"Qui l'uomo completò la sua esplorazione della Luna, nel dicembre 1972. Possa lo spirito di pace nel nome del quale qui giungemmo riflettersi sulla vita di tutti gli uomini". Questo messaggio è inciso su una targa posta su una delle quattro zampe di atterraggio del modulo lunare dell'Apollo 17, l'ultima missione umana sulla Luna. Fu letto in diretta tv dal comandante Eugene Cernan (1934-2017), l'ultimo essere umano ad aver poggiato il proprio scarpone sulla superficie del nostro satellite. Ripercorriamo l'esperienza dell'astronauta attraverso l'articolo "Addio Luna" di Antonio Lo Campo, tratto dagli archivi di Focus Storia.
«Quando lasciammo la Luna, quel 14 dicembre del 1972 pensavamo che entro il Duemila sarebbe stato avviato un progetto concreto per farvi ritorno», raccontava Cernan. «Sapevamo che difficilmente vi saremmo potuti tornare in tempi brevi, entro la fine del millennio, poiché già nel periodo della nostra missione molti progetti anche ambiziosi venivano eliminati o "congelati" a causa dei tagli di bilancio, e il futuro appariva incerto».
Infatti le missioni Apollo, secondo i piani originali, avrebbero dovuto essere venti, ma si fermarono lì, con quel volo partito in ritardo all'ultimo istante, in piena notte e con uno spettacolo che a Cape Canaveral non si è più ripetuto, nonostante i lanci successivi degli space shuttle.
Spettacolo lunare. «Fu un grande spettacolo», ricordava Cernan. «Partimmo a quell'ora per via delle rispettive posizioni tra Terra e Luna, che indicavano come finestra di lancio favorevole quella che si apriva alle 21:53 della sera del 6 dicembre. Fu necessario stabilire procedure particolari, soprattutto per le possibili situazioni di emergenza durante le diverse fasi dell'ascesa verso l'orbita terrestre. Seguimmo una preparazione specifica, dove studiammo a memoria la posizione delle stelle e delle costellazioni; conoscendole bene, ti orientavi perfettamente: erano la nostra guida. Certo, in un lancio notturno non hai il vantaggio di vedere sotto di te l'immensità di un oceano, ma è comunque qualcosa di molto suggestivo».
E poi lo sbarco. L'allunaggio pilotato da Cernan nella Vallata di Littrows l'11 dicembre del 1972 e le escursioni con il suo collega Jack Schmitt sulla jeep lunare, il "Lunar roving vehicle", furono tra i momenti più emozionanti dell'era spaziale.
Rocce e bellezza. D'altra parte Jack Schmitt non si trovava lì per caso: era geologo e planetologo, e aveva fatto parte dello staff di scienziati che aveva preparato gli astronauti delle precedenti missioni Apollo alla parte geologica dell'esplorazione lunare.
«Sembrava un bambino quando entra in un negozio pieno di giocattoli», ricordava Cernan.
«Non sapeva dove girarsi a guardare, era eccitato. Lui era molto più impegnato a osservare le rocce e il suolo, ed era giusto così, visto che era stato mandato fin lì apposta per quello. Io invece guardavo più spesso la Terra, che era un pallone da calcio bianco e azzurro sospeso nel cielo nerissimo. Ed era luminosa... una visione incomparabile. Riflettevo molto sul perché di quel viaggio così straordinario nel tempo, nello Spazio e nella realtà; non mi saziavo mai nel vedere la Terra da quel posto eccezionale. E poi era divertente sapere che in Italia era notte fonda, mentre a Houston era l'ora di pranzo... lo vedevi con uno sguardo: era una fantastica macchina del tempo».
L'ultima impronta. Su una cosa, però, Cernan non transigeva. A chi insinua che in realtà fu Schmitt, e non lui, l'ultimo astronauta a metter piede sul nostro satellite risponde: «Nell'ordine cronologico dei dodici uomini che sono sbarcati sulla Luna sono l'undicesimo, è vero. Da questo punto di vista Jack Schmitt è stato il dodicesimo, scendendo dopo di me. Ma io sono stato l'ultimo a rientrare sul modulo lunare Challenger, al termine della nostra terza e ultima escursione, e quindi le ultime impronte sono le mie».
E a proposito di quest'ultima, irripetibile, esperienza aggiungeva: «Mentre risalivo per l'ultima volta i nove gradini del modulo lunare, mi girai a guardare le impronte: avrei voluto fermare il tempo! Forse ho vissuto quei momenti con emozione ancora maggiore di quando avevo mosso i primi passi sulla Luna, tre giorni prima».
Verso Marte. L'esperienza mise fine anche alla carriera astronautica di Cernan, che aveva vissuto la conquista della Luna fin quasi dall'inizio. «Vedendo partire, nel 1961, il razzo Redstone di Alan Shepard, che divenne il primo americano nello Spazio, capii subito che cosa volevo fare "da grande"», ricordava l'astronauta, che in quel periodo era pilota collaudatore di velivoli sperimentali per la Marina statunitense.
Poi, la grande occasione si presentò nel 1963, quando Cernan entrò a far parte del terzo gruppo di astronauti della Nasa. Nel 1966, con la missione Gemini 9, divenne il terzo astronauta a effettuare una passeggiata nello Spazio. E nel maggio 1969, a bordo del modulo dell'Apollo 10, si spinse fino ad appena 15 km dalla superficie selenica, in una missione preparatoria alla conquista vera e propria.
Base spaziale. Torneremo, prima o poi, sulla Luna? «Ne sono convinto, ma è difficile dire oggi quando e come», affermava Cernan, che insieme a Neil Armstrong (il primo ad aver messo piede sul nostro satellite) era stato chiamato nel 2009 a visitare il nuovo modulo Altair destinato al ritorno sulla Luna nell'ambito del programma Constellation, ideato nel 2004 dal presidente Usa George W. Bush e poi cancellato da Obama.
«Però credo che vi torneremo, soprattutto perché la Luna è un'ottima base per la ricerca scientifica e tecnologica. E infatti l'obiettivo, se bisogna tornare, è proprio di costruirvi una base permanente. Anche la conferma della presenza di ghiaccio ai poli, per potervi in futuro ricavare acqua, costituiscono argomenti a favore di chi pensa di installare sulla superficie lunare basi scientifiche, e persino un piccolo poligono di lancio per inviare navicelle verso Marte o gli asteroidi a costi e peso contenuti (a causa della ridotta gravità lunare, che è 1/6 di quella terrestre). Insomma, le opportunità dal lato scientifico sarebbero molte».
I pionieri. Cernan concludeva così: «In fondo, io stesso mi sono sentito un pioniere dei futuri colonizzatori della Luna. Si parla di basi e colonie. Sono stato sulla Luna per ben tre giorni, lassù avevo una casetta, che era il modulo lunare, avevo un lavoro da svolgere in orari prestabiliti, e persino l'automobile con cui spostarmi per chilometri. Tutto questo per sottolineare che già avevamo iniziato. E purtroppo non è stato colto in pieno il significato delle ultime e più evolute missioni lunari del nostro programma spaziale».
Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?