Storia

Il rapimento di Aldo Moro, uomo del compromesso

Il 16 marzo del 1978 un commando delle Brigate Rosse rapì Aldo Moro e uccise la sua scorta. Chi era il presidente della Democrazia Cristiana e che ruolo aveva avuto nella politica italiana?

Era il 16 marzo 1978, quando alle 9.02 del mattino, in via Fani, nel quartiere Trionfale a Roma, un commando delle Brigate Rosse, composto da 19 persone, rapì Aldo Moro, mentre si stava recando in parlamento per votare la fiducia al nuovo Governo, presieduto da Andreotti, e appoggiato anche dai comunisti. Iniziarono così 55 giorni di prigionia per Aldo Moro e di angoscia per l'Italia. Mettiamo a fuoco la figura dell'allora presidente della Democrazia Cristiana attraverso l'articolo "L'uomo del compromesso" di Federica Ceccherini e Pino Casamassima, tratto dagli archivi di Focus Storia.

Figura controversa. Dopo il rapimento Aldo Moro fu tenuto prigioniero per 55 giorni, poi venne ucciso e, solo successivamente, fu fatto ritrovare in una strada del ghetto ebraico, a pochi passi dalla sede del Partito comunista e da quella della Democrazia cristiana. Un luogo simbolico? A giudicare dal momento storico in cui avvenne parrebbe proprio di sì.

Dopo decenni di indagini, 5 processi, e 3 commissioni di inchiesta, il "caso Moro" è ancora oggi uno dei più controversi della nostra storia recente e secondo alcuni studiosi il mistero della sua fine non ha permesso di capire fino in fondo la sua figura storica. Ma chi era Moro e quale è stato il suo contributo alla politica dell'allora ancora giovane e fragile democrazia italiana?

La scalata. Di origini pugliesi, il futuro segretario della Dc era nato – secondo di 5 figli – nel 1916 a Maglie, paese del Salento, uno di quelli in cui trionfa il barocco leccese. La strada della sua casa di famiglia oggi porta il nome di quei tragici eventi, si chiama "Caduti di via Fani". Il cammino di Moro, laureatosi a soli 22 anni in giurisprudenza a Bari, sembrava segnato fin dai tempi dell'università: aveva una buona capacità dialettica, dote particolarmente indicata per un ruolo pubblico. Entrato infatti giovanissimo nella Federazione degli universitari cattolici (Fuci), su indicazione di Giovanni Battista Montini, futuro pontefice con il nome di papa Paolo VI (a cui avrebbe scritto anche durante il sequestro), ne divenne molto presto presidente nazionale.

Per capire il momento storico in cui mosse i primi passi in politica, basti pensare che nel 1938, quando divenne dottore in legge, il partito di cui fece parte in seguito non esisteva ancora. Lui stesso partecipò alle prime riunioni clandestine nel 1942 – in pieno regime fascista – con Alcide De Gasperi e Mario Scelba, che portarono poi alla fondazione della Democrazia cristiana (19 marzo 1943).

Carriera lampo. A soli 30 anni sedeva già nell'Assemblea Costituente che, nel 1946, dopo la guerra, ebbe il compito di redigere la Costituzione della neonata Repubblica.

Moro fu parlamentare per sette legislature, cinque volte presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, dell'Istruzione e della Giustizia, oltre che segretario e presidente del suo partito. nuovo corso.

Ma la sua personalità politica ebbe modo di rivelarsi diversi anni dopo la Costituente. Nel 1960 il governo del democristiano Fernando Tambroni, un ex fascista finito nella Dc, ottenne la fiducia con l'appoggio dei missini (membri del partito neofascista Movimento sociale italiano, Msi).

Tensioni in piazza. Contestatissimo e osteggiato dalle sinistre, il governo vacillò in seguito a quelli che sono ricordati come "i fatti di Genova del 30 giugno". Una manifestazione, indetta dalla Camera del lavoro nel capoluogo ligure per protestare contro l'annunciato congresso dell'Msi in città, finì in scontri aperti con la polizia. Subito dopo manifestazioni e disordini scoppiarono in molte altre città (con gravi conseguenze a Reggio Emilia, dove la polizia uccise 5 operai).

Così, dopo l'inevitabile caduta del governo Tambroni (a luglio) e il crescente malcontento nel Paese, Moro si convinse che fosse necessario un nuovo corso politico: era il momento di dare più spazio alla sinistra, ai socialisti.

Apertura a sinistra. Nonostante i malumori nel partito, al congresso di Napoli del 1962 passò la linea di Moro, l'unico che in quel momento sembrava capace di gestire il complicato scenario sociale. Il nuovo corso politico si concretizzò nel 1963 con un governo guidato proprio da Moro, che prevedeva la presenza del partito socialista (Psi) e dei socialdemocratici (Psdi). Al segretario socialista Pietro Nenni fu affidata la vicepresidenza. La formula del governo di centro-sinistra dette buoni frutti, sia con i tre governi Moro sia con i successivi. collaborazioni.

Strategie. Tuttavia quelli erano anni difficili e la società italiana alla fine degli anni Sessanta era in grande fermento. Moro si convinse allora che fosse necessaria un'altra svolta, questa volta più decisa: bisognava aprire un dialogo anche con i comunisti. Era giunto il momento che il partito di maggioranza prendesse in considerazione la partecipazione del secondo partito d'Italia per consensi, il Pci, nella gestione del governo. Moro la chiamò "strategia dell'attenzione" al fine di "rendere possibile, lasciando da parte ambiguità e comodità, il più ampio dialogo in vista di una nuova e qualificata maggioranza", affermò a Bari il 15 giugno 1969, durante il congresso regionale della Dc.

Le correnti. Nel 1973, il neosegretario del Partito comunista, Enrico Berlinguer, propose una collaborazione ai democristiani, trovando un alleato in Moro e nella sua corrente, i "morotei", considerata la sinistra del partito.

Assolutamente contrari erano invece i "dorotei" sostenuti da Giulio Andreotti. Vari motivi tuttavia spinsero la politica verso quello che è passato alla Storia come "compromesso storico" tra Pc e Dc: il timore di una deriva golpista, dopo il colpo di Stato in Cile del 1973 (Allende fu deposto dal generale Augusto Pinochet); la paura di perdere voti a causa della cosiddetta "strategia della tensione" iniziata nel 1969 con la strage di piazza Fontana a Milano e proseguita poi nel 1974 con quella di piazza della Loggia a Brescia e del treno Italicus a Bologna; le agitazioni di piazza e le amministrative del '75, quando Pci (33%) e Dc (35%) si trovarono a poca distanza.

epilogo tragico. Il 20 marzo 1978 prese vita un esecutivo di "compromesso" guidato da Giulio Andreotti e appoggiato dal Pci. Ma quattro giorni prima era successo qualcosa di drammatico: il presidente della Dc era stato rapito dalle Br. Quella organizzazione che andava sotto il nome di Brigate Rosse, formatasi nel 1970, che all'inizio fu sottovalutata dall'opinione pubblica e dallo Stato, ora con il rapimento, e successivamente con l'uccisione, di Aldo Moro, faceva paura.

Gli anni che seguirono furono politicamente e socialmente complicati, l'esecutivo del 20 marzo finì dopo un anno e con esso ogni forma di collaborazione tra democristiani e comunisti. Il compromesso storico naufragò dopo la tragica morte del suo artefice.

Questo articolo è tratto da Focus Storia. Perché non ti abboni?

16 marzo 2023 Focus.it
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