Oltre che in Islanda, la produzione si è svolta allo 007-Stage dei Pinewood Studios, appena fuori Londra. Con più di 100 metri di lunghezza e una superficie utilizzabile di oltre 5.000 metri quadrati è il più grande teatro di posa d'Europa. Per Prometheus non è bastato...
La produzione è partita dalla zona dietro i set, costruendo l'area cargo della Prometheus e una piccola replica della superficie del pianeta. Questo si è poi esteso fino a una struttura che conteneva parte del set interno della costruzione aliena, prima di collegarsi allo spazio centrale dello 007-Stage.
«Non è mai grande abbastanza», sospira Scott. «Ho lavorato qui anni fa per Legend (1985) e l'ho sfruttato al massimo. Anche in quell'occasione pensavo che non fosse abbastanza lungo ed ero certo che anche ora non sarebbe stato grande abbastanza perché a me piace che gli attori abbiamo il loro proscenio e che vedano quello che stanno facendo, che vedano lo spazio dove recitano. Perché recitare col blue screen e trucchi del tipo "il mostro sta venendo su per il corridoio! è veramente noioso.»
Alla fine la produzione ha aggiunto 50 metri alla lunghezza del teatro e, aggiunge Max, «le dimensioni ci hanno permesso di girare una grandiosa scena scena di esplorazione!». Per Michael Fassbender, l'attenzione di Scott per i dettagli non è seconda a nulla: «Siete mai stati nello 007-Stage? Dovreste vedere il colon spaziale, come lo chiamo io!». E secondo Max la praticabilità del set ha reso il lavoro più facile per tutti: «Ridley conosce bene la tecnologia, ma nei suoi film la tecnologia è sempre totalmente plausibile».
Arthur racconta che lui e Ridley Scott hanno imparato, dopo tanti anni di lavoro insieme su film quali Il Gladiatore, Le Crociate e Black Hawk Down che alle volte è meglio avere qualcosa di pratico piuttosto che solo effetti speciali. «Penso che l'equilibrio sia la chiave in quello che fai», afferma, «e che devi avere una base convincente. Quando parli con i tecnici degli effetti ti aspetti che ti dicano che vogliono materiale a sufficienza per cominciare a lavorare... E questa è la parte difficile, perché ogni scena ha una "componente visiva" e tutto deve essere costruito da un bozzetto...»
Il "pezzo forte" del set alieno ai Pinewood era una testa monolitica alta 10 metri, quella che si vede nei poster del film, costruita dal team di Arthur Max. «L'idea di base è che fa parte della cultura degli ingegneri», dice Max della razza aliena al centro della storia, «la razza di visitatori interplanetari che ci ha migliorato mentalmente e fisicamente nel corso dei millenni.
» Anche la costruzione aliena, che nel copione era descritta come una piramide, ha rappresentato una sfida: per costruirla sono servite oltre 16 settimane e il lavoro di più di 200 tecnici.
Per sottolineare il collegamento tra Prometheus e Alien, per il quale H.R. Giger ha disegnato lo xenomorfo alieno (e vinto l'Oscar per gli effetti speciali), Max dice di avere ricevuto una direttiva chiara da Scott: «Non voglio che sia troppo in stile Giger, ma neanche che non lo sia per niente».
I creativi hanno visionato il lavoro che Giger aveva archiviato per il primo Alien, alla Motion Picture Academy Library e dalla collezione personale di coloro che hanno lavorato al primo film. Ridley ha anche voluto che vedessero alcuni film del genere. «Ha accumulato molta conoscenza dalla ricerca fatta su film e serie», ricorda Max. «Abbiamo visto tutti quei film. Ridley ci ha fatto vedere Alien, Blade Runner e molti film con la parola star nel titolo. Almeno tre... Vi lascio indovinare quali sono!»
Vedere tutto questo materiale è servito per capire cosa non andava fatto. «Non volevamo farlo somigliare a quei film», spiega Max. «Volevamo che fosse qualcosa di nuovo, non una senzazione di già visto. Perciò abbiamo deciso rendere lo stile del pianeta alieno meno biologico e più meccanico.»
Max riassume così la sfida chiave nel visualizzare l'ambiente alieno: «Gli abitanti di questo pianeta, chiamati Ingegneri, e la loro tecnologia danno vita a qualcosa che va oltre la nostra capacità di comprensione e perfino dell'immaginazione, ma allo stesso tempo è un'esperienza visivamente coinvolgente e interessante. Questa, penso, è stata la sfida più ardua, anche perché dovevamo competere con la più iconica creatura fantascientifica di sempre. Il vero trucco è stato trovare qualcosa che potesse rivaleggiare con quella creatura.»
