Storia

Arriva dalla Roma imperiale il primo femminicidio della Storia

In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ripercorriamo il giallo del primo femminicidio della Storia arrivato fino a noi: l'uccisione di Annia Regilla, moglie di Erode Attico.

In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne (25 novembre), istituito per ricordare le vittime di maltrattamenti, abusi e femminicidi e per combattere le discriminazioni e le disuguaglianze di genere, ricordiamo uno dei primi femminicidi della Storia. Si tratta della tragica storia di Annia Regilla, emblematica per comprendere la condizione delle donne nella Roma Imperiale. L'omicidio di Regilla è considerato uno dei primi "femminicidi" della Storia, anche se a quei tempi, e per la verità fino a non molti anni fa, nessuno avrebbe usato questa parola. Il mondo romano, infatti, fu un mondo patriarcale, in cui le donne dovevano assumere una posizione subordinata, con le buone o con le cattive, e questo valeva anche per le donne colte e aristocratiche come Annia Regilla. Quelle che non si piegavano erano prima o poi costrette a farlo, attraverso pressioni psicologiche o fisiche, e in alcuni casi anche attraverso la morte. Ripercorriamo questo giallo storico attraverso l'articolo "Femminicidio alla romana" di Massimo Manzo, tratto dagli archivi di Focus Storia.

Femminicidio di alto rango. Nel grande museo a cielo aperto dell'Appia antica, tra anonime tombe e malinconiche vestigia del passato, si staglia un sepolcro a forma di tempio, graziato dalla furia dei secoli. È impossibile non notarlo: armonioso e imponente, attira l'attenzione anche dei turisti più distratti. Forse non tutti sanno, però, che dietro la sua costruzione si cela una vicenda tragica e violenta, che coinvolse una delle donne più in vista di Roma. Il suo nome era Annia Regilla, e la sua è la storia di un femminicidio mai completamente risolto.

Una donna "PRIVILEGIATA". Siamo nel II secolo d.C., in uno dei periodi più felici della storia dell'Impero romano. La romanità è giunta al massimo della sua espansione territoriale e prospera sotto una successione di governanti illuminati. Fu in questo clima che intorno al 125 d.C., durante il regno dell'imperatore Adriano, vide la luce Appia Annia Regilla Atilia Caucidia Tertulla. Non si trattava di una ragazza qualunque: la casata aristocratica dalla quale proveniva era una delle più in vista della città fin dai tempi della repubblica e ora vantava legami con la famiglia imperiale: la madre di Regilla, in particolare, era imparentata con Faustina Maggiore, futura moglie dell'imperatore Antonino Pio.

«Il nome "Regilla" indica la discendenza dalla famiglia degli Annii Regilli e significa "reginetta", e proprio come una piccola regina fu trattata sin dal suo primo giorno di vita», scrive la storica Sarah B.

Pomeroy nel libro L'assassinio di Regilla. Storia di una donna, del suo matrimonio e del tempo in cui visse (Laterza). A differenza della stragrande maggioranza degli uomini e delle donne della sua epoca, la ragazza visse dunque un'infanzia privilegiata, ricevendo un'istruzione di prim'ordine attorniata da stuoli di servi e maestri. Tutto pareva presagire una vita felice. Le cose, però, andarono diversamente.

NOZZE COMBINATE. Nel mondo antico (e anche dopo), alle donne era preclusa la possibilità di scegliersi un marito, ed era di solito il padre a combinare le nozze delle proprie figlie. Malgrado l'alto lignaggio, anche Regilla fu vittima di tale usanza, e appena compì quattordici anni, la famiglia decise che era venuto il momento di farla convolare a nozze.

Il marito scelto era un uomo molto più grande di lei, un quarantenne di origini greche di nome Erode Attico. Conosciuto come uno dei retori più in vista del momento, tanto da essere stato voluto da Antonino Pio come precettore dei suoi due figli adottivi, Marco Aurelio e Lucio Vero, Erode non era soltanto un intellettuale di fama: il suo patrimonio, ereditato dal padre, faceva invidia a quello di un satrapo persiano. «Oltre al desiderio di avere figli, uno dei motivi che spinse Erode a sposarsi era la volontà di allearsi con un'antica famiglia romana, e il matrimonio con Regilla gli avrebbe permesso di scrollarsi di dosso per sempre le sue origini di graeculus e di integrarsi a tutti gli effetti nella società romana», scrive Pomeroy.

