Andrew Mlangeni è stato un uomo combattivo e spiritoso, come racconta alla stampa il suo biografo, Mandla Mathebula. Nato nel 1925 a Bethlehem (Sudafrica), fu presto costretto ad abbandonare gli studi e ad andare a lavorare per sopravvivere. La sua lotta per i diritti inizò proprio allora, quando - da operaio e in seguito autista di autobus - decise di battersi contro lo sfruttamento. La sua storia non ha occupato le pagine dei giornali quanto quella di altri, ma non è meno importante.
Nel 1948 in Sudafrica entrò in vigore l'apartheid, il regime di segregazione razziale erede del colonialismo inglese, che comportò la negazione di diritti fondamentali, e deportazioni per le persone non bianche, nonostante fossero la maggioranza. Steven Biko (morto nel 1977) e Nelson Mandela (morto nel 2013) sono le figure più note della lotta contro la violenza di Stato, ma se negli anni Novanta i sudafricani tornano a essere liberi lo si deve anche a persone come Andrew Mlangeni. Anche lui trascorse parte della sua vita in carcere, ben 26 anni, ossia da quando nel 1963 il processo di Rivonia stabilì che fosse tra coloro che intendevano sabotare il governo sudafricano con atti di terrorismo. Quel processo è ricordato per lo splendido discorso di Mandela "Io sono pronto a morire", che non scrisse da solo, ma da solo pronunciò per spiegare al mondo che lui e i suoi sodali non avevano lottato invano e non intendevano smettere:
«Ho combattuto contro la dominazione bianca e ho combattuto contro la dominazione nera. Ho accarezzato l'ideale di una società democratica e libera, in cui tutte le persone vivano insieme in armonia e con pari opportunità. È un ideale per il quale spero di vivere e che spero di raggungere. Ma se sarà necessario, è un ideale per il quale sono pronto a morire»
Dopo la scarcerazione il loro partito, l'African National Congress, vinse le elezioni. Mandela diventò il primo presidente nero del Sudafrica e Mlangeni membro del Parlamento. Nonostante fosse un riferimento e gli siano stati dedicati molti riconoscimenti, Mlangeni non amava stare al centro dell'attenzione, e non a caso la sua biografia s'intitola The Backroom Boy, dove si presenta come una "spalla", una persona che lavora dietro le quinte: pubblicata solo nel 2017, è una testimonianza che parte dai primi anni Sessanta, quando Mlangeni seguì l'addestramento militare in Cina. "Be the legacy", sii tu l'eredità morale, è il messaggio che insieme a Mandela gli attivisti anti-apartheid ci consegnano.