Roma visse per prima in Italia il dramma della liberazione. Prima bombardata dagli Alleati, poi in mano ai nazisti, venne liberata solo tardivamente dagli americani il 4 giugno 1944. La città che credeva di essere inviolabile fu dichiarata addirittura città aperta: ecco cosa significava questo termine giuridico che ispirò il film di Roberto Rossellini Roma città aperta.
«E mo' questi 'ndo vanno?». Naso all'insù, è questo quel che si domandarono molti romani quando, la mattina del 19 luglio 1943, videro luccicare in cielo uno stormo di bombardieri angloamericani, già convinti che, come altre volte, fossero diretti altrove. D'altronde, chi mai avrebbe osato colpire la Citta eterna, la sede del Vaticano e del Colosseo? Stavolta, però, gli aeroplani non andavano ma venivano. Roma non era più intoccabile e un'inaspettata pioggia di bombe si abbatté sul quartiere di San Lorenzo, sul cimitero del Verano, sull'università e su molte altre aree civili, per una conta finale di oltre duemila morti. Sei giorni dopo, il 25 luglio, moriva anche il fascismo, con le dimissioni di Mussolini e la nascita del governo di Pietro Badoglio. Iniziava una nuova era, che per la città dei Sette colli assunse immediatamente i contorni di un incubo.
liberazione: un inizio da incubo. Roma città aperta, ma a chi? «Il 14 agosto Roma fu dichiarata da Badoglio città aperta», spiegava Roberto Maffioletti (1927-2015), partigiano della Resistenza romana e autore del saggio-testimonianza La scelta. Roma 1943-1944 (GBEditoriA). «Con tale termine giuridico si indicava che la città era "concessa" al nemico (a quel tempo gli angloamericani) senza opporre resistenza militare, al fine di tutelarne i cittadini e il patrimonio artistico». Dopo l'annuncio dell'armistizio tra Italia e Alleati (l'8 settembre), le truppe naziste invasero però la città, mentre il re Vittorio Emanuele III si rifugiò a Brindisi e vi trasferì provvisoriamente il governo del Regno. Gli Alleati decisero allora di non riconoscere il nuovo status di Roma che, ormai piena di tedeschi, divenne un obiettivo strategico oltre che simbolico.
L'Italia si ritrovò così divisa in due. Ma Roma significava anche Vaticano. Dove a sudare freddo c'era papa Pio XII, che il giorno dei bombardamenti alleati aveva consolato i romani davanti al Verano e ora osservava i soldati tedeschi posizionarsi sul limitare di Piazza San Pietro con i mitra puntati verso la parte "laica" dell'Urbe (Hitler aveva ordinato di non violare la zona vaticana).
«Lo scenario di Roma si fece drammaticamente anomalo», proseguiva Maffioletti: «La capitale era infatti stata aperta all'ex nemico angloamericano (con cui l 'Italia era ora cobelligerante), ma era tenuta in scacco dai nazisti (fedeli alleati fino a pochi giorni prima) e ancora piena di militanti fascisti».
La dura vendetta dei nazisti. «Con gli Alleati ancora impantanati in Campania, i tedeschi ebbero la strada spianata per mettere al giogo la città, e dopo aver prescritto divieti come il ricorso al mercato nero e l'ascolto di radio nemiche, avviarono i rastrellamenti per ottenere forza lavoro», spiega lo storico americano Robert Katz. Quanto alla sorte degli ebrei romani, fin dai primi giorni circolarono voci che suggerivano loro di nascondersi o fuggire, ma quasi nessuno lo fece. «Di fronte all'antisemitismo tedesco il Papa aveva scelto una diplomatica "politica del silenzio"», spiega Katz: «così il 16 ottobre il ghetto ebraico di Roma, uno dei più antichi del mondo, fu teatro di un rastrellamento ai danni di oltre mille sventurati».
Salvati dai cittadini. Chi riuscì a sfuggire alla retata fu tenuto nascosto da cittadini e preti di buon cuore, ma a complicare le cose ci si misero alcuni fanatici del duce che formarono bande irregolari e catturarono decine di antifascisti ed ebrei, seviziandoli poi nei sotterranei di Palazzo Braschi (in Piazza Navona), dove aveva anche sede il Partito fascista repubblicano (fedele alla Repubblica di Salò fondata da Mussolini il 23 settembre). Sostenuto dalle SS era invece il sadico Pietro Koch, ex granatiere messo a capo di un drappello di uomini (la "banda Koch"), artefice di nefandezze come l'assalto del 4 febbraio 1944 al convento della Basilica di San Paolo, dove furono arrestate 67 persone.
