Storia

10 luglio 1943: lo sbarco in Sicilia degli Alleati

Il 10 luglio 1943 inizia lo sbarco in Sicilia degli Alleati: per il fascismo fu l'inizio della fine, ma la popolazione pagò un prezzo molto alto. Tra stragi, violenze e stupri: i lati oscuri del nostro D-day.

Lo sbarco in Sicilia avvenne tra il 9 e il 10 luglio 1943, ma la liberazione dal nazifascismo costò cara all'Italia: la popolazione pagò con stragi, violenze e stupri e la mafia venne pericolosamente legittimata. «Quando sbarcheremo di fronte al nemico, non esitate a colpirlo. [...] Non mostreremo pietà. [...] Il bastardo cesserà di vivere. Avremo la nomea di assassini... E gli assassini sono immortali». È così che il generale americano George Smith Patton aizzava, nel luglio del 1943, i suoi uomini, alla vigilia dello sbarco alleato in Sicilia, dove, per la cronaca, i bastardi da colpire erano i soldati italiani.

La guerra è guerra, si sa. Ma il discorsetto motivazionale redatto dal "generale d'acciaio" - questo il soprannome di Patton, che amava girare con un cinturone da cowboy da cui pendevano due luccicanti Colt calibro 45 - funzionò anche troppo. Tanto che alcuni soldati a stelle e strisce, inebriati da quelle parole di fuoco, estesero il concetto di nemico anche ai civili. Così l'Operazione Husky (il nome in codice dato allo sbarco alleato) liberò sì l'isola dal nazi-fascismo, ma al prezzo di una lunga serie di crimini di guerra.

Siccome poi, come sappiamo oggi, lo sbarco fu reso possibile dall'aiuto di noti mafiosi, che non tardarono a diventare i nuovi padroni dell'isola, non stupisce che dietro alle immagini di festa, con lanci di cioccolata e sigarette da parte dei soldati americani, il nostro D-Day nasconda un inquietante lato oscuro. Per fare un po' di luce bisogna tornare a quando e a dove tutto ebbe inizio: ossia al gennaio del 1943, nella città marocchina di Casablanca.

La porta d'ingresso per l'Italia. Nel corso del 1942, terzo anno del secondo conflitto mondiale, le truppe degli Alleati avevano conquistato il grosso dell'Africa Settentrionale cominciando poi a dibattere su quale fosse la strategia migliore per strappare all'Asse Roma-Berlino il controllo della "Fortezza Europa". A tal fine fu organizzata un'apposita Conferenza a Casablanca, dove tra il 14 e il 24 gennaio 1943 si confrontarono il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt, il premier britannico Winston Churchill e il francese Charles de Gaulle, leader del movimento France libre ("Francia libera").

Alla fine prevalse l'idea inglese di attaccare l'Europa partendo dal suo "ventre molle", ossia dall'Italia. E quale porta d'ingresso fu scelta la Sicilia, strategicamente posta nel cuore del Mediterraneo, poco distante dal Nord Africa. Il comando delle operazioni fu assegnato al generale statunitense Dwight "Ike" Eisenhower, futuro presidente USA, che scelse quali comandanti l'inglese Bernard Law Montgomery (a capo dell'8a armata, supportata da una divisione canadese) e il risoluto Patton (7a armata).

Il piano prevedeva che l'operazione venisse condotta dai britannici a est (nella zona tra Capo Passero, Siracusa e Augusta) e dagli americani a ovest (tra Licata, Gela e Vittoria). La manovra, il cui inizio fu fissato per le prime ore del 10 luglio, sarebbe stata preceduta da bombardamenti strategici e da un lancio di paracadutisti. Il tutto con alle spalle la più ampia flotta militare mai messa in mare.

Sbarco in Sicilia - Conferenza di Casablanca
Churchill e Roosevelt durante la Conferenza di Casablanca. © wikimedia commons

Lo zampino della mafia: arriva Cosa Nostra. Prima di procedere era però necessario preparare il terreno, ed è a questo punto che entrò in gioco Cosa Nostra. Il disegno alleato prevedeva una missione segreta che con settimane di anticipo creasse l'humus adatto per l'arrivo dei liberatori, e a tale scopo furono intavolate trattative con boss della criminalità organizzata americana (di origine siciliana, ma non solo) del calibro di Francesco Castiglia, alias Frank Costello, e Salvatore Lucania, alias Lucky Luciano.

