Storia

Joe Biden, il 2020 e la maledizione dell'anno zero

Joe Biden è stato eletto nel 2020. E torna alla memoria un'incredibile leggenda sui presidenti Usa nata in seguito all'assassinio di Abraham Lincoln. Perché fu solo il primo.

A Washington gira una strana storia su un'inquietante maledizione, detta dell'anno zero, che colpirebbe i presidenti degli Stati Uniti eletti negli anni che terminano con la cifra "zero". E anche se ovviamente (quasi) nessuno ci crede, ecco che se ne torna a parlare con Joe Biden: è stato eletto, infatti, nel 2020, e ed è entrato alla Casa Bianca il 20 gennaio 2021 con una cerimonia in cui sono state adottate eccezionali misure precauzionali. No, la maledizione non c'entra, ma l'assalto al Congresso del 6 gennaio da parte dei sostenitori del presidente uscente Donald Trump, sì.

Anatema del capo indiano. Secondo quest'antica leggenda, il capo indiano Tecumseh, per vendetta, avrebbe lanciato un anatema sulla Casa Bianca, per far sì che i presidenti spirassero prima della fine del loro mandato. Erano i primi anni dell'Ottocento e fino a oggi l'inverosimile maledizione si sarebbe rivelata efficace su quattro presidenti. Tutti morti assassinati, ed effettivamente eletti in un anno che terminava con lo "zero": Abraham Lincoln (entrato alla Casa Bianca nel 1860), James Garfield (1880), William McKinley (rieletto nel 1900) e infine John F. Kennedy (1960). Insomma, tra complotti, attentati, omicidi e maledizioni gli inquilini dello Studio Ovale non hanno mai avuto vita facile.

Il 14 aprile del 1865, Abraham Lincoln, primo presidente repubblicano, subì un attentato in un teatro da parte del sudista John Wilkes Booth, alla fine della Guerra di Secessione. L'omicidio si rivelò concepito in modo da vendicare il Sud sconfitto: la morte di Lincoln ebbe gravi conseguenze politiche, originando una crisi istituzionale, dopo che il suo vice, il democratico Andrew Johnson, arrivò alla presidenza. Lincoln aveva scelto Johnson come vice proprio in un'ottica di pacificazione e inclusione verso i territori meridionali. Questo determinò un forte astio del Congresso (in mano ai repubblicani radicali) verso il nuovo presidente. Astio che, nel 1868, sfociò in un processo di impeachment nei suoi confronti.

Inquietanti analogie. Al di là delle questioni politiche, gli elementi inquietanti in questa vicenda della maledizione non mancano. Soprattutto in termini di analogie con il caso J. F. Kennedy. Sia Lincoln sia Kennedy furono colpiti alla testa ed entrambi furono sostituiti da un vice chiamato Johnson. Tutti e due furono uccisi di venerdì per mano di un sudista. Booth (l'assassino di Lincoln) era nato nel 1838, mentre Oswald (l'assassino di Kennedy) nel 1938. Booth fu catturato in un magazzino dopo essere fuggito da un teatro. Oswald fu catturato in un teatro dopo essere fuggito da un magazzino.

Solo una serie di coincidenze? Chissà che cosa ne penserebbe il vecchio Tecumseh.

Eletto per la prima volta nel 1896, il repubblicano William McKinley (1843-1901) portò avanti un programma economico di stampo protezionista e una politica estera espansionistica. Per la prima volta, gli Stati Uniti abbandonavano l'isolazionismo della vecchia dottrina Monroe (che sanciva la volontà degli Usa di non intromettersi nelle dispute internazionali), assumendo un atteggiamento "aggressivo" verso l'esterno. In questo senso, il presidente guidò una guerra contro la Spagna che portò sotto l'influenza statunitense Porto Rico, le Filippine, Guam e Cuba.

McKinley fu rieletto nel 1900, ma grazie alla sua popolarità era sempre stato restio ad avvalersi dei servizi di sicurezza e così, il 6 settembre dell'anno successivo, durante una visita a Buffalo, fu ucciso dall'anarchico Leon Czolgosz, punito poi con la sedia elettrica. L'improvvisa morte di McKinley catapultò alla presidenza il suo vice, Teddy Roosevelt che non aveva mai stimato granché il presidente, e che era stato messo alla vicepresidenza proprio dai vertici del Partito Repubblicano nell'intento di arginarne l'esuberanza politica. Le cose non andarono secondo i loro piani: perché iniziò, con lui, una delle presidenze più incisive della Storia americana.

J.F.K., l'ultima vittima. Nel 1963, il presidente Kennedy si trovava in una situazione difficile. Non godeva di grande popolarità, molte promesse erano state disattese e, nel Partito Democratico iniziavano a esserci dubbi su una sua rielezione. Il 22 novembre di quell'anno, a Dallas, venne ucciso a colpi di fucile mentre si trovava a bordo della limousine del corteo presidenziale. A sparare fu Lee Harvey Oswald: operaio di simpatie sovietiche, fu arrestato nel giro di poche ore, per poi finire a sua volta ucciso, due giorni dopo, per mano di Jack Ruby.

L'America era sotto shock: l'assassinio era avvenuto in diretta televisiva ed erano 62 anni che un presidente americano non veniva ucciso. Il successore Lyndon Johnson incaricò il capo della Corte Suprema, Earl Warren, di guidare una commissione di inchiesta per fare luce sull'accaduto. Ma le polemiche non si placarono: molti non erano d'accordo sulle conclusioni della Commissione Warren, secondo cui Oswald avrebbe agito da solo. Nel 1976 la Camera dei Rappresentanti formò una nuova commissione in cui si stabilì che Oswald avesse agito nel contesto di una macchinazione più ampia. Anche i file declassificati nel 2017 dal presidente Donald Trump non hanno aggiunto molti tasselli al puzzle, eccetto il fatto che l'Fbi sarebbe stato allertato sulla possibilità che Oswald venisse ucciso dopo l'arresto, avvertimento stranamente ignorato.

Tratto dall'articolo Presidenti nel mirino di Stefano Graziosi, pubblicato su Focus Storia n. 141

20 gennaio 2021
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