Storia

Afghanistan, la terra che non si è mai piegata a un padrone

Afghanistan: ecco perché nessuno straniero, dai sovietici agli americani, è mai riuscito a portare stabilità in questa terra.

Dal 15 agosto 2021 l'Afghanistan non esiste più. Ora si chiama Emirato Islamico dell'Afghanistan. Il presidente de facto è il mullah Abdul Ghani Baradar. La nuova offensiva talebana è partita a maggio 2021: in poche settimane le milizie islamiche hanno conquistato le principali città afgane e infine Kabul. Gli Stati Uniti e le forze Nato stanno completando il ritiro delle truppe dopo vent'anni di presenza nel Paese, l'esercito regolare si è disfatto e la popolazione civile sta cercando di scappare in massa verso Occidente. Ai talebani sono bastati pochi combattimenti per riconquistare il potere che avevano perso nel 2001, quando una coalizione di Paesi, guidata dagli Usa, rovesciò il regime talebano alleato di Osama Bin Laden, leader di Al Qaeda, ritenuto il principale responsabile degli attentati dell'11 settembre negli Stati Uniti. Ma mantenere sotto controllo questa terra è estremamente difficile, quasi impossibile. Vediamo storicamente il perché…

Afghanistan - Bambini a Kabul
Bambine afghane a Kabul, 1 agosto 2021. © Trent Inness / Shutterstock

La terra degli indomabili. Quando Allah creò il mondo, raccolse le pietre avanzate e le scaraventò sulla Terra: fu allora che, secondo la leggenda, prese forma l'Afghanistan. Incastonato nel cuore dell'Asia, questo sperduto "mucchio" di rocce ha ospitato, nel corso dei secoli, guerriglieri forgiati dalle avversità naturali e insofferenti a ogni dominazione. Alcuni degli eserciti più potenti l'hanno attaccato nei secoli, ma nessuno ha avuto vita facile.

È per questo che il territorio afghano si è guadagnato il soprannome di "tomba degli imperi". Attraversato dall'imponente catena montuosa dell'Hindu Kush, l'Afghanistan è costellato da cime che superano i 7mila metri, è privo di sbocchi sul mare e il territorio è in buona parte costituito da deserti aridi e rocciosi. Fin dai tempi antichi la popolazione si è concentrata nelle vallate più fertili, dedita all'agricoltura e alla pastorizia. In una estenuante lotta per la sopravvivenza, vista la scarsità di risorse e il clima difficile.

Un crocevia difficile da gestire. Tutto ciò ha reso gli afghani tenaci e diffidenti, oltre che in perenne contrasto tra loro. «Nelle montagne più remote esistono tribù che non solo non sono mai state conquistate, ma che non hanno mai visto radicarsi un potere interno», racconta lo storico Stephen Tanner, autore del libro Afghanistan, a Military History. Fin dall'antichità, le regioni afghane sono state uno snodo fondamentale delle rotte carovaniere tra Oriente e Occidente, la cosiddetta "Via della Seta", e hanno attirato per questo i famelici appetiti degli imperi confinanti.

Persiani, greci, arabi, mongoli e indiani hanno contribuito a farne un crogiuolo di etnie, tanto che ancora oggi, accanto alla maggioritaria pashtun, se ne contano almeno altre 13, tra cui spiccano quelle tagika, uzbeca, hazara, turkmena.

Afghanistan - Una protesta in solidarietà alla popolazione civile
Una protesta contro il regime talebano, 14 agosto 2021. © meandering images / Shutterstock

Un satrapo ribelle. Uno dei primi condottieri a fare i conti con l'inespugnabilità afghana fu Alessandro Magno, che nel 330 a.C. scatenò nel Paese una caccia all'uomo degna di quella lanciata contro Osama Bin Laden. Il macedone aveva da poco sconfitto il re di Persia Dario III e si sentiva il nuovo padrone del suo impero, che comprendeva varie province (o satrapie), in area afghana. Gli ambiziosi signorotti locali gli misero però i bastoni tra le ruote. «Ad attendere l'armata macedone c'erano alcuni dei satrapi che avevano assassinato Dario, tra cui Satibarzane, capo dell'Aria, regione a ovest, e Besso, satrapo della Battriana, a nord», spiega l'esperto.

Il ricercato numero uno era proprio quest'ultimo, spalleggiato da 7.000 cavalieri battriani e reo di essersi proclamato a sua volta Gran Re. Nel 329 a.C., dopo un epico inseguimento e un'avventurosa traversata dell'Hindu Kush, il macedone lo colse di sorpresa, uccidendolo dopo atroci torture. La resistenza continuò per altri due anni, ma alla fine Alessandro riuscì a prevalere, fondando nuovi insediamenti, tra cui Herat e Kandahar. Nel 327 a.C., aveva inoltre sposato la principessa battriana Rossane, figlia di Ossiarte, satrapo successore di Besso.

Parola d'ordine: resistenza! Pur travolte da orde ostili, le popolazioni afghane hanno sempre dimostrato un'incredibile tenacia, vendendo cara la pelle e pagando un alto tributo di sangue. Come quello reso al mongolo Gengis Khan, che nel XIII secolo si distinse per massacri e distruzioni. Quella volta a opporsi fu un carismatico condottiero, Jalal alDin Mankubirni, sovrano dell'Impero corasmio (regno persiano-musulmano esteso dalla Persia all'Asia Centrale), che inflisse ai Mongoli una storica batosta a Parvan, nel 1221. «Fu una "vittoria di Pirro", perché subito dopo l'esercito di Jalal al-Din fu dilaniato da lotte intestine tra componenti turche e pashtun, con questi ultimi che abbandonarono il sovrano per tornare sui monti», spiega Tanner.