Vent'anni prima di quei giorni di luglio la mafia siciliana era stata colpita sul piano militare con le misure eccezionali attuate dal "prefetto di ferro" Cesare Mori. Molti criminali avevano preferito far le valigie per gli Usa. «A ben vedere, però, l'intervento di Mori aveva colpito solo i ranghi più bassi della mafia e non le alte sfere», dice lo storico siciliano Giuseppe Casarrubea, autore di Storia segreta della Sicilia (Bompiani): «di fatto l'intelaiatura mafiosa rimase viva anche durante l'epoca fascista». Intanto, però, la mafia "emigrata" diede l'assalto alle grandi città americane. «Cosa Nostra negli Usa riuscì a modernizzarsi, senza che i suoi esponenti dimenticassero mai la terra d'origine, con cui mantennero intensi rapporti.»

La collaborazione tra mafia e Cia favorì lo sbarco. Un emigrante della prima ora era proprio Luciano (trasferitosi in America nel 1907) che all'epoca dello sbarco stava scontando una condanna pluridecennale e che venne avvicinato dalla Cia per ottenere "contatti utili" sull'isola con la promessa di un aiuto per la gestione del territorio una volta occupata l'isola. In cambio, nel 1946, il boss verrà scarcerato "per i grandi servigi resi". Tra i "consulenti" chiamati in causa dagli Usa si contarono anche i fratelli Camardos e don Calogero Vizzini, che attivarono la loro rete di amicizie per promuovere azioni di boicottaggio contro i fascisti e operazioni di spionaggio.

Secondo alcune fonti, don Calogero Vizzini, boss di fama internazionale, fornì una lista di persone amiche che contribuirono a organizzare sabotaggi e poi a far da guida sul territorio alle truppe alleate.

«Dal punto di vista militare il contributo offerto dalla mafia allo sbarco fu però marginale», chiarisce Casarrubea: «il principale aiuto Cosa Nostra lo fornì in seguito, a sbarco ultimato, garantendo l'ordine dopo la partenza degli Alleati.»

La conquista della Sicilia durò un mese. Con o senza la "mano" mafiosa, i 160 mila soldati messi in campo dagli angloamericani (numero più che raddoppiato nei giorni seguenti), supportati da circa 4 mila aerei, decine di grandi navi e quasi 3 mila mezzi da sbarco, non tardarono a impadronirsi dell'isola, trovando scarsa resistenza e completandone la conquista in poco più di un mese. Sarà infatti proprio in Sicilia, a Cassibile (frazione di Siracusa), che il 3 settembre verrà firmato segretamente l'armistizio tra Alleati e italiani.

Il tracollo siciliano portò con sé, il 25 luglio, la caduta di Mussolini, messo in minoranza dal Gran consiglio del fascismo, arrestato e sostituito da Pietro Badoglio. «Ma prima delle dimissioni del duce, in Sicilia si versò una gran quantità di sangue innocente», dice Fabrizio Carloni, giornalista e saggista. «All'inizio ci pensarono i bombardamenti a fare strage tra i civili, trasformando per molte settimane la vita dei siciliani in un inferno. A partire dal 10 luglio toccò invece agli uomini di Patton, che nel motivare i suoi aveva tra l'altro ordinato di sparare al nemico senza accettare proposte di resa.»

Sbarco in Sicilia - Messina bombardata
Il centro di Messina bombardato. © wikimedia commons

I soldati americani e la strage degli innocenti. I primi a tradurre in pratica l'ordine furono gli uomini della 45a divisione di fanteria Usa (la Thunderbird) con il sostegno dei colleghi dell'82a divisione aviotrasportata. Quasi tutti i soldati della 45a erano al battesimo del fuoco, e si davano coraggio con alcol e anfetamine. Questo mix si rivelò micidiale. «Nelle primissime ore dello sbarco, a Gela, fu per esempio uccisa senza motivo una ragazza con i suoi due bambini, e nel pomeriggio fu messo al muro e fucilato a sangue freddo il podestà di Acate, Giuseppe Mangano. Accanto a lui c'era il figlio, che venne a sua volta trucidato con un colpo di baionetta alla gola» racconta Carloni. «Nel frattempo, ancora nei pressi di Gela, si era compiuta una carneficina contro una dozzina di carabinieri che si erano appena arresi.»

