Parigi, venerdì 13 novembre 2015. Sono le 21,30 quando l’Assistance Publique-Hôpitaux de Paris viene allertata per le esplosioni appena avvenute allo stadio, lo Stade de France, proprio fuori Parigi. Tempo venti minuti, e arriva notizia di conflitti a fuoco ed esplosioni in quattro altri punti della capitale. Si capisce subito che i feriti saranno molti, e viene decisa l’attivazione di un piano speciale per gestire le situazioni di emergenza.
A raccontare come è andata quella notte, e che cosa ha significato gestire dal punto di vista sanitario quella che è stata a tutti gli effetti una applicazione di medicina di guerra in uno scenario civile (in proporzioni che Parigi non sperimentava dai tempi della Seconda guerra mondiale), è un gruppo di medici, in un resoconto su Lancet, pieno di dettagli tecnici ma anche di particolari "umani".
Preparati. Concepito vent’anni fa e mai messo in pratica, il piano consente di richiamare immediatamente in servizio il personale medico, di liberare letti negli ospedali e di gestire l'emergenza secondo precise procedure. Se le cose hanno funzionato, è stato anche perché, dopo l’attacco al settimanale satirico Charlie Hebdo, a gennaio di quest’anno, si sapeva che sarebbe potuto accadere di nuovo, e su più larga scala, e ci si preparava.
In totale, i feriti assistiti nella notte tra il venerdì e il sabato sono stati 302, di cui quattro (l'uno per cento) non ce l'hanno fatta (mentre le persone morte durante le azioni dei terroristi sono 129). Ironia della sorte, come raccontano i medici, proprio il venerdì mattina dell’attacco c’era stata un’esercitazione dei team medici addetti all’emergenza e dei vigili del fuoco. Quando sono stati richiamati la sera stessa, molti hanno pensato si trattasse di un’altra simulazione.
Il piano. Allo scattare dell’emergenza è stato subito messo in piedi un centro di supporto con 35 psichiatri, che insieme a psicologi, infermiere e volontari si sono radunati all’Hôtel Dieu, il più antico e centrale ospedale di Parigi.
Sui luoghi degli attacchi sono state subito inviate 45 unità mobili di soccorso, in grado di prestare le prime cure e inviare i feriti nell'ospedale giusto, in modo da evitare anche il caos e il sovraffollamento nei dipartimenti di emergenza degli ospedali; 15 squadre sono state tenute di riserva nell'eventualità di ulteriori azioni terroristiche.
Molte delle ferite erano da arma da fuoco, e 256 persone sono state subito trasportate negli ospedali. Diversi dei soccorritori - riporta l’articolo - sono tornati indietro senza le cinture, usate per bloccare le emorragie dato che i lacci emostatici erano finti, un particolare che rende bene l’idea.
A metà della nottata 35 squadre chirurgiche avevano operato le persone più gravi. A 24 ore di distanza - osservano gli autori dell’articolo - si era “quasi pronti a far fronte a un altro attacco che si temeva potesse capitare”.