Nel 1964 uscì nelle sale italiane Per un pugno di dollari, scopriamo i retroscena del primo western di Sergio Leone attraverso l'articolo "Spaghetti western" di tratto dagli archivi di Focus Storia.
Perché proprio un western? Per un pugno di dollari è il primo film western di Sergio Leone; nessuno, allora, avrebbe scommesso su un successo così clamoroso. Forse neppure lo stesso Leone, che aveva a disposizione un budget limitato e un copione che riprendeva un film sui samurai del giapponese Kurosawa (il che ebbe anche uno strascico giudiziario). Ma perché scegliere il western, genere tipicamente americano?
il declino dei Kolossal. Spiega Cristina Bragaglia, docente di storia del cinema all'Università di Bologna: «Il filone del "peplum", i kolossal in costume di ambientazione romana o mitologica, come Gli ultimi giorni di Pompei o Quo Vadis, girati a Cinecittà e che avevano tenuto alte le sorti economiche del cinema italiano (seppure in mano a registi americani), era entrato in crisi. Serviva trovare nuovi soggetti». Fu Amadeo Tessari, alias Duccio Tessari, a puntare sul western. Ma i produttori nostrani non potevano sperare di ingaggiare attori americani specialisti del genere. Si scelsero volti poco noti, come quello del giovane californiano Clint Eastwood. Leone non cercava un volto da eroe. I suoi personaggi erano cinici, mai idealisti.
Accanto a Eastwood, per i film della "Trilogia del dollaro" (oltre a Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più del 1965, Il buono, il brutto, il cattivo del 1966), finirono Lee van Cleef e Eli Wallach. Anche loro erano ben poco "John Wayne". Perché? «C'era la voglia di reinterpretare in chiave ironica il genere, come dimostrano gli scarni dialoghi, a volte surreali fino all'umoristico», dice la storica. Per la stessa ragione, accanto a questi protagonisti, non c'era spazio per ruoli femminili forti. Unica eccezione, Claudia Cardinale, in C'era una volta il West (1968).
Il Texas in Spagna. Il basso budget impedì di girare negli Stati Uniti. Si scelse, come alternativa, la Spagna, allora sotto la dittatura franchista. Non soltanto i costi lì erano bassissimi ma c'erano anche, tra Castiglia e Andalusia, angoli che parevano scaraventati lì dal Texas o dall'Arizona. In Andalusia fu scelta l'area attorno a Tabernas, oggi un paesino di 4mila abitanti in mezzo a 280 km2 di paesaggio semidertico, dove si possono ancora visitare alcuni set. In Castiglia, il West era invece a Sala de Los Infantes, a 60 km da Burgos.
Il governo franchista accolse gli italiani a braccia aperte: concesse le autorizzazioni e diede una mano per la logistica. Furono i soldati spagnoli a realizzare il finto cimitero di 8mila tombe del finale di Il buono, il brutto, il cattivo. E fu il genio militare spagnolo a costruire il ponte che, nello stesso film, viene fatto esplodere in una spettacolare sequenza.
Studio storico. Al di là del risultato cinematografico (diventato però cult nel giro di una generazione), gli "spaghetti western", come li chiamarono con disprezzo gli americani, non erano approssimativi. Anzi. «Il buono, il brutto, il cattivo, capolavoro riconosciuto della Trilogia, rappresenta bene la durissima Guerra di secessione americana», spiega Bragaglia. Leone si documentò negli Usa e riuscì a restituire, più degli americani, la violenza di quel conflitto. E il regista spiegò che, quando studiava come realizzare una scena con un campo di prigionia nordista, gli passarono per la mente i campi di sterminio nazisti. La violenza dei western all'italiana non era dunque, come alcuni dissero allora, fine a se stessa. In fondo, era la violenza della Storia.