Storia

5 maggio 1821: così moriva Napoleone 

Il 5 maggio 1821, Napoleone Bonaparte morì in esilio a Sant'Elena. Il lento declino raccontato nel suo Memoriale chiarisce il mistero di quei giorni.

5 maggio 1821: Napoleone chiude gli occhi per sempre. È sull'isola-prigione di Sant'Elena, uno scoglio sperduto nell'oceano Atlantico, a 1.900 km dalla costa africana. Ad assicurarsi lo scoop è il giornale inglese The Statesman, nell'edizione del 4 luglio 1821: due mesi dopo l'evento. Da qui, la notizia si diffonde in tutta Europa: l'11 luglio a Parigi, il 13 a Vienna, il 16 a Milano, il 19 a Torino e così via. Eppure l'illustre dipartita è accolta con una certa indifferenza, sia in Inghilterra sia a Parigi.

il Memoriale di Napoleone. La contessa de Boigne, animatrice di salotti fra Londra e Parigi, ricorderà nelle sue Memorie: «Uomini del popolo, piccoli borghesi si incontravano per strada stringendosi la mano piangendo, ma la massa dell'opinione pubblica, schierata con la monarchia, felice della pace e della prosperità ritrovata, rimase inerte». I tempi erano cambiati: l'Europa del 1821, nata dal Congresso di Vienna, non era più quella del 1815, e Napoleone non faceva più notizia. L'interesse nei confronti dell'ex imperatore si risvegliò solo due anni più tardi, sull'onda dello straordinario successo del Memoriale di Sant'Elena, dettato in gran parte da Napoleone, con l'aggiunta, da parte di Emmanuel de Las Cases (funzionario e amico dell'imperatore), di particolari della vita in esilio.

Ritratto del giovane Napoleone
Napoleone Bonaparte nel 1792, quando era tenente colonnello del 1° battaglione della Guardia nazionale della Corsica in un ritratto di Henri Félix Emmanuel Philippoteaux (1815 - 1884). © Wikimedia Commons

Le reazioni nella famiglia imperiale furono invece immediate. Scrive lo storico francese Thierry Lentz nel suo libro Bonaparte n'est plus! (Editions Perrin, in francese): «Paolina era sopraffatta, Ortensia e i suoi cari erano rattristati e Letizia esitava a chiedere la restituzione delle spoglie del figlio per timore degli alti costi». Più sollevata che affranta era la vedova, Maria Luisa, che l'8 agosto del 1823 poté finalmente regolarizzare con un matrimonio morganatico la relazione con il generale Neipperg, dal quale aveva avuto due figli mentre Bonaparte era in esilio e un terzo era in arrivo.

L'amore del figlio. Ma era il giovane Napoleone II, figlio di Maria Luisa e dell'imperatore, il più fragile. Condannato anche lui a un esilio dorato presso la corte del nonno materno (l'imperatore Francesco II d'Asburgo-Lorena), non aveva dimenticato suo padre, che si era sempre dimostrato molto affettuoso nei suoi confronti. Comunque molto più di sua madre Maria Luisa, che aveva lasciato presto la corte e il figlio piccolo per stabilirsi a Parma, di cui era duchessa. A sette anni il bambino, cresciuto praticamente soltanto in compagnia di severissimi precettori, scrisse: «Padre, vi amo e vi stimo con tutto il mio cuore».

Poche ma preziose parole che confortarono l'imperatore in esilio nei momenti più duri della malattia, e che Napoleone custodì gelosamente insieme al piccolo busto in marmo del figlio e ai ritratti di Letizia (la madre) e di Giuseppina di Beauharnais (la prima moglie). I suoi unici veri affetti.

Questo articolo è tratto da

Questo articolo è tratto da "Fine di un imperatore", di Silvia Buchi, pubblicato su Focus Storia 175 (maggio 2021), disponibile solo in versione digitale. Leggi anche il nuovo Focus Storia in edicola!

© focus

Per quasi sei anni, dal dicembre 1815, l'uomo che aveva segnato i destini d'Europa visse in un'abitazione su quell'isola in mezzo al nulla dal clima malsano, caldo e umido, flagellata da venti fortissimi e senza nessuna comodità. «È infame!», urlava Napoleone, «È una barbarie selvaggia avermi messo qui, sotto un tetto di carta incatramata, quando si poteva alloggiarmi in un'abitazione dove avrei trovato ombra e acqua», riporta nelle sue Memorie Louis Marchand, il fedele primo valletto di camera e suo esecutore testamentario.