Quattro giorni dopo, all'aeroporto di Acate, furono invece spogliati, derubati e fucilati oltre 70 prigionieri - tra cui alcuni civili - per iniziativa del capitano John Compton e del sergente Horace West, entrambi della 45a.

«Tra Gela, Acate e Vittoria si formò un "triangolo della morte" in cui le uccisioni furono di due tipi: "a caldo", in fase di bonifica del territorio, e "a freddo", condite spesso da un odio quasi razziale per gli italiani», dice Carloni.

Tristemente esemplare è quanto avvenne il 13 luglio in contrada Piano Stella, dove cinque coltivatori, estranei alle vicende belliche, furono prelevati dalle loro case e assassinati senza un motivo apparente. «Entrarono e ci fecero segno di seguirli», ricorda Giuseppe Ciriacono, che allora aveva 13 anni e che fu l'unico superstite. «Poi un americano mi prese per il bavero e mi fece allontanare. Dopo pochi passi sentii le raffiche di mitra, seguite dalle urla di mio padre e degli altri.» Un'ennesima strage si verificò infine a Canicattì, presso una fabbrica di sapone con annesso deposito di generi alimentari: «Qui il colonnello Herbert McCaffrey sparò su alcuni disperati che stavano razziando lo stabilimento, freddando sei adulti e una bambina.»

Americani sotto processo. A denunciare le violenze statunitensi (assai meno numerose di quelle nazifascite) furono gli stessi americani. In particolare il cappellano William King, chiamato il 14 luglio ad Acate da alcuni soldati che gli confidarono di provare vergogna per quello che stava succedendo e che gli mostrarono anche i corpi delle vittime di Compton e West. Nonostante i tentativi di Patton di insabbiare tutto, le voci di queste stragi cominciarono a diffondersi.

«Dalle indagini storiche, dalle inchieste giornalistiche, dai processi della corte marziale americana e da numerose testimonianze emergeranno chiaramente le responsabilità di Compton, West e McCaffrey», racconta Carloni: «l'unico a essere condannato fu però West: si beccò un ergastolo, ma fu poi graziato. Dalle inchieste emerse inoltre che alcuni soldati americani si erano lasciati andare a stupri e saccheggi.»

Sbarco in Sicilia - Alleati
Gli Alleati invadono la Sicilia. © Roman Nerud / Shutterstock

La mafia raggiunge le leve del potere. A lungo relegate nell'oblio dall'euforia della liberazione dalla dittatura, ben presto iniziarono anche le operazioni per ripagare la mafia per i suoi servigi. Gli americani, in cerca di uomini da sostituire alle autorità fasciste, assegnarono cariche a più di un personaggio "al di sotto di ogni sospetto". Per esempio a don Calogero Vizzini, nominato sindaco di Villalba, o a Vito Genovese, pregiudicato promosso interprete ufficiale dell'Amministrazione alleata nella Sicilia occupata.

«A beneficiare della generosità Usa fu anche Giuseppe Genco Russo, boss che dopo aver avuto un ruolo di primo piano nel coordinamento delle fasi postsbarco fu messo a capo della cittadina di Mussomeli», aggiunge Casarrubea.

«Poi fu la volta di Nicola "Nick" Gentile, a cui fu affidata la gestione del territorio di Agrigento, e di Vincenzo Di Carlo, nominato responsabile dell'Ufficio per la requisizione dei cereali. Gli Alleati fecero cioè un pericoloso passo verso la legittimazione della mafia, che dopo l'Operazione Husky intraprese la sua decisiva escalation.»

Secondo la maggior parte degli storici, anche se il prezzo fu alto, valeva la pena pagarlo pur di lasciarsi alle spalle il fascismo e uscire dall'incubo della guerra. Certo, il conto arrivò a una popolazione già sfiancata, vittima perfetta di un vecchio adagio locale: "La guerra, quannu veni, veni pi tutti...". La guerra, quando arriva, arriva per tutti. Anche se a portarla non è chi l'ha scatenata e anche se chi la fa viene nelle vesti del liberatore.

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Questo articolo è tratto da Attacco alla Sicilia, di Matteo Liberti, pubblicato su Focus Storia 63 (gennaio 2012), disponibile solo in formato digitale. Leggi anche l'ultimo numero di Focus Storia, ora in edicola.

9 luglio 2021
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