E se un messaggio da E.T. dovesse arrivare per davvero? Se degli extraterrestri, volontariamente o involontariamente, ci facessero arrivare un segno della loro esistenza, che cosa dovrebbe fare chi lo riceve?
Pochi sanno che (tanto per cominciare) E.T. è in realtà ETI (Extraterrestrial Intelligence) e che, soprattutto, c'è un preciso protocollo a cui tutti dovrebbero attenersi, stilato dal Seti, il Search for Extraterrestrial Intelligence, l’ente mondiale che si occupa in modo scientifico di rilevare le onde radio che arrivano dall’Universo per individuare eventuali segnali di vita intelligente.
Che fare? Il protocollo prevede, tra l’altro, che vi sia un primo, attento riesame del segnale per avere la certezza assoluta che sia davvero intelligente e davvero alieno. Poi che si avvisino diversi centri di ricerca sparsi nel mondo per verificare se hanno rilevato il segnale e per fare gli indispensabili controlli in modo indipendente.
Se tutti i responsi sono positivi, allora sì, è primo contatto! A quel punto lo scopritore lo scopritore deve informare gli osservatori di tutto il mondo attraverso il Central Bureau for Astronomical Telegrams dell’Unione Astronomica Internazionale, e anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite. Dopo, la notizia può essere data al mondo, ma, in ogni caso, nessuno dovrebbe prendersi la briga di rispondere a ETI finché l’umanità non abbia deciso in modo corale cosa e se rispondere.
È questo quello che succederà?
Anno 1977... «Non penso proprio» afferma Seth Shostak, direttore del Seti, in un’intervista alla rivista All About Space. «E il motivo è molto semplice: se dovesse arrivare un segnale anche solo vagamente alieno, succederebbe che l'uomo del momento chiamerebbe gli altri osservatori gridando eccitato "hei, l'avete sentito?"... Poi partirebbero immediatamente sms ad amici e fidanzate, qualcuno lo metterebbe subito nel proprio blog e partirebbero i tweet. Il mondo lo saprebbe prima del Segretario Generale delle Nazioni Unite! Del resto abbiamo già vissuto una situazione del genere, nel 1977, quando neppure c'erano internet, sms, tweet e facebook: qualcuno aveva interpretato un segnale come "interessante" e nell’arco di poche ore ero assediato dai giornalisti del New York Times: chi li aveva avvisati?»
Allora cosa? Se mai dovessimo avere delle certezze sulla provenienza di uno specifico segnale, allora «bisognerebbe puntare in quella direzione tutti i telescopi e i radiotelescopi del pianeta» afferma Shostak.
Ma dovremmo rispondere? «L’arrivo di un segnale confermato sarà una tentazione irresistibile, e sarebbe difficile impedirlo. D'altra parte, di segnali nello spazio ne abbiamo già inviati molti, alcuni anche di forte intensità.
Forse dovremmo invece discutere di che cosa raccontare: solo quello che ci fa piacere dire di noi o tutto quanto, compreso quello di cui ci vergogniamo?»
Partiamo! A quel punto potremmo anche pensare di mandare una spedizione. «Sono certo che se ne discuterà a lungo, soprattutto se l'origine è relativamente vicina. Tuttavia... Con i nostri mezzi attuali ci vogliono milioni di anni per raggiungere un pianeta entro i 50 anni luce». Dovrebbe perciò essere una cellula della nostra civiltà, destinata a svilupparsi e moltiplicarsi nello spazio e consapevole dell'impossibilità di tornare. Quanto al quando si prevede di ricevere un messaggio dallo Spazio, «se proprio devo scommetteci un caffè, direi entro due dozzine di anni».
Perfetto, abbiamo ancora tempo per decidere.