ESILIO FORZATO. Ricchezze a parte, Erode Attico non era un marito raccomandabile: collerico, violento e attaccabrighe, era venuto spesso ai ferri corti con personalità in vista dell'élite romana, compresi membri dell'entourage imperiale e "colleghi" filosofi. Alcuni aneddoti sembrano inoltre confermare che non avesse affatto un bel rapporto con le donne, manifestando spesso sentimenti misogini. In breve, se per Erode e i familiari della sposa il matrimonio appariva conveniente, per Regilla fu l'inizio di una lunga prigionia. Ben presto la giovane fu costretta a seguire il marito in Grecia, abbandonando la famiglia e gli amici per ritrovarsi in un ambiente totalmente diverso da quello in cui era nata. La coppia risiedeva nelle lussuose ville possedute da Erode, ma in terra greca Regilla si ritrovò immersa in una società più arretrata, nella quale era maggiormente sottomessa al marito.

Malgrado ciò, ricoprì prestigiosi incarichi sacerdotali e ottenne vari riconoscimenti pubblici per le sue opere di beneficienza nei confronti delle comunità locali.

Con un tipo come Erode per marito, tuttavia, la vita familiare non doveva essere idilliaca. I due ebbero cinque figli, di cui due morti in tenera età, ma i continui tradimenti del consorte erano all'ordine del giorno e lui sembrava interessarsi più ai suoi amanti che alla famiglia. «Probabilmente Erode intratteneva rapporti sessuali con altri uomini già prima di sposarsi, ma Regilla si sarà aspettata da lui che mettesse fine alle sue relazioni extraconiugali, specialmente quando divenne padre. Con il trasferimento in Grecia, tuttavia, ella vide infrangersi tutte le sue speranze», scrive Pomeroy.

IL PESTAGGIO. La situazione raggiunse un punto di non ritorno nel 160 d.C. In quell'anno, mentre Regilla era all'ottavo mese di gravidanza in attesa del sesto figlio, fu percossa da un liberto del marito, tale Alcimedonte, che la colpì al ventre facendola abortire e causandone la morte. Aveva appena 35 anni. Non sappiamo i motivi di quell'orribile pestaggio, ma a molti venne il sospetto che dietro vi fosse lo zampino di Erode, le cui intemperanze erano ben note. Era stato lui a ordinare al fedele liberto di picchiare la moglie?

Di certo quando la notizia dell'assassinio di Regilla arrivò a Roma, forse filtrata da servitori fedeli alla sua famiglia di origine, colpì come un fulmine a ciel sereno. Il più deciso a volere giustizia fu Bradua, fratello di Regilla, un patrizio assai rispettato e che aveva ormai preso in mano le redini della famiglia, dopo la morte del padre. Convinto della colpevolezza di Erode Attico, Bradua lo accusò di omicidio, intentando contro di lui un processo da celebrarsi di fronte a una corte di senatori. «Il fatto stesso che si riunì un tribunale composto da senatori sembra indicare che molti a Roma credevano all'accusa», scrive Pomeroy. «La corte era composta da persone dello stesso rango di Bradua e da senatori che questi incontrava di frequente a Roma e un attacco rivolto a sua sorella equivaleva ad un attacco contro di lui».

SOTTO PROCESSO. Pur non potendo esibire prove schiaccianti, Bradua sembrava partire avvantaggiato per via degli stretti legami con i senatori e del loro snobismo nei confronti di un greco come Erode. Dal canto suo, questi si dichiarò completamente innocente attribuendo le colpe dell'accaduto ad Alcimedonte, che avrebbe agito di testa sua. Una circostanza difficile da credere, anche perché, a quanto risultò in seguito, il liberto non ricevette punizioni.

L'ipotesi più verosimile è che avesse obbedito all'ordine di picchiare Regilla per motivi futili, ma che la situazione fosse sfuggita di mano. A Roma si rincorrevano voci opposte: c'era chi sosteneva senza mezzi termini la colpevolezza di Erode e chi invece riteneva Bradua un opportunista, interessato a condannare il cognato solo per rimettere le mani sulla dote della sorella. Alla fine arrivò un verdetto che lasciò di stucco molti, e soprattutto Bradua: innocente.

LACRIME di coccodrillo. Come mai i senatori avevano creduto alla parola di un greco e non a quella di un patrizio romano? La spiegazione era forse legata a un personaggio molto più potente di qualsiasi senatore: l'imperatore Marco Aurelio, ex pupillo di Erode Attico e legato a quest'ultimo da un profondo legame d'affetto. Fu lui, con ogni probabilità, a intercedere garantendo la sua assoluzione. «L'accusa di Bradua è così precisa da farci presumere che Erode fu assolto soltanto perché protetto da Marco Aurelio», scrive Pomeroy. «Dopo il processo Bradua ricoprì la carica di proconsole, un incarico che lo allontanava opportunamente dall'Italia [...]. L'accusa contro l'amato tutore dell'imperatore pose fine alla sua carriera politica».

Erode aveva vinto, e come prima cosa ostentò pubblicamente il proprio dolore dedicando a Regilla numerose epigrafi, monumenti e persino santuari, tra cui il cenotafio sulla via Appia. Credendo così, sbagliandosi, di cancellare il suo coinvolgimento in quel crudele assassinio.

Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?

25 novembre 2022 Focus.it
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