Dal 2020 tutto il mondo ha combattuto contro un nemico comune, il coronavirus della covid, ma diversi Paesi hanno anche affrontato guerre o conflitti interni più o meno gravi. I dati raccolti dall'Armed Conflict Location & Event Data Project (ACLED) mostrano che gran parte del Pianeta è stato (o è) impegnato in una qualche forma di conflitto, dove per conflitto non si intende solo una guerra vera e propria - come poteva essere quella in Siria - ma in modo più ampio una qualche forma di protesta o lotta armata.
Dal 30 luglio 2020 al 30 luglio 2021 il nostro Pianeta ha vissuto quasi 100.000 situazioni di conflitto, tra sommosse, scontri armati, proteste, violenze contro civili, attentati. Per l'Italia, l'ACLED ha registrato 184 scontri totali - ma nessuna vittima. Ben diversa la situazione in altri Paesi, come il Myanmar, dove oltre 3.200 situazioni di conflitto hanno causato quasi 3.500 morti dopo il colpo di stato della giunta militare, o il Messico, dove la violenza è di casa e nell'ultimo anno ha causato oltre 8.000 morti.
Esasperati dalla pandemia. La pandemia ha probabilmente acuito il malcontento generale, facendo scoppiare in molti Paesi bombe di insoddisfazione e ribellione che da anni erano pronte a esplodere: è il caso di Cuba, ad esempio, dove la proibizione dei viaggi a causa dell'emergenza sanitaria ha fatto precipitare il Paese in una profonda crisi, che vede i cittadini costretti a fare ore di coda per comprare beni di prima necessità - tra cibo e medicinali. Ci sono poi situazioni in cui la fine di una guerra porta all'inizio di un altro tipo di conflitto, tra chi vuole imporre la propria visione (per esempio i talebani) e chi non vuole riportare indietro la lancetta dell'orologio - e la propria vita - di 20 anni: è il caso dell'Afghanistan, che nell'ultimo anno, secondo i dati dell'ACLED, ha registrato oltre 12.000 episodi di conflitto e più di 50.000 vittime.