Gengis Khan, per rappresaglia, rase al suolo intere città un tempo fiorenti, come Balkh e Ghazni. Più di trecento anni dopo, quando buona parte dell'Afghanistan era ormai in mano alla dinastia indiana dei Moghul, l'orgoglio pashtun fu risvegliato dell'eroico poeta-guerriero Khushal Khan Khattak, che dedicò la propria vita alla lotta per l'unificazione delle rissose tribù di questa etnia, di cui lui stesso faceva parte.

Nato nel 1613 e inizialmente al servizio dei Moghul, dopo essere stato per anni loro prigioniero (fino al 1668), guidò i vari clan delle montagne all'insurrezione, umiliando più volte i dominatori sul campo di battaglia.

Un bagno di sangue anche per gli inglesi. Due secoli più tardi, nel XIX secolo, gli afghani dovettero lottare contro un altro nemico estremamente ingombrante: l'Impero britannico. Per tutto il secolo gli inglesi si contesero con la Russia il dominio dell'Asia Centrale, in quello che sarà chiamato il "Grande Gioco". Fu in questo contesto che, nel 1839, per frenare la crescente influenza russa, i britannici, che già controllavano l'India, penetrarono in Afghanistan, occuparono Kabul e detronizzarono l'emiro al potere, Dost Mohammed.

L'arroganza degli inglesi esasperò però la popolazione locale, alla cui guida si pose, nel 1841, Mohammed Akbar Khan, figlio spregiudicato e crudele del sovrano detronizzato. Vittima delle sue trame fu una delle massime autorità inglesi, William Hay Macnaghten, ucciso a tradimento durante un incontro. Il cadavere di Macnaghten fu poi decapitato in piazza, quindi la testa e gli arti furono fatti sfilare in una macabra processione per le strade di Kabul. Ma era solo l'inizio. Sentendosi in trappola, nel 1842 il comandante britannico William Elphinstone decise di evacuare i suoi connazionali, compresi donne e bambini, concordando con gli afghani un salvacondotto.

Fu un errore fatale: mentre era in marcia per Jalalabad, la colonna di britannici venne circondata dai guerriglieri afghani e massacrata. Su 16mila persone partite, soltanto un inglese e una manciata di indiani arrivarono a Jalalabad. Gli altri, in gran parte civili, furono uccisi o fatti prigionieri. Un bagno di sangue che rimase a lungo impresso nell'immaginario collettivo degli inglesi, i quali rientrarono nel Paese solo sul finire del secolo instaurandovi un parziale protettorato.

Afghanistan - Massoud
Francobollo francese del 2003 con l’effige di Massoud. © Neftali / Shutterstock

La Storia si ripete: il Vietnam russo. In tempi più recenti, pur dilaniati dai soliti conflitti intestini, gli afghani non hanno temuto neanche la forza militare di una superpotenza come l'Urss, che nel 1979 invase il Paese per sostenere il traballante governo filosovietico, alle prese con una rivolta ispirata dai mullah, o capi religiosi. Giunti in poco tempo a Kabul, i sovietici rimasero invischiati in una durissima guerra contro i mujaheddin (combattenti per la patria), che arroccati sui monti sfiancarono i soldati russi con imboscate e sabotaggi.

Foraggiato da Usa, Arabia Saudita e Iran, il fronte antisovietico poteva contare sia su pericolosi fondamentalisti, come il saudita Osama Bin Laden, sia su personaggi eroici, come il tagiko Ahmad Shah Massoud, figura simbolo della resistenza.

Leader di gran fascino originario dei monti del Panshir, Massoud dimostrò innate doti strategiche guidando i mujaheddin in fulminee azioni "mordi e fuggi". Beffò l'Armata rossa con trappole esplosive e altri stratagemmi che trasformarono l'Afghanistan in un "Vietnam russo". Così, nonostante la superiorità tecnologica e il massiccio uso dei bombardamenti aerei, nel 1989 i sovietici furono costretti a ritirarsi, lasciando dietro di sé un'immane scia di sangue.

A fronte di 15mila caduti russi, si contarono infatti più di 1,5 milioni di afghani morti, quasi 3 milioni di mutilati e una marea di profughi. lotte intestine. «Quando gli afghani hanno agito per una causa comune, la loro nazione non è mai stata soggiogata dallo straniero; tuttavia il popolo afghano sa unirsi solo di fronte a una minaccia esterna: lasciati a loro stessi, invece, gli afghani si sono sempre combattuti tra loro», avverte Tanner. E così fu dopo la cacciata dei sovietici, allorché Massoud si ritrovò a lottare contro la frangia estrema dei talebani, gli "studenti coranici" saliti al potere nel 1996. Massoud condusse la sua ultima battaglia sulle alture del Panshir, guidando l'Alleanza del Nord, il fronte della resistenza antitalebana.

Fu ucciso in un attentato il 9 settembre 2001: con l'epiteto di "leone del Panshir", era già una leggenda. Due giorni dopo la sua morte, gli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono furono la premessa per l'ennesima invasione dell'Afghanistan, stavolta da parte di una coalizione a guida Usa, volta a rovesciare i talebani. Oggi che il Paese è di nuovo in mano ai talebani suona profetica, e ancora attuale, la risposta che due secoli fa l'anziano capo di una tribù locale diede al generale britannico Elphinstone, che voleva convincerlo ad accettare i vantaggi di un governo stabile: "Ci adattiamo alla discordia, ai disordini e al sangue, ma non ci adatteremo mai a un padrone".

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Questo articolo è tratto da "La tomba degli imperi" di Massimo Manzo, pubblicato su Focus Storia 146 (dicembre 2018) disponibile solo in formato digitale. Leggi anche l'ultimo numero di Focus Storia ora in edicola.

19 agosto 2021
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