«In risposta alle crudeltà nazifasciste il partigiano Comitato di liberazione nazionale, nato subito dopo l'armistizio, aveva intanto messo in piedi una rete di unità combattenti, coordinate da una giunta militare e pronte a compiere agguati e sabotaggi», spiegava Maffioletti, «come le imprese dei Gruppi d'azione patriottica - Gap - che operavano nell'orbita del Partito comunista».
La resistenza arriva dal basso. A partire dall'autunno si registrarono sempre più numerosi gli attentati partigiani, condotti spesso con tipici chiodi a quattro punte, perfetti per forare i copertoni dei convogli nazisti, fabbricati in segreto da eroi popolari come il fabbro trasteverino Enrico Ferola. «In questo clima, il 22 gennaio 1944 giunse la notizia che gli Alleati erano sbarcati ad Anzio, a sud di Roma.
L'eco dello sbarco spinse molti partigiani a uscire allo scoperto», ricordava Maffioletti, «e questo favorì il lavoro della Gestapo, che divenne più veloce negli arresti».
Molti si rifugiarono allora nelle periferie, infoltendo le file dei combattenti delle borgate: da Centocelle al Quadraro e fino al Quarticciolo, dove divenne celebre Giuseppe Albano, artefice di rocamboleschi assalti ai forni del pane. In centro, in via Veneto, c'era invece il parrucchiere René, che aveva tra i suoi clienti gerarchi nazisti ai quali carpiva informazioni per conto dei partigiani. «In modo spontaneo, spesso in reazione all'arroganza tedesca, aveva preso corpo una rete di Resistenza urbana che anticipò il movimento partigiano del Nord Italia», diceva Maffioletti.
L'aiuto tardivo degli americani. Dei liberatori, dopo lo sbarco, in città non si vide traccia troppo a lungo. Un romano spiritoso scrisse su un muro di Trastevere: "Americani, tenete duro, che presto verremo a liberarvi". Nell'attesa, il 23 marzo, un attentato gappista in via Rasella, vicino al Quirinale, costò la vita a 32 tedeschi. La Gestapo ordinò la rappresaglia: dovevano essere uccisi 10 italiani per ogni caduto (e al conto aggiunsero anche un soldato morto altrove). L'elenco finale incluse ecclesiastici filopartigiani come don Pietro Pappagallo, la cui storia ispirò (insieme a quella del sacerdote Giuseppe Morosini) il personaggio interpretato da Aldo Fabrizi nel film di Roberto Rossellini Roma città aperta (1945). Il 24 marzo, presso alcune cave di pozzolana lungo la via Ardeatina (da cui il nome di Fosse Ardeatine), furono brutalmente fucilate, sotto il comando dell'SS Herbert Kappler, 335 persone - cinque più del previsto.
Mentre la notizia si diffondeva, i nazisti strinsero ancora di più il pugno della repressione. «In pochi giorni la "banda Koch" arrestò chiunque fosse accostabile alla Resistenza e si procedette a ridurre le razioni di pane, affamando la città», spiega Katz. Per di più, gli Alleati bombardavano qualunque cosa si muovesse, compresi i convogli alimentari. Già messi in pentola i gatti romani (cosi narra la leggenda), alcune donne assaltarono i forni del pane, causando una nuova reazione dei nazisti, che il 17 aprile rastrellarono il Quadraro deportando nei lager circa mille persone (metà delle quali non tornò a casa). Circolò anche voce che, in caso di arrivo degli americani, i tedeschi sarebbero stati pronti a far saltare in aria la città. Che fosse solo una voce fu certo solo quando, il 4 giugno 1944, gli Alleati arrivarono sul serio.
Roma finalmente libera! Messi in fuga i nazisti, la mattina del giorno dopo le truppe Usa vennero osannate da migliaia di persone. «Le strade furono invase da donne e uomini che sgomitavano per raccogliere cioccolata e sigarette lanciate dai militari, mentre noi ragazzi sgranavamo gli occhi di fronte a novità come gli accendini zippo, il DDT e le zuppe in scatola», ricordava Maffioletti: «la pace sembrava vicina e c'era una gran voglia di ricominciare a vivere». Non sarà cosi facile. Il resto d'Italia aveva davanti ancora quasi un anno di guerra di liberazione.
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Questo articolo è tratto da Roma città aperta, di Matteo Liberti, pubblicato su Focus Storia 63 (gennaio 2012), disponibile solo in formato digitale. Leggi anche l 'ultimo numero di Focus Storia, ora in edicola.