Topi, insetti e zanzare. La casa era infestata da insetti e zanzare, e soprattutto da «topi che salivano sulle pareti fino in alto lanciandosi, qualche volta con successo, sulle carni appese al soffitto», racconta Marchand. Il circondario era sorvegliato costantemente dai gendarmi agli ordini dall'ostile governatore britannico Hudson Lowe, terrorizzato all'idea che il prigioniero sfuggisse al suo controllo (in fondo, dall'Elba Napoleone era scappato) e deciso a non rivolgersi mai a Bonaparte con il titolo di imperatore. In quel contesto, la salute di Napoleone non poteva che peggiorare rapidamente. Il suo medico personale, l'irlandese O'Meara, gli diagnosticò un'epatite cronica. Napoleone era invece convinto di avere un tumore del piloro, il male che aveva ucciso suo padre. Nel 1818 il dottore fu costretto a lasciare Longwood House, perché Lowe non approvava la sua crescente familiarità con il prigioniero.

Napoleone mantenne a Sant'Elena un'etichetta rigida, come se fosse ancora a corte, imposta a una cerchia ristretta di fedelissimi. Due di questi, per motivi diversi, tornarono prima degli altri in Europa: Emmanuel de Las Cases e il generale Gaspard Gourgaud. A Longwood House rimasero, tra i francesi, due militari con le rispettive famiglie, Bertrand e Montholon. «Henri Bertrand era stato gran maresciallo di palazzo dal 1813 al 1815 e conservava il titolo, anche se il palazzo ormai non c'era più», scrive ancora nel suo libro Thierry Lentz. «Charles Montholon, che gli inglesi chiamavano ironicamente lord chamberlain (lord ciambellano) era un intendente generale che si occupava delle relazioni con le autorità e dell'approvvigionamento».

la camera dell'imperatore Malato. Alla numerosa servitù soprintendeva infine il premuroso premier valet de chambre, Marchand.

Per rimpiazzare il dottor O'Meara, il 22 settembre 1819 arrivò a Sant'Elena il chirurgo còrso Francesco Antommarchi, accompagnato dagli abati Buonavita e Vignali. Marchand introdusse il medico nella stanza del malato: l'imperatore giaceva a letto in una «camera piccola e oscurissima», ricorda Antommarchi nelle sue Memorie: «Avvicinatevi, corsaccio, perché su questa meschina roccia io sono diventato sordo», disse Bonaparte rivolgendosi a lui in italiano, con tono scherzoso e tirandogli l'orecchio, un segno inequivocabile di buon umore. Ma le parentesi di serenità a Sant'Elena duravano poco.

Napoleone Bonaparte nel 1807
"L'imperatore Napoleone I nel suo studio nel 1807", di Paul Delaroche (1797–1856). © Wikimedia Commons

Le pillole mercuriali usate frequentemente dai medici che lo curarono non fecero che peggiorare la situazione. A 51 anni Napoleone ne dimostrava venti di più: era molto sovrappeso e, nelle rare uscite in giardino, doveva appoggiarsi al braccio del fedele Marchand. «Le mie gambe sono gonfie», si sfogava con Bertrand, «ho un inizio di scorbuto nella bocca; è una dissoluzione del sangue che annuncia quello che sta per succedere. Il mio aspetto spaventa tutti quanti». In aprile il male (un'ulcera cancerosa: fu questa infine la causa di morte) si manifestò in tutta la sua violenza: crampi allo stomaco, vomito, vertigini, sudori abbondanti.

l'ultimo respiro. Per mettere a suo agio il malato, fu montato il suo letto da campo nel salone, più grande e meglio areato della sua piccola stanza. E fu lì che, nel pomeriggio del 3 maggio, l'abate Vignali gli somministrò l'estrema unzione. Ormai da giorni «non tocca cibo, né medicine», annotava Antommarchi: «solo un po' di acqua zuccherata con vino o succo d'arance». La notte fra il 4 e il 5 maggio fu agitatissima: Napoleone delirava, parlava a stento, pronunciava parole incomprensibili. Mormorò "la France, l'armée, tête d'armée, Joséphine». Poi più nulla. La piccola corte dal mattino presto si era radunata per assisterlo fino alla fine. Il polso era ormai debolissimo e dopo il tramonto, alle cinque e undici minuti, l'imperatore dei francesi esalò l'ultimo respiro.

4 maggio 2021
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