La storia è tra le più drammatiche e strane che si possano raccontare. Un giorno, nella primavera del 2016, l'equipaggio di una barca a vela impegnata in una regata attorno al mondo, la LMAX, incontra al largo delle coste di Guam, nell'Oceano Pacifico, una piccola imbarcazione a vela alla deriva e con l'albero spezzato.
Come vogliono le regole marinare, il gruppo dimentica la gara e si dà da fare per verificare se a bordo della piccola barca ci sia qualcuno, magari ferito, in attesa di aiuto.
Saliti a bordo i soccoritori pensano che sia stata abbandonata. Poi sottocoperta trovano un corpo umano, l'unico membro dell'equipaggio, completamente mummificato.
Seduto a un tavolino, vicino alla radiotrasmittente, con la testa reclinata su un braccio. Forse aveva tentato di chiamare qualcuno in aiuto. Tutto il resto è in ordine.


Ma come ha fatto a mummificarsi? Lo sfortunato marinaio solitario probabilmente è morto per cause naturali, forse un infarto. Mentre i venti oceanici, le alte temperature e l’aria salmastra hanno contribuito a preservare il corpo intatto.
Un corpo può venire mummificato dalla sabbia del deserto, grazie al sale cristallizzato che lega l’acqua e impedisce la proliferazione dei batteri. Lo stesso può accadere in zone desertiche, sia fredde che calde, grazie al vento e all’aria secca che sottraggono i liquidi a un organismo morto, oppure nelle caverne grazie alla temperatura costante e all’umidità dell’aria.
Mummificazioni accidentali sono avvenute pure in Europa, nelle torbiere di Irlanda, Scozia, Olanda, Germania, Danimarca e Svezia. La natura può favorire la mummificazione anche in ambienti artificiali come cantine, solai e cripte, dove la conservazione è favorita da correnti d’aria e temperature stabili. Come probabilmente è accaduto per il ritrovamento nel Pacifico.
Non c’è voluto molto ad identificare la sfortunata persona: si trattava di Manfred Fritz Bajorat di 59 anni, un noto marinaio solitario tedesco che ha solcato tutti i mari del pianeta, e di cui si erano perse le tracce dal 2010.