Alla scoperta di Prometheus: dalla Star Map dell'astronave ogni settimana siete proiettati in una nuova tappa del viaggio, con foto e filmati inediti per uno dei film più attesi dell'anno.
Su Focus.it: intervista a Ridley Scott, le foto dalla Prometheus, la spiacevole condizione dis-umana di David...
Per Arthur Max, direttore della scenografia di Prometheus, visualizzare l'ambientazione del film non voleva dire solo creare il panorama alieno del pianeta raggiunto dall'astronave, ma la stessa Prometheus, un mezzo altamente tecnologico e realizzato allo stato dell'arte - l'orgoglio della flotta della Weyland Corporation - che il suo equipaggio chiama casa.
Michael Fassbender (l'androide David) non poteva credere al lavoro fatto per creare i set della nave: «Non penso che vedrò mai qualcosa di altrettanto imponente», afferma entusiasta. «Ricordo la prima volta che camminai per il set: mi sembrava di essere veramente a bordo della nave. Non c'era bisogno di recitare. Premendo qualunque pulsante c'era sempre qualcosa che funzionava. E il ponte... Il cuore della nave, con tutte le sue funzioni... vitali!»
Idris Elba (Janek, il capitano della Prometheus) sottolinea ancora di più questo aspetto: «Premevi un pulsante e succedeva realmente qualcosa, ne premevi un altro e succedeva qualcos'altro... e Ridley sapeva tutto della nave. Ce l'aveva in testa ed è stata realizzata esattamente così, per questo è speciale».
«Ci sono tanti effetti visivi che si possono usare, ma proviamo sempre a costruire realmente il più possibile», rivela il produttore esecutivo Michael Ellenberg.
«Cerchiamo di rappresentare il modo in cui le tecnologie si evolveranno senza creare nulla di totalmente nuovo, e questa è la differenza tra il creare un'esperienza credibile o no. La verità è che usare gli effetti speciali è facile, ma non è sempre economico né realistico. Se riesci a costruire qualcosa e renderlo vero per chiunque - specialmente se lo devi spaventare... - è sicuramente meglio.»
L'attore Logan Marshall-Green spiega che il design della nave alimenta le motivazioni e le differenze dei personaggi sulla Prometheus. «Ogni personaggio è spinto da motivazioni sue ed è sospettoso nei confronti degli altri. Ma ci sono delle bellissime coppie... Per esempio il mio personaggio e quello di Noomi Rapace (Elizabeth Shaw, scienziata) che sono molto uniti perché circondati da persone che non credono in loro e che vogliono distruggerli. E poi ci sono i personaggi di Rafe Spall e Sean Harris (Fifield, geologo) e quelli di Charlize Theron (Meredith Vickers, per la Weyland Corporation) e Idris Elba. È una nave grande ma ciò non impedisce all'equipaggio di interagire intensamente.»
«Alcuni sono lì per i soldi», aggiunge Fassbender, «altri per le risposte. Altri perché sperano di impadronirsi di segreti. Alcuni sono lì per scopi malvagi. Ci sono tutte queste relazioni e motivazioni, e anche molti intrighi.»
Arthur Max racconta la natura della Prometheus: «Il primo Alien era ambientato in una specie di miniera... Era la Nostromo, un'astronave molto rozza, arruginita. Ora siamo sulla nave ammiraglia della flotta della Weyland Corporation. È innovativa e contiene tutta la tecnologia messa a disposizione per l'esplorazione spaziale. Quindi è il meglio della flotta, non il peggio, anche se è di una generazione precedente alla Nostromo».
Per lo sceneggiatore, Damon Lindelof, non va sottovalutato il fattore umano. «Il grande pregio di Ridley Scott è che riesce a rendere reale ciò che pensa. La cosa bella di questo film è che non è ambientato sulla Terra, quindi il futuro che sperimentiamo non è quello del nostro pianeta, piuttosto è il futuro dell'umanità. Che cosa ha sperimentato l'umanità in questo lasso di tempo? A che cosa pensano le persone? L'idea alla base del film è che tra cent'anni saremo gli stessi, ma potremo avere concetti differenti.»
L'altro aspetto impressionante dell'evoluzione sviluppato per il film è rappresentato dai veicoli, ideati per correre. Dai quadricicli ai grandi trasporti, i veicoli di Prometheus non sono secondi a nessuno. «Dovevamo portarli in Islanda e in più la location scelta era davvero molto fuori mano... », aggiunge ridendo Arthur Max, «e questa è stata una sfida logistica. Ma se devo riassumere quella che penso sia stata la vera sfida del film direi che il pubblico e la tecnologia sono diventati più sofisticati e ci sono stati tantissimi film di fantascienza dai tempi di Blade Runner. Oggi c'è molta più pressione su tutti per alzare il livello, ed è quello che abbiamo fatto con Prometheus.»
