Il Manifesto di Russell-Einstein è una dichiarazione presentata da Bertrand Russell ed Albert Einstein il 9 luglio 1955, all'alba della cosiddetta Guerra Fredda e fa parte di una campagna che aveva come obiettivo il disarmo nucleare. Nell'articolo che segue, Il ripudio, tratto dagli archivi di Focus Storia, si ripercorrono le tappe che portarono alla realizzazione di quel documento, controfirmato da altri 9 eminenti scienziati e intellettuali, e si racconta come si arrivò alla pubblicazione di quello che, per Einstein, deceduto qualche mese prima, costituiva (anche) un testamento spirituale "di vitale importanza per l'Umanità".
"Si è conquistata la vittoria, ma non la pace" (A. Einstein, 1945)
Londra, 9 luglio 1955. Non sono passati neanche due mesi dalla morte di Albert Einstein. In una sala gremita di giornalisti a Caxton Hall, residenza che ha ospitato la prima Conferenza panamericana e altri appuntamenti storici, come quelli del movimento delle suffragette e degli omosessuali, il filosofo Bertrand Russell legge, con un filo di voce sovrastato dal ronzio delle macchine da presa, un messaggio postumo di Einstein sui pericoli della guerra nucleare, scritto a quattro mani e firmato da altri nove eminenti studiosi. Tre pagine dattiloscritte che saranno sottoposte ai ricercatori di tutto il mondo e alla gente comune.
Il manifesto contro l'atomica. L'obiettivo è ambizioso: chiedere ai governi, davanti al bivio tra "morte universale della specie umana o nuovo Paradiso", di rinunciare alla guerra e trovare "mezzi pacifici per la soluzione di tutti i loro motivi di contesa". Non c'è alternativa. "In una qualsiasi guerra futura", recita il documento, "saranno certamente usate armi nucleari e queste armi minacciano la continuazione dell'esistenza umana". Nasce così il più famoso manifesto contro la Bomba.
"La testa oppressa dalla bianca e disordinata capigliatura, l'esile persona sobriamente vestita di grigio, l'ultimo dei grandi radicali inglesi (Russell, ndr) rendeva elegante e garbato un messaggio apocalittico", riferiva lo stesso 9 luglio l'edizione pomeridiana del Corriere della Sera.
Titolone in prima pagina: "Non fate più la guerra, se no la razza umana perirà. Einstein prima di morire ha avvisato il mondo". Russell aveva puntato tutto sul nome del più famoso scienziato del secolo, scomparso il 18 aprile all'ospedale di Princeton, subito dopo aver speditola lettera di approvazione del testo. Il 4 luglio il filosofo aveva annunciato di voler rendere pubblico quel messaggio, un testamento spirituale, "di vitale importanza per l'umanità". Cinque giorni dopo, a Caxton Hall (il tempio dei matrimoni londinesi) si "sposavano" "lo spirito più agile e spregiudicato della cultura inglese e la più grande mente della scienza moderna".
Testamento spirituale. Il firmatario più giovane era Joseph Rotblat (1908-2005), fisico polacco emigrato nel Regno Unito: avrebbe poi vinto il Nobel per la Pace con l'associazione Pugwash, nata attorno al manifesto pacifista. Dopo la morte di Einstein, Rotblat disse: "Recentemente si era mostrato preoccupato per la situazione mondiale, e aveva espresso il timore che i popoli potessero sterminarsi a vicenda per l'applicazione delle sue scoperte. Su questo era molto pessimista". Il fisico tedesco sapeva che la formula "massa uguale energia" aveva contribuito a innescare la reazione a catena per costruire l'arma nucleare. Eppure anche lui e Rotblat, all'inizio, avevano pensato che l'atomica fosse una buona idea.
La corsa era cominciata nel 1939 con la scoperta della scissione dell'uranio bombardato con neutroni, dei tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann, ed era finita sei anni dopo con l'esplosione di Little Boy, l'atomica sganciata dagli americani su Hiroshima, alle 8:14 e 45 secondi del 6 agosto 1945. Detonatore fu l'articolo di Otto Frisch e Lise Meitner su Nature, dell'11 febbraio 1939, che sulla base delle scoperte di Hahn e Strassmann teorizzava la fissione nucleare (già ottenuta, in modo inconsapevole, da Enrico Fermi e colleghi, i "ragazzi di via Panisperna").
