo in formato digitale. Leggi anche l'ultimo numero di Focus Storia ora in edicola.