Alla scoperta di Prometheus: dalla Star Map dell'astronave ogni settimana siete proiettati in una nuova tappa del viaggio, con foto e filmati inediti per uno dei film più attesi dell'anno.
Su Focus.it: intervista a Ridley Scott, le foto dalla Prometheus, la spiacevole condizione dis-umana di David...
Janty Yates, costumista, Premio Oscar per Il Gladiatore, parla della creazione della tuta spaziale indossata dall'equipaggio della Prometheus.
«Non ho mai lavorato a una science fiction prima d'ora. Be', a parte Space Virgins From Planet Sex, un episodio di Comic Strip Presents...! Sono invece vissuta spesso nel passato, nella Roma antica del Gladiatore e al tempo delle Crociate. Con Prometheus sono stata catapultata nel futuro.
«Lavorare a una science fiction è come tuffarsi da una piattaforma. È eccitante, ed è anche una sfida: sei sul bordo e non sai che cosa c'è oltre. Avremmo potuto creare prototipi per gli abiti fino al giorno prima l'inizio delle riprese ed è stata una vera fortuna che a Ridley siano piaciute subito le prime proposte.
«L'idea per la tuta spaziale è partita dalla sottotuta. Il neoprene è arrivato da Taiwan e abbiamo dovuto renderlo traspirante. La ragazza che le ha disegnate, le ha anche adatte. Ha fatto tutto da sola, inventando quello che abbiamo poi chiamato airprene. Grazie a quella soluzione gli attori non sarebbero morti di caldo!
«Abbiamo poi inserito nel neoprene l'idea che ci fossero dei conduttori per monitorare il sistema sanguigno e i livelli d'ossigeno e tutto ciò che passa per il sangue. Una buona soluzione, semplice: strisce arancioni - non veri conduttori! - che rendono bene l'idea.
«Poi, per rappresentare un qualcosa di autenticamente slanciato, abbiamo disegnato una sorta di armatura metallica da indossare sulla sottotuta. È in fibra di vetro, molto leggera, mobile e flessibile, in modo da non essere un peso per gli attori.
«L'elmetto ha 9 schermi led, ognuno con grafici specifici, cinque all'interno e gli altri sulla visiera. I grafici sono stati realizzati dai creativi per rappresentare "vera" tecnologia, come quelli che mostrano l'attività sismica nel terreno.
«Comunque... Ci sono led ovunque sull'elmetto, e un illuminatore in cima. E, cosa importante, è ben arieggiato: Ridley ci aveva raccontato di Alien e del panico che prendeva gli attori dopo avere indossato l'elmetto per più di 30 secondi. E si formava anche molta condensa.
«Lo zaino funziona come porta batterie per tutta l'elettronica. Il montatore, Pietro Scalia (Oscar per Il Gladiatore e Black Hawk Down) ha deciso che voleva avere delle immagini dalle telecamere montate sulla tuta, così sono tutte telecamere HD, che hanno inviato delle bellissime registrazioni. In questo modo abbiamo avuto dettagli impossibili da catturare con le altre telecamere.
«Abbiamo fatto circa 60 elmetti - avevamo tantissimi stunt! Tutta questa tecnologia comporta però un processo costante di costruzione e riparazione. Ci sono tantissime cose che possono andare storte con l'elettronica, ma anche contando tutta la manutenzione penso che abbiamo risparmiato una fortuna perché tutto quello che abbiamo creato avrebbe dovuto essere aggiunto in post-produzione, cosa che ovviamente sarebbe stata più difficile e dispendiosa.
«Eravamo un po' in difficoltà i primi giorni perché non sapevamo bene che cosa necessitava di manutenzione. Tutte le batterie andavano caricate e poteva capitare che arrivavi sul set ed erano scariche solo perché il servizio di pulizia aveva staccato la spina!
«Anche una piccola botta sull'elmetto poteva far saltare l'intera sequenza. Sono belli, ma così fragili... Il risultato di avere tutte queste luci nella tuta stessa, però, è che vedevi gli attori immersi in fantastici giochi di luce. I miei ragazzi hanno lavorato con Dariusz Wolski, direttore della fotografia, per capire cosa doveva funzionare e quando. Alcuni fasci di luce sembravano aureole e sono riusciti a illuminare i volti in modo fantastico.»