Rotblat aveva capito che se l'atomo di uranio si spezza può produrre altri neutroni e fissioni a catena, sprigionando in meno di un microsecondo un'energia devastante. Nell'estate del 1939, una pubblicazione tedesca riferì della possibilità di creare un ordigno nucleare e il 1° settembre Rotblat incalzò il Nobel per la Fisica James Chadwick, scopritore del neutrone.
Qualche mese dopo stava lavorando con lui e Frisch a Liverpool, su un progetto di atomica inglese. Intanto, a New York, il fisico Leó Szilárd si stava consultando con Enrico Fermi. I due avevano concluso che non c'era tempo da perdere: i tedeschi, arrivati per primi alla scissione dell'atomo, erano in vantaggio e potevano contare su un gigante della fisica: Werner Heisenberg.
Gli ungheresi Szilárd, Eugene Wigner (Nobel per la Fisica nel 1963) e Teller, padre della bomba all'idrogeno, si rivolsero infine ad Einstein (Szilárd aveva lavorato con lui a un progetto di frigorifero). E lo convinsero a scrivere, il 2 agosto, al presidente Roosevelt: "Negli ultimi quattro mesi è probabile che sia diventato possibile realizzare una reazione nucleare a catena in una grande massa di uranio. Questo nuovo fenomeno condurrebbe alla costruzione di bombe, ed è immaginabile che bombe estremamente potenti di un nuovo tipo possano essere costruite".
Un singolo ordigno fatto esplodere in un porto avrebbe potuto distruggere il porto e tutto il circondario, aggiungeva Einstein. Gli americani dovevano affrettarsi.
Progetto Manhattan. Fin qui, il padre della relatività non pareva molto pacifista: qualsiasi arma era buona contro Hitler. La lettera, tuttavia, non produsse l'effetto sperato e il presidente decise di realizzare l'atomica solo il 9 ottobre 1941. Fortunatamente, nel '42, i tedeschi abbandonarono l'idea perché privi di mezzi. "Se avessi saputo che non sarebbero riusciti a costruirla", dirà poi Einstein, "non avrei mosso un dito". Nel 1944, Rotblat riceve, dai servizi segreti la conferma che la bomba tedesca non vedrà mai la luce e si sfila, unico tra tutti gli scienziati coinvolti, dal Progetto Manhattan (il programma di ricerca che portò all'atomica). Quanto a Szilárd, si opporrà – sappiamo inutilmente – al lancio dell'atomica sul Giappone.
Ma torniamo al 1955: l'11 febbraio Russell scrive a Einstein suggerendo che gli uomini di scienza facciano "qualcosa di spettacolare per far comprendere alla gente e ai governi le catastrofi che possono esser causate [...] e sottolineare con forza l'idea che la guerra potrebbe significare l'estinzione della vita sul Pianeta". Einstein ha ormai capito il potenziale distruttivo degli armamenti nucleari, sottoscrive ogni parola e risponde proponendo una dichiarazione pubblica. Il filosofo la stende e in aprile Einstein la autografa. "Considerate voi stessi", si legge nel manifesto-appello, "solo in quanto membri di una specie biologica che ha avuto una storia considerevole e di cui nessuno desidera la scomparsa. Tutti sono in pericolo, e se il pericolo è compreso c'è speranza di poterlo collettivamente evitare".
Il potere della bomba-H. Come? "Imparando a pensare in un modo nuovo, a chiederci non quali passi intraprendere per dare la vittoria militare al proprio gruppo o a un altro, perché dopo non ci saranno passi ulteriori". La bomba-H poteva cancellare città come Londra, New York o Mosca, ma anche "spargere distruzione in un'area ben più vasta. Colpa della radioattività. Ordigni 2.500 volte più potenti di Little Boy impongono di rispondere alla domanda: metteremo fine alla razza umana, o l'umanità rinuncerà alla guerra? Poiché nessuno rifiuterà di ricorrere alla bomba-H pur di vincere, un patto per la rinuncia all'atomica e la riduzione degli armamenti sarebbe importante, ma non risolutivo. Se vogliamo salvarci, va abolita la guerra, non le armi". Firmato Einstein.