Il 25 aprile del 1945 i partigiani entravano a Milano, c'era stata l'insurrezione a Bologna e Genova. I nazisti erano in fuga. Eppure, non era ancora finita: il 30 aprile 1945 a Grugliasco, un paese alle porte di Torino, ci fu una strage, una delle ultime perpetrate dei tedeschi in Italia, che fecero 67 vittime tra operai, manovali, apprendisti, studenti e commercianti. Il più giovane aveva solo 14 anni, più della metà ne aveva meno di venti. In occasione dell'Anniversario della liberazione d'Italia vi proproniamo quella pagina della storia d'Italia, tratta da Focus Storia 101 (marzo 2015, disponibile solo in versione digitale).
La guerra è finita. Pur essendo la guerra giunta quasi al termine- la resa fu firmata dai comandi tedeschi il 28 aprile, a Caserta, e sarebbe diventata operativa il 2 maggio - la strage di Grugliasco avvenne nel segno della continuità: una scia di sangue lasciata dagli eccidi compiuti a partire dall'8 settembre 1943 dai tedeschi e dai loro alleati fascisti, spesso contro la popolazione civile. A quella tragedia vanno però aggiunti altri morti, 29 miliziani dell'esercito di Salò, non coinvolti nella strage, eppure oggetto di un'immediata controrappresaglia.
troppo giovani. Dopo la liberazione di Torino, avvenuta il 28 aprile, gli alti comandi della Resistenza negarono ai nazifascisti il permesso di attraversare la città, concedendo alle truppe in ritirata un corridoio a sud-ovest. In questo modo, aggirando la città, avrebbero potuto raggiungere la direttrice Torino-Milano e da lì puntare al valico del Brennero. L'obbiettivo era evitare ulteriori spargimenti di sangue, ma, nei fatti, lungo il percorso delle colonne tedesche, la tensione rimase altissima.
Da una parte c'era un esercito sconfitto, ma ancora pronto a reagire, dall'altra presidiavano il territorio piccole formazioni scarsamente coordinate tra di loro e non sempre consapevoli dei reali rapporti di forza. Si aggiunga il fatto che i giovani e giovanissimi confluiti negli ultimi giorni di guerra nelle Sap (Squadre di azione patriottica) erano tanto entusiasti quanto inesperti: in molti casi non avevano mai maneggiato un'arma.

Domenica di pace apparente. A Grugliasco, come in altri paesi vicini, dopo l'intenso traffico di truppe e mezzi corazzati tedeschi dei giorni precedenti, il mattino del 29 aprile sembrava che tutto fosse finito. Era una domenica e sui balconi spuntavano le prime bandiere tricolori. I membri del Comitato di liberazione nazionale si radunarono nel municipio.
Le Squadre di azione patriottica (i sappisti), con i loro prigionieri, una cinquantina di soldati repubblichini (della Repubblica di Salò), catturati tra gli sbandati in coda alle colonne della Wehrmacht (le Forze armate tedesche), e alcuni ufficiali tedeschi, si insediarono invece nei locali dell'
Arrivano i tedeschi. L'arrivo, verso sera, di un'altra colonna motorizzata sorprese un po' tutti. Si trattava della 34ª Infanterie-Panzer Division: circa 10.000 uomini che, in ritirata dalla Liguria, avevano già lasciato un certo numero di morti lungo la strada. A Grugliasco, anche in seguito a un avventato attacco da parte di un piccolo gruppo di partigiani e sappisti, il transito della 34ª si trasformò in un incubo.
Sentendosi minacciati i tedeschi presero a sparare nel mucchio, saccheggiarono abitazioni, uccisero per strada civili e partigiani e catturarono diversi ostaggi. Rifiutandosi di identifcare i prigionieri come banditi, il segretario comunale firmò la sua condanna a morte. All'alba di lunedì 30 aprile si arrivò all'atto finale.
I tedeschi assaltarono l'ex sede della Gioventù Italiana del Littorio. I sappisti che vi si erano asserragliati si arresero liberando i prigionieri, ma il ritrovamento dei cadaveri di due ufficiali tedeschi segnò la loro sorte: in 35 furono trasferiti a Grugliasco e fucilati alle porte del paese, insieme a ostaggi precedentemente catturati. Da allora appartengono alla memoria ufficiale delle due comunità, e a essi sono intitolate vie e strade, una piazza e una scuola.
la Contro-rappresaglia. Il 1° maggio, quando la colonna tedesca era ormai lontana, un drappello di sappisti prelevò da una fabbrica della zona, dove erano tenuti prigionieri, un gruppo di repubblichini: furono fatti sfilare tra due ali di folla inferocita e poi portati nella vicina Collegno. La fucilazione avvenne nello spiazzo interno dell'ex Gioventù Italiana del Littorio, lo stesso luogo che il giorno prima era stato il teatro dell'eccidio nazista. Questa volta a cadere furono i soldati della divisione Littorio, catturati pochi giorni prima: avevano abbandonato una colonna in ritirata per darsi alla fuga.
«Erano addetti ai carri officina e per scappare», racconta un testimone, «si erano messi la tuta blu da lavoro». Individuati, erano stati fatti prigionieri senza opporre resistenza. In molti accorsero per assistere all'esecuzione e qualcuno partecipò direttamente. Metà delle vittime aveva poco più di vent'anni, altri erano sulla trentina, quasi tutti erano originari del mantovano. Seppelliti frettolosamente, di quei morti per anni è sparito anche il ricordo.
Per riemergere solo di recente grazie a una documentata ricerca dello storico Bruno Maida, pubblicata da Franco Angeli con il titolo Prigionieri della memoria.