Poco prima del suo definitivo abbandono, attorno all'800 d.C., Tikal, una delle più potenti città-stato dei Maya nel cuore della foresta del Guatemala, dava da bere alla sua classe dirigente acqua avvelenata da mercurio e alghe tossiche. Lo sostiene uno studio che ha analizzato i sedimenti delle principali riserve d'acqua dolce della città, e scoperto che due di quelle più grandi e centrali contenevano acqua troppo contaminata per essere potabile. La ricerca dell'Università di Cincinnati, che potrebbe spiegare una delle ragioni del declino di questa potenza, è stata pubblicata su Scientific Reports.
Vernici tossiche. La città, che nel periodo di massimo splendore arrivò ad ospitare 90.000 abitanti, non aveva altre riserve d'acqua se non quella piovana, raccolta in grandi serbatoi sotterranei nei quali, però, si accumulavano anche detriti e sporcizia. Gli archeologi hanno analizzato gli strati di sedimenti depositati a partire dalla metà dell'800 d.C., un periodo nero per molte città Maya, già alle prese con la pressione demografica, l'insufficienza dei raccolti e lunghi periodi di siccità. La spettrofotometria XRF (X-ray fluorescence spectroscopy), una tecnica di analisi che permette di conoscere la composizione chimica dei vari elementi di un campione, ha permesso di rilevare, insieme alla datazione al radiocarbonio, un progressivo accumulo di mercurio negli strati profondi di sedimenti delle due principali riserve d'acqua cui si attingeva nei periodi di grande siccità, la riserva del Palazzo e quella del Tempio.
A partire dal 600 d.C., la contaminazione di mercurio divenne sempre più imponente. I Maya di Tikal pagarono con la salute uno dei loro principali vezzi estetici, quello di decorare muri, templi, ceramiche e monumenti funembri con il cinabro, un minerale di color rosso vermiglio che non è altro, però, che un tossico connubio di zolfo e mercurio. Nel corso dei secoli, l'acqua dilavò il cinabro dalle pitture decorative, lasciando importanti residui di mercurio nelle riserve in cui defluiva.
Banchetti letali. Quelle stesse riserve pullulavano anche di cianobatteri, e in particolare di due tipi di alghe blu-verdi dalle fioriture tossiche, la Planktothrix e la Microcystis, legate all'alta presenza di fosfati, una spia di contaminazione dell'acqua con materiale organico come residui di cibo. Tra il 600 e l'830 d.C., i livelli di fosfato nella riserva idrica del Palazzo quadruplicarono, secondo gli archeologi, perché qui si trovava un'antica cucina che serviva i pasti alle élite residenti nell'Acropoli centrale, il principale complesso di edifici di lusso di Tikal.
I fumi di cucina, l'acqua di lavaggio dei piatti, ma soprattutto le montagne di spazzatura lasciate accanto agli edifici e bagnate dalla pioggia favorirono la proliferazione, nelle acque sempre più scarse, delle alghe dannose per il fegato, per gli occhi e la gola, e dagli effetti neurotossici.
Un problema da ricchi. Al contrario di quanto succede di solito (per un paragone moderno si pensi alle acque avvelenate di Flint, nel Michigan) questa contaminazione interessò soprattutto le classi più agiate, residenti nel centro di Tikal, accanto ai palazzi più riccamente decorati e con accesso a pasti luculliani. Ma poiché proprio dalla classe dominante ci si aspettava un'intercessione con gli dei per acque pulite e campi fertili, la siccità, la fame e le malattie dovettero segnare la fine di ogni presunta fortuna e, per molti, il tempo dell'abbandono. La maggior parte degli abitanti di Tikal non trovò valide ragioni per restare, e nel 950 d.C., la città era ormai ridotta a un elegante ammasso di rovine.