Mentre la Turchia di Erdogan continua a mantenere una deriva autoritaria tra crisi diplomatiche e conseguente crollo della lira (la moneta locale), la Turchia laica, fondata da Mustafa Kemal Atatürk (1881-1938) sembra un ricordo sempre più lontano. Dopo la Prima guerra mondiale, l'Impero ottomano fu smembrato e sulle sue ceneri nacque la Turchia moderna, grazie ad Atatürk (cognome attribuito dal parlamento che significa "padre della Turchia"), militare e politico, primo presidente della Repubblica, considerato un eroe nazionale. Tra i provvedimenti presi per rendere la Turchia un Paese moderno, Atatürk abolì il califfato e pose le organizzazioni religiose sotto il controllo statale, riconoscendo la parità dei sessi e istituendo il suffragio universale.
Fine di un'epoca. Il 10 agosto 1920, nel sobborgo parigino di Sèvres, tre plenipotenziari del sultano Mehmet VI Vahdettin firmarono il documento che sanciva la fine di un'epoca. Imposto dall'Inghilterra, appoggiato dalla Francia e, a malincuore, dall'Italia, il trattato prevedeva lo smembramento dell'Impero ottomano. Stabiliva infatti la cessione alla Grecia della Tracia Orientale (compresa Adrianopoli, oggi Edirne) e di Smirne con la regione circostante, mentre la capitale, Costantinopoli, e la regione degli Stretti sarebbero state "internazionalizzate".
In più, a Gran Bretagna, Francia e Italia sarebbero state garantite "zone d'influenza esclusiva" nell'Egeo e in Asia Minore, ed era persino auspicata la creazione di un Kurdistan indipendente tra Anatolia e Alta Mesopotamia. Nove giorni dopo, il 19 agosto, la Grande Assemblea di Ankara, espressione del governo nazionalista ribelle, presieduta dall'ex pasha (generale) Mustafa Kemal, denunciava il trattato e decretava che i membri del consiglio della Corona, colpevoli di non essersi opposti al diktat alleato, dovevano essere considerati traditori della patria. Il 21 ottobre 1920 il primo ministro del sultano si dimise e fuggì all'estero, mentre Mehmet VI, ormai privo di qualsiasi potere, restava chiuso nel suo palazzo.
Il malato d'Europa. L'Impero ottomano stava agonizzando e di lì a poco sulle sue ceneri sarebbe nata la repubblica. Il disastro dell'impero aveva origini lontane: da molte generazioni era militarmente debole e diviso al suo interno. Veniva infatti considerato "il malato d'Europa", e i suoi territori periferici erano diventati il principale obiettivo delle mire espansionistiche austro-ungariche, russe e italiane, oltre che delle ambizioni egemoniche meno dirette di Gran Bretagna e Francia. Fu proprio l'Italia a dare inizio alla fase finale dello smembramento dell'impero attaccando la Libia nel settembre del 1911. Era poi seguita la disastrosa prima guerra balcanica (ottobre 1912-maggio 1913), che aveva praticamente posto fine alla dominazione turca nella penisola a vantaggio di Serbia, Montenegro, Grecia e Bulgaria, protette a distanza dalla Russia.
L'ultima guerra. Ai primi del Novecento l'impero era stato battuto e umiliato, ma restava ancora una potenza in grado di giocare un ruolo strategicamente rilevante in un conflitto europeo. Per questo il governo tedesco, già da anni in buoni rapporti con Costantinopoli, all'inizio della Grande guerra fece una mossa inaspettata. Per convincere gli Ottomani a schierarsi al fianco di Germania e Austria-Ungheria contro la Triplice Intesa (Francia, Inghilterra e Russia), inviò due moderni incrociatori in dono al sultano. L'espediente riuscì alla perfezione: il Goeben e il Breslau, sfuggiti alle navi britanniche, gettarono l'ancora davanti alla capitale ottomana il 10 agosto 1914. I due incrociatori passarono alla marina turca, ma rimasero agli ordini dell'ammiraglio Wilhelm Anton Souchon. La presenza delle due navi bastò a cambiare i rapporti di forza nel mar Nero, e incoraggiò Ismail Enver, ministro della Guerra, a forzare la mano del sovrano per autorizzare l'apertura delle ostilità contro la Russia e, di conseguenza, contro le potenze dell'Intesa.
Il vecchio impero iniziava così la sua ultima guerra. Enver era convinto di poter rapidamente sconfiggere i russi, ma si sbagliava. A dicembre lanciò un'imprudente offensiva sul fronte del Caucaso, ma l'armata ottomana venne duramente sconfitta nella battaglia di Sarikamish, nel gennaio del 1915. E di questo Enver incolpò gli armeni. Al suo ritorno a Costantinopoli, infatti, dichiarò che la sconfitta era stata causata dal "tradimento degli armeni", poiché non solo c'erano reparti di volontari armeni che affiancavano le truppe zariste, ma, a suo dire, bande ribelli attive nelle retrovie avevano gravemente limitato lo sforzo bellico ottomano.
La marcia della morte. La situazione precipitò in poco tempo. Nell'aprile del 1915 il governatore militare ottomano della città armena di Van chiese l'immediata consegna di quattromila reclute: era uno stratagemma per catturare i maschi adulti. Gli abitanti reagirono impugnando le armi e asserragliandosi nel loro quartiere, dove si raccolsero oltre quindicimila profughi. La città riuscì a resistere per un mese, poi fu raggiunta e liberata da una colonna di soccorso russa.
Nel frattempo, con il pretesto del "collaborazionismo", Enver aveva scatenato una feroce repressione su tutto il territorio dell'impero e i principali esponenti della comunità armena erano stati arrestati e messi a morte. Iniziarono allora i massacri nei villaggi e gli "spostamenti forzati" dei civili verso Siria e Mesopotamia, una vera e propria deportazione di massa in condizioni disumane. Fu una "marcia della morte" che fece un milione di vittime, per la maggior parte vecchi, donne e bambini: il primo genocidio del '900, consumato impunemente grazie allo "stato d'eccezione" dovuto al protrarsi del conflitto mondiale.
Sistemata a fatica la situazione della frontiera orientale, i turchi dovettero difendersi dall'assalto alleato contro la penisola di Gallipoli (sullo stretto dei Dardanelli a ovest del Paese) che avrebbe dovuto aprire la strada di Istanbul alle truppe britanniche e francesi. Dopo un'estenuante battaglia gli ottomani ebbero la meglio: un successo che consentì all'impero di sopravvivere. Tuttavia il suo destino era segnato e nel 1918 la sconfitta della Bulgaria e degli imperi centrali (Germania, Austria-Ungheria) trascinò inevitabilmente alla rovina anche il loro alleato più debole.
Colpo di grazia. A quel punto Inghilterra, Francia e Italia si vollero dividere, con scarsa lungimiranza, le sue spoglie. Da più parti fu segnalato, infatti, il pericolo di una reazione nazionalista, ma la strada scelta dalle potenze dell'Intesa fu comunque quella dell'umiliazione e dello smembramento. Il colpo di grazia arrivò il 10 agosto del 1920 quando a Sèvres il governo ottomano fu delegittimato, e la guida della politica turca fu consegnata di fatto al generale Mustafa Kemal. La situazione per i nazionalisti era poco meno che disperata: i greci occupavano la Tracia, Smirne e buona parte dell'Asia Minore occidentale, era ancora aperto il fronte meridionale contro i francesi in Cilicia, e gli armeni stavano lottando per espandere il loro territorio nel nord-est dell'Anatolia.
L'Impero ottomano era solo un ricordo e la creazione di uno Stato turco sembrava una chimera. Così, messo di fronte a difficoltà enormi, Atatürk, l'eroe di Gallipoli, giocò le sue poche carte con estrema abilità. La prima mossa vincente fu l'alleanza con i bolscevichi al potere a Mosca, anche loro, come i nazionalisti turchi, isolati nel contesto politico internazionale. L'intesa con la Russia rivoluzionaria consentì al governo di Ankara di sconfiggere rapidamente gli armeni e rese disponibili le truppe necessarie a fermare l'offensiva greca in Anatolia centrale. Poi, il 20 ottobre 1921 la svolta: Kemal firmò in segreto un trattato con la Francia che poneva fine alle ostilità alla frontiera meridionale. Era un successo diplomatico non da poco, una grande potenza come la Francia riconosceva di fatto l'esistenza del nuovo Stato turco, aprendo la strada a una ridefinizione dei rapporti di forza in tutta la regione.
Bagno di sangue. Ma la situazione militare sul fronte occidentale non era ancora risolta, e così i Turchi trascorsero l'inverno e la primavera ad armare l'esercito che doveva vincere la guerra contro la Grecia. L'operazione riuscì, grazie alla "grande offensiva d'estate": i Greci vennero duramente sconfitti e il 9 settembre del 1922 i Turchi entrarono nella città di Smirne.
Fu un bagno di sangue: greci e armeni furono massacrati dall'esercito turco e uno spaventoso incendio causò diverse migliaia di morti. In seguito a tanta devastazione cristiani ed ebrei abbandonarono la città, rifugiandosi in buona parte in Grecia.
Gli obiettivi che Kemal aveva dichiarato irrinunciabili, ossia "la piena indipendenza all'interno della linea d'armistizio dell'ottobre 1918", stavano per essere raggiunti. L'esistenza e i confini dello Stato turco furono riconosciuti dalla comunità internazionale con il trattato di Losanna, firmato il 24 luglio 1923, che cancellava le decisioni di Sèvres e stabiliva le frontiere corrispondenti ai confini attuali. In applicazione del trattato, poi, avvenne un massiccio, e tragico, "scambio di popolazione": oltre un milione di cristiani furono cacciati dai luoghi che abitavano da secoli in Asia Minore, finendo come profughi in Grecia, mentre un numero non molto inferiore di musulmani dai Balcani si insediò in Anatolia.
L'epilogo. Il 29 ottobre del 1923 Kemal venne eletto primo presidente della Repubblica di Turchia, proclamata lo stesso giorno. L'ex generale traghettò il Paese verso la modernità, riformando e laicizzando lo Stato sul modello occidentale. Nel 1934 gli fu conferito dal Parlamento il cognome Atatürk, "il padre dei turchi". Da quel momento, l'esercito è stato un elemento determinante della vita politica e sociale della Turchia post-ottomana. Ma il fallito colpo di Stato del 2016 ha messo in grave crisi il rapporto tra governo ed esercito.
Nel frattempo la Turchia si muove con grande difficoltà nella crisi che coinvolge le vecchie province ottomane di Aleppo e Mosul, tra Siria e Iraq. Come ha scritto Roberto Iannuzzi, arabista e studioso di quesioni mediorientali, «la crisi siriana ha alimentato speranze e ambizioni in Turchia, ma ha creato anche dilemmi di difficile soluzione. Ankara, che affermava di volere un regime democratico in Siria, in realtà doveva ancora fare ordine in casa propria, risolvendo la questione curda». Il "nuovo sultano" Erdogan ha tradito la politica di Atatürk, abbandonando la sua ispirazione laica e filo-occidentale.
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Questo articolo è tratto da "La caduta dell'impero", di Gastone Breccia, pubblicato su Focus Storia 127 (maggio 2017) disponibile solo in formato digitale. Leggi anche l'ultimo numero di Focus Storia